Vegas Jones: «A forza di giocare con la Play ho fatto un EP che è un videogame» | Rolling Stone Italia
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Vegas Jones: «A forza di giocare con la Play ho fatto un EP che è un videogame»

Durante la quarantena c'è chi ha fatto il pane. Lui ha scritto 'Giro veloce', un esercizio di stile e un'anteprima del suo futuro. «Come gli americani, voglio sei, sette, otto produttori in ogni traccia»

Vegas Jones: «A forza di giocare con la Play ho fatto un EP che è un videogame»

Vegas Jones

Foto press

«Sì, è un bel giorno per uscire dai, il cielo è bello grigio, come sempre in sostanza». Vegas Jones risponde così al telefono. È appena uscito Giro veloce, il suo nuovo EP, che arriva a poco meno di un anno di distanza dal suo ultimo album, La bella musica. Nel mezzo, una pandemia ha messo a dura prova il mondo e non ha risparmiato il settore dell’intrattenimento. Nonostante tutto, Vegas non sembra uno a cui manca l’energia, anzi.

Che impatto hanno avuto su di te gli ultimi mesi?
Ti dico la verità: visto che questo progetto è nato in una situazione simile a quella di oggi, nel post quarantena di maggio, dal punto di vista artistico ho tratto dei benefici. Con la scusa che il mondo era fermo, soprattutto allora, mi sono chiuso in me stesso, ho metabolizzato tante cose, sono riuscito a scrivere bene. Visto che un sacco di cose legate alla promozione non si possono fare, ho puntato tutto sul prodotto, per far sì che fosse una bomba e piacesse alla gente. Sono stracontento, faccio finta che non esista il Covid, è l’unico approccio possibile; perché se penso a quello che succederà a breve con il nuovo decreto, mi prendo proprio a male.

Quanto di ciò che gli ultimi mesi ti hanno lasciato addosso si è riversato nei testi?
Si possono sentire tanti riferimenti a quello che succede e sono contento perché magari tra un paio d’anni, quando riascolterò l’EP, mi ricorderò di questo periodo. I riferimenti sono venuti fuori senza neanche pensarci troppo: “quando giro in centro / creo assembramento”, “videocall / si fa in quattro anche l’iPhone” e tante altre barre, le ho scritte tutte durante la quarantena. Si sente tanto. C’è anche tanta roba di gaming, che è qualcosa a cui mi sono dedicato in quel periodo; giocavo alla Play e cucinavo, queste erano le uniche cose che facevo in quarantena (ride).

Il mondo è stato fermo per mesi, come dicevi, eppure hai intitolato l’EP Giro veloce. Com’è nata l’idea di questo concept?
Volevo fare un EP sul filone di Gratta e vinci (vecchio progetto del rapper, nda), che fungesse da preparazione a qualcosa che verrà dopo. Avendo fatto tantissimi pezzi dopo la quarantena, come mai in vita mia, mi sono trovato ad avere tantissimo materiale e mi sono reso conto che c’erano cose che volevo che la gente sentisse ora, quest’anno. Volevo che la gente sapesse come la penso, anche per ascoltare qualcosa che suona diverso da La bella musica, che era un disco ufficiale. Giro veloce è proprio quello che dice il titolo: un giro rapido in pista per scaldare i motori, per farti capire cosa puoi aspettarti in futuro.

Possiamo definirlo una sorta di esercizio di stile, insomma…
Assolutamente. È un’intro, un assaggio di quello che sarà la prossima musica. Mi sono divertito molto a realizzarlo.

Sette brani, 6 featuring totali: come hai scelto le collaborazioni?
Se ci fai caso, in molte delle tracce, se strofe degli altri sono molto più lunghe delle mie. In questo EP faccio soprattutto ritornelli o prima strofa e ritornello, escluse le tracce soliste. Lavorando ho iniziato a tirare fuori delle robe a metà. Sballo shallo (nella versione finale con Salmo e Andry The Hitmaker, ndr) si chiudeva dopo il primo ritornello, così come Charline (con MamboLosco e 6amcotoletta, ndr), di Soul (con Tredici Pietro e Andry The Hitmaker, ndr) avevo solo il ritornello. Per ogni traccia mi sono reso conto di aver bisogno di qualcuno.

Hai chiamato a raccolta un gruppo di producer con cui lavori da tempo: quanto è importante l’alchimia che si crea in studio?
È fondamentale. Fare un beat è semplice, quello che si crea insieme in studio è un’altra cosa. Sto spingendo sempre più verso il modello all’americana, che su ogni traccia ha sei, sette, otto produttori. Ho ragionato così per questo progetto: beat, esercizio di stile, ritornello, featuring e via. È un progetto semplice, per certi versi.

Ti piace lavorare con più persone, quindi.
Se il beat è fatto da una persona sola, c’è solamente un’idea. Con tre, quattro o cinque persone puoi far fare un salto notevole alla qualità musicale e far sì che i tuoi prodotti siano sempre diversi. È quello che ho pensato per questo EP e sono contento che la gente lo stia recependo, per fortuna non vedo lamentele del tipo «ah, ma non ci sono contenuti». È voluto così, nel senso che non ci sono contenuti pesanti, è ovvio che poi ci sono dei contenuti, chiaramente ci sono. È un tipo di lavoro diverso rispetto a un album e sono contento che sia stato capito.

A proposito di situazioni diverse, in Ulala troviamo per la prima volta Andry The Hitmaker anche al microfono e non solo alla produzione. Com’è nata quest’idea?
Non è la prima volta che Andry fa delle melodie, essendo un gran produttore che lavora a tantissimi beat ogni giorno. Anche in Fiori di Lazza e Giaime la melodia era sua, poi i ragazzi l’hanno ricantata. A sto giro invece, quando mi ha girato la bozza e mi ha chiesto di ricantarla, gli ho risposto: «no, questa la canti tu, altrimenti perde il mood». Ha scelto le parole giuste, c’è anche quella semplicità legata al fatto di non avere i blocchi che ho io, che sto molto più a pensare su qualunque cosa scriva. C’è una leggerezza molto comunicativa, molto d’impatto.

Perché un ascoltatore che non ti conosce dovrebbe dare una chance a Giro veloce?
Perché è un bel mix. Già l’idea di presentarlo come un videogame ha attirato parecchie persone. È il prodotto più vario che ho fatto a livello di voci, melodie, rappato, cantato; può dare una visione a 360 gradi del mio rap, fatto per divertimento, per gioco. La speranza è che, una volta scoperto questo, si vada ad ascoltare anche gli altri dischi, nei quali trovare altro contenuto.

Qual è la cosa che ti manca di più dei concerti e del contatto col pubblico?
Eh, mi hanno sempre chiamato Mr. Assembramento, figurati (ride). Quello che è vietato è la cosa che più mi piace del mio mestiere. Vedere le persone che si raggruppano, che sia sotto il palco o in mezzo alla strada, perché magari ti incrociano in giro, vederle che fanno casino, che si accalcano è la mia cosa preferita. Quest’anno avrò suonato forse due volte e mi sta mancando più di qualsiasi altra cosa.

Dovremo riabituarci a cose che sono sempre state la normalità…
Esatto, è davvero strano. Da un lato questo periodo mi dà uno stimolo in più in studio, investire sul futuro, ragionare su nuova musica e cercare un’evoluzione, che è sempre necessaria. Dall’altro lato è più difficile beccare gente, vedi poche persone, è tutto strano. Spero che, una volta finito tutto, non mi faccia impressione un assembramento sotto il palco (ride).

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