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Una giornata alla corte di Renato Zero, l’imperatore del pop italiano

Lo streaming come sposarsi «senza andare a letto col coniuge», la «liturgia» dei concerti, «accarezzare Dio», il cofanetto letterario-musicale ‘Atto di fede’: storie dalla conferenza-show di Renato I e unico

Foto: Roberto Rocco

Mercoledì Renato Zero ha illustrato a Roma – e dunque, per dirla alla Renato Zero, al mondo – quali saranno le prossime due tappe della sua strada verso l’immortalità; una strada lunga cinquantacinque anni di carriera, quarantaquattro album e cinquecento canzoni. Con voce e piglio narrativo continuamente mutevoli, alternando toni da gladiatore che incita la folla a quelli da sacerdote che la confessa, l’artista ha presentato prima Atto di fede, un cofanetto letterario e musicale, edito da Tattica; poi Zerosettanta, un quadruplo concerto programmato in autunno.

Come luogo dell’appuntamento con i media, con riserbo da pontefice che non necessariamente ha dovuto operare una scelta di campo tra potere spirituale e temporale, Renato I (e unico) ha eletto l’esedra di Marco Aurelio ai Musei Capitolini e ha parlato da un piccolo trono in pelle nera, sovrastato solo dalla statua equestre dell’imperatore titolare della sala e dal cielo della Città Eterna, che trapelava dalla copertura trasparente opera di Carlo Aymonino.

Atto di fede esce oggi nelle librerie, nei negozi di dischi e nei loro corrispettivi online, ma non in formato digitale. È composto da un libro e da un doppio album a tema sacro. Non è un caso che Renato abbia rivolto le parole più dure del suo lungo intervento a due categorie: le piattaforme di streaming musicale e i musicisti qualunquisti. «Lo streaming è come se ti sposassi senza poter andare a letto col tuo coniuge. Solo la fisicità del CD, e prima ancora del vinile, è rappresentazione del possesso del lavoro dei musicisti». Più avanti: «Vorrei lasciare il mio scettro a ragazzi che innovano e che non rifanno sempre le stesse cose. E soprattutto che rompano le palle ai musicisti: fateli suonare, fateli circolare, non fermatevi ai plug-in».

Il tour de force di Atto di fede è un unicum nel panorama musicale contemporaneo, leggero o no. È un kolossal di quasi quaranta tracce, di cui diciannove sono arie o cori di un vero e proprio oratorio neanche tanto pop (hanno titoli come La parola è carità o Grazie Signore), intervallati da altrettanti recitativi, letti da attori come Luca Ward o Giuliana Lojodice e scritti da ospiti che Renato ha definito i suoi Apostoli della Comunicazione: in ordine alfabetico, Alessandro Baricco, Luca Bottura, Pietrangelo Buttafuco, Sergio Castellitto, Aldo Cazzullo, Lella Costa, Domenico De Masi, Oscar Farinetti, Antonio Gnoli, Don Antonio Mazzi, Clemente J. Mimun, Giovanni Soldini, Marco Travaglio, Mario Tronti, Walter Veltroni.

«Sono stato ballerino, attore, ho fatto il cabaret con Fellini, ho vissuto le notti di discoteche con l’Altromondo di Rimini. Ma oggi sono arrivato a un traguardo a cui ambivo da molto tempo: accarezzare Dio e fargli i complimenti per come mi ha gestito e ha mantenuto intatta la mia fede. Parola di Renato. Ci siamo dimenticati di Dio per parecchio tempo. Abbiamo lasciato che l’apatia e la stanchezza intellettuale ci allontanassero da lui».

L’ascolto delle tracce restituisce l’impressione di essere di fronte a una sorta di spettacolo mentale, avvolto da un’aura di forte misticismo a sfondo ecologico: un musical che va in scena nel profondo della coscienza del suo autore anche perché, tra tante comparsate, per quanto illustri, l’unico vero featuring è quello con Dio.

Il secondo progetto, se possibile ancora più ambizioso del primo, è rappresentato dai fasti renatiani programmati, al Circo Massimo, per quattro serate dal 26 al 30 settembre prossimi, che si concluderanno nella notte del suo settantaduesimo compleanno, arrotondato per ovvi motivi di Covid e di amor proprio, in Zerosettanta («Eh, settanta cucuzze non sono poche»).

Renato introduce il nuovo tema con la stessa solennità tributata all’altro: «Vi ringrazio di essere qui a nome della musica italiana e di noi artisti che rimpiangiamo il palcoscenico e la nostra sagrestia, che è il camerino». La voglia di tornare a esibirsi è tanta: «I miei sorci verranno da ogni parte d’Italia con le loro pagnottelle al prosciutto. Perché il 30 settembre veniva al mondo ‘sto capolavoro!». Spiega: «Per fortuna per me il pubblico è una presenza che non si distacca dall’incontro casuale, nelle strade, nel quotidiano. Quando dovrò prepararmi alla liturgia del concerto, però, che è più mistica, sono certo che mi consegnerò comunque vergine alle aspettative del pubblico, con emozioni e sensazioni nuove». Renato è inarrestabile: «Come ogni albero di Natale è diverso da tutti gli altri, il concerto del mio compleanno avrà una scaletta diversa per ciascuna sera, per permettere ai più ostinati di festeggiare con me ogni giorno».

Nel corso dell’incontro Renato riesce a compiere il miracolo di parlare di sé in terza persona ed esprimere emozioni relativamente umili, come quando chiama a sé Giacomo Voli e Lorenzo Licitra, i due giovanissimi ospiti musicali dell’album, che sono visibilmente pazzi di lui e anche un po’ in soggezione: «Allora, questo rapporto con Renato, com’è stato?».

Lo Zero conferenziere è uno Zero diversissimo dallo Zero televisivo, figurarsi da quello canoro. In assenza di musica l’evento è dominato dal puro linguaggio – e sono molte le occasioni per fermarsi a riflettere su come sia ricco di sfumature, nella sua relativa spontaneità, quello di Renato.

Nel contesto museale capitolino le scelte lessicali zeriane si deformano, con virate al limite del giornalistese, che però danno spesso adito a quasi altrettante licenze poetiche. «Vi devo presentare l’arrangiatore mio (Adriano Pennino, nda). Vieni Adrià, dillo con chi hai lavorato: Ornella Vanoni, Sal Da Vinci… Anzi no, fai prima a dire con chi non hai lavorato. Adrià, ci vuoi dire con chi non hai transitato?».

A volte l’intera estensione linguistica di Renato è compresa in un solo scambio coi tecnici. La prima richiesta è più formale: «Possiamo cortesemente attenuare il faro?». La seconda è già più decisa: «Lo potete spengere ‘sto cannone?». Alla terza è il Renato a cui nessuno può dire di no: «Ahò me lo levate sto mostro?».

Verso il finale di questo spettacolo prima dello spettacolo, in occasione delle domande dalla platea, Renato Zero si rilassa e comincia a virare ormai verso il format della stand up comedy, ma rigorosamente da seduto.

Gli chiedono come imposterà i concerti al Circo Massimo, rispetto alla tradizione che vi ha voluto ospitati nomi come i Pink Floyd o Bruce Springsteen. Lui non abbocca alla provocazione: «Mandatemi i link di questi concerti, in modo da evitare il rischio di rifare qualcosa di simile a loro. Se chiedeste di me ad Archimede Pitagorico vi direbbe: a noi inventori Renato Zero ci rompe i coglioni da una vita». La mascherina di Marco Travaglio, seduto in ultima fila, si gonfia come un otre dal ridere.

Alla domanda su quale sia il suo segreto per intercettare un pubblico così ampio dal punto di vista generazionale (per la precisione: «Quando mostriamo un tuo video agli adolescenti ci rispondono: miii, questo è meglio dei Måneskin!»), Renato I e unico ha una risposta prontissima: «Il giovane deve capire che crescere è un diritto ma anche un dovere».

Ma lo scambio più bello di tutti è questo: «Come ti vestirai Renato?». «L’ideale sarebbe la foglia di fico, perché ormai ho messo tutto».

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