Vaz Tè, si può fare drill anche a Genova | Rolling Stone Italia
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Vaz Tè, si può fare drill anche a Genova

Cresciuto nel collettivo Wild Bandana, il rapper ligure pubblica l'esordio influenzato dalla variante della trap nata a Chicago. Centellina le interviste, usa poco i social. «Sto ai margini, voglio affermarmi con la musica»

Vaz Tè, si può fare drill anche a Genova

Vaz Tè

A livello musicale c’entrano poco l’uno con l’altro, ma a ben guardare c’è più di una analogia tra Vaz Tè (classe 1992, genovese, rapper, appartenente alla stessa crew dei ben più famosi Tedua e Izi) e Joe Cassano (classe 1973, bolognese, rapper, appartenente alla stessa crew del ben più famoso Inoki e diventato una figura leggendaria della scena hip hop italiana dopo la sua prematura scomparsa, nel 1999). Entrambi hanno uno stile onirico, figurato, che punta sulla musicalità e sulla suggestione; entrambi hanno un linguaggio difficile da decifrare, che spesso rende riferimenti e metafore un po’ enigmatici; entrambi si sono fatti conoscere dal pubblico tramite le loro molte collaborazioni, prima ancora di pensare a pubblicare un progetto solista; ed entrambi sono personaggi in parte avvolti nel mistero, perché hanno centellinato le interviste.

«Il paragone con Joe Cassano lo considero un complimento», esclama felice Vaz Tè al telefono da Genova, dove è tornato per i mesi estivi per «ricaricarsi al massimo» prima dell’uscita del disco. «Da ragazzino ho sempre ascoltato Inoki a manetta, e Joe Cassano l’ho conosciuto tramite lui. Ho divorato anche tutti i dischi del TruceKlan, dei Club Dogo e degli One Mic. Noyz Narcos è forse l’unico vero idolo che mi è rimasto, anche adesso che sono cresciuto». E sulla scarsità di informazioni disponibili su di lui, si prende tutte le responsabilità del caso: «La mia è una scelta: sono una persona molto introversa, tendo a non dare molta importanza alla comunicazione e ai social. Cerco di tenermene sempre un po’ ai margini, perché ritengo che nella mia posizione sia meglio affermarmi prima con la musica».

La sua musica, intesa come un lavoro unicamente suo e non un semplice featuring sulla traccia di qualcun altro, è molto attesa, anche perché sono passati tre anni da quando ha annunciato l’uscita del suo primo mixtape solista, VT2M (si pronuncia “Vu Ti Due Emme”), e finora la pubblicazione era stata rimandata già due volte. «È stato a causa di varie questioni che riguardano la mia vita privata», spiega, «ma ho cercato di sfruttare la cosa a mio vantaggio, dimostrando che riuscivo a mantenere e cavalcare l’hype pur facendo solo collaborazioni sui dischi di altri rapper». Questo venerdì, finalmente, VT2M uscirà davvero, ma non sarà esattamente lo stesso disco che era previsto tre anni fa, com’è ovvio che sia. «La tracklist è composta dal meglio del meglio di ciò che ho registrato e scritto in questa lunga fase. E sì, la M sta per Mixtape, ma è un vero e proprio album: abbiamo lasciato che le grafiche e le definizioni rimandassero a quell’immaginario e a quella mentalità semplicemente per omaggiare l’idea originaria. In compenso, il numero 2 è quasi uno scherzo: è riferito al fatto che sono talmente avanti che esce il volume 2 senza che sia mai uscito il volume 1!».

Vaz Tè e Izi

In un mercato discografico frenetico fino all’inverosimile, è strano immaginare che qualcuno – soprattutto un rapper – rimandi volontariamente il debutto per anni senza farsi prendere dall’ansia di non cogliere l’attimo. Vaz Tè, invece, si dichiara piuttosto tranquillo rispetto a questa scelta: «Non mi sono forzato, ho lasciato che il tempo facesse il suo corso, e alla fine credo di aver fatto bene», dice semplicemente. «Chiaro, anche a me è venuto il timore che la gente avrebbe potuto disinteressarsi a me prima o poi, che il mio momento passasse prima che riuscissi a dimostrare ciò che valevo, ma scrivere è la cosa più importante per me, quella che mi riesce meglio, perciò avevo fiducia che tutto sarebbe andato bene”. Una tranquillità che gli deriva anche dal fatto che, in un rap game che sa essere spietato, non si è mai sentito solo: nel collettivo Wild Bandana l’unione ha sempre fatto la forza, anche in virtù del fatto che, quando hanno cominciato loro, a Genova i rapper erano davvero pochissimi e noti solo a livello underground (un nome su tutti è Albe OK, che non a caso è sconosciuto al grande pubblico). «Tutto questo successo non ce lo aspettavamo neanche noi, a dire il vero. Sicuramente la leva che ha sdoganato questo tipo di musica in città è stata la nostra. Però, anche se è brutto da dire, credo che dovrà ancora passare del tempo prima che a Genova si riaffacci una realtà del genere. Chiunque voglia provare a fare meglio di noi è comunque il benvenuto».

Più che una crew, per Vaz Tè Wild Bandana è innanzitutto un gruppo di amici di vecchia data: «Tedua l’ho conosciuto a 18 anni tramite un mio ex compagno del liceo, e lui a sua volta mi ha presentato Rave. Pochi mesi dopo abbiamo inglobato nel collettivo un ragazzo di 16 anni, il più giovane di tutti noi, che scriveva talmente bene che oggi ci ha superato: tutti lo conoscete come Izi», ride. Quattro anni fa si è trasferito a Milano insieme a loro, che già cominciavano a sperimentare i primi sprazzi di successo vero. «Volevo dedicarmi anche io più seriamente alla musica, anche se per mantenermi facevo un lavoro normale. Vivevamo tutti insieme e ho cambiato tre o quattro case nel giro di un paio d’anni. È un posto che mi ha dato davvero un sacco di stimoli, anche a livello creativo, ma non è stata proprio una vita rilassante». Nonostante in quel periodo la città fosse piena di rapper o aspiranti tali arrivati da tutta Italia alla ricerca di un contratto discografico, non ha avvertito particolarmente la competizione. «Sia io che gli altri ragazzi della mia crew abbiamo sempre cercato di fare le nostre cose senza guardare troppo all’esterno, e forse anche per questo siamo rispettati da tutti. La competizione è più che altro nei confronti di noi stessi: cerchiamo sempre di alzare l’asticella del nostro lavoro».

La musica di Vaz Tè si ispira in parte a un sottogenere particolarmente cupo e spigoloso della trap, il drill, che è nato una decina di anni fa nei quartieri più disagiati di Chicago e nel giro di breve si è espanso anche altrove, soprattutto nei sobborghi di Londra, con un discreto successo commerciale. A riprova di ciò, nell’album c’è anche un featuring (oltre a quelli immancabili di Izi e Tedua, e a quelli di Drefgold e Peppe Socks) di Sav12, uno dei nomi più in ascesa della scena UK drill che lui adora. «Lo seguivo già da un po’ e l’ho contattato su Instagram durante il lockdown, chiedendogli se gli andava di collaborare. Lui si è subito preso bene e il giorno dopo mi aveva già mandato la sua strofa. Ancora non abbiamo avuto occasione di incontrarci, ma ho in programma di andare a trovarlo appena sarà possibile».

È difficile spiegare cos’è il drill a chi non lo ha mai ascoltato, ammette Vaz Tè. «Io e gli altri Wild Bandana ci siamo appassionati in tempi non sospetti, più precisamente da quando è uscito Finally Rich di Chief Keef, nel 2012: è un album che abbiamo consumato». Trasportare quelle sonorità e quell’immaginario in Italia non è un’impresa semplice: «Ha dei temi molto forti e legati alla strada, e qui è percepito molto male. Anche perché la nostra situazione non è certo paragonabile a quella delle metropoli inglesi o americane, non abbiamo gang adolescenziali che pugnalano la gente per strada o che gestiscono lo spaccio sparandosi addosso. Personalmente cerco di filtrare i contenuti: non racconto la violenza, ma parlo per metafore, o esprimo un disagio più interiore, dipingendo situazioni ed emozioni che riguardano la gente comune». Vale anche quando si tratta di fare semplicemente uno sfoggio autocelebrativo di stile: “Il valore artistico sarà sempre in evoluzione / finché un genio autistico farà a pezzi la mia invenzione” dice in Tarzan & Mowgli, la traccia che condivide con Tedua. «Ci tengo a dire che non volevo essere insensibile nei confronti delle persone autistiche e delle loro famiglie, anzi. Per me è un modo per dire che la vera novità dirompente, l’arte nel senso più alto e nobile del termine, può arrivare solo da una creatura pura e disinteressata, che vive in un universo tutto suo».

Se anche lui sia una creatura simile, però, lo lascia decidere volentieri agli ascoltatori: «Non sono molto bravo nel definirmi, quindi è difficile dire cosa sono e cosa non sono. Preferisco che lo facciano gli altri».

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