Un altro cantautorato pop è possibile: intervista a Donato Dozzy ed Eva Geist | Rolling Stone Italia
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Un altro cantautorato pop è possibile: intervista a Donato Dozzy ed Eva Geist

Con 'Il Quadro di Troisi' i due recuperano il pop sperimentale del passato e lo proiettano nel futuro. Qui raccontano il processo creativo, l'influenza di Battisti, la musica come «passeggiata dentro di sé»

Un altro cantautorato pop è possibile: intervista a Donato Dozzy ed Eva Geist

Donato Dozzy ed Eva Geist

Foto: Guido Gazzilli

Il pop italiano è in salute oppure no? È una domanda che ancora suscita dubbi e risposte divergenti: c’è chi vede nel nuovo itpop una ventata di aria fresca, chi invece riscontra un appiattimento di temi e motivi musicali, chi oramai vede come pop solo il genere che vende di più, che sia trap o un prodotto costruito a tavolino e senza sostanza, magari uscito dai reality, chi è nostalgico dei bei tempi andati. Però c’è anche chi pensa che il bello debba ancora venire. Ecco, è il caso di un disco che potrebbe darci delle risposte concrete: si tratta dell’esordio, in arrivo sulla blasonata etichetta tedesca Raster, de Il Quadro di Troisi, progetto dell’inedito duo Eva Geist-Donato Dozzy. Due producer e menti autoriali di un certo calibro che uniscono le forze per unire i puntini del pop elettronico italiano, partendo da molto lontano per arrivare a una sintesi che giustifichi un rinnovamento nella continuità.

Testi, melodie vocali e tessuti sonori compongono un quadro ispirato, personalissimo e dotato di un’energia pura che vuole scavalcare le ere per puntare già allo status di classico. Il Quadro, appunto, di Troisi: al quale diamo subito spazio, lo stesso spazio siderale che si percepisce nei solchi del disco (eh sì, esce anche in vinile, previsto per novembre).

La prima domanda è la più prevedibile: come vi è venuto in mente di fare un disco orientato al pop e soprattutto cantato in italiano? Normalmente i vostri progetti principali esplorano tutt’altre coordinate…
Geist: Beh, io faccio anche musica pop dal 2006. In italiano, principalmente, ma non solo. Subito dopo ho co-fondato Le Rose. Anche molte delle cose che faccio sotto il nome di Eva Geist sono pop. Ci sono dei pezzi pop in italiano, come Blumareciano. E pezzi strumentali, forse più nello stile delle colonne sonore. Ma vengo spesso citata per le mie melodie ammiccanti.

Dozzy: Non ho mai fatto cose orientate al pop, ma ho sempre sognato di farle, pur non ritenendomi pronto; poi ho finalmente incontrato Andrea, la persona giusta al momento giusto ed è stata subito magia.

I brani in qualche modo riecheggiano dischi di cantautorato elettronico italiano che hanno seminato tantissimo, ma i cui frutti pochi hanno raccolto. Ad esempio il progetto Ann Steel, il Paolo Tofani di Un altro universo o il Battisti della “possibilità monotonale” di E già, così come l’inserimento del pianoforte o della chitarra ci riporta ad atmosfere intimiste italo disco di Gazebo o di Mike Francis, a volte relegati a mero amarcord. Tutti questo semi vengono trasformati in albero, utilizzando la possibilità di “dimenticare” le matrici di partenza rinnovandole con la vostra sensibilità di musicisti elettronici internazionali. Ne eravate consapevoli o è stato tutto scritto di getto?
Geist: Ci abbiamo pensato a lungo e accuratamente, ascoltando moltissima musica durante la composizione. Un disco che mi ha ispirato tantissimo nei testi è appunto quello che hai citato di Battisti, E già. Raggio verde per me è un tributo. Ma anche Alice, Mia Martini e ovviamente i Matia Bazar. Io vivevo a Berlino quando ho scritto la maggior parte dei testi, trascorrevo la maggior parte dei miei after a ballare obscure pop, italo disco rarissima e altre cose malate. Abbiamo entrambi continuato a fare moltissimo clubbing. E poi abbiamo passato giornate intere ad ascoltare drone music. Queste canzoni a un certo punto sono diventate un hobby, si sono impregnate di tutte queste influenze. Pur venendo da mondi molto diversi, ciò che ci accomuna è l’eclettismo. Quindi abbiamo fatto anche tante altre cose nel frattempo. A volte rasentando l’esercizio di stile e pensando divertiti alla reazione degli ascoltatori più puristi.

Dozzy: Tutti gli autori da te citati sono stati, e tutt’ora sono, nostri riferimenti imprescindibili ai quali aggiungerei anche il Battiato della Voce del padrone. Nella fattispecie il contributo di Pietro e Paolo Micioni, che di Gazebo e Mike Francis sono stati i produttori, ha dato un colore, una firma a un progetto che naturalmente paga tributo ad un periodo storico/culturale per noi di grande rilevanza.

Perché pensate che certi dischi di elettronica italiana, che spesso davano e danno ancora diverse piste a quelli d’oltralpe, siano stati sottovalutati così tanto mentre oggi suonano profetici?
Geist: Il riconoscimento vero è sempre postumo. Perché la vera opera d’arte è sempre avanti. E comunque c’è da dire che un sacco di dischi pazzeschi sono sempre stati sottovalutati più in Italia che all’estero. Siamo tradizionalmente esterofili, non cambieremo mai.

A questo proposito il disco è il vostro debutto alla prestigiosa Raster, dico bene? E soprattutto è una collaborazione dell’etichetta con il festival italiano Terraforma, che vi ha visto in azione sui suoi palchi. Come è nata questa liaison tra le due realtà?
Dozzy: Collaboro con Ruggero Pietromarchi di Terraforma dalla primissima edizione del festival. Oltre a un rapporto lavorativo siamo anche buoni amici ed è naturale fargli sentire i progetti in anteprima. Del Quadro Ruggero si è innamorato subito e, sentendosi coinvolto, ne ha preso a cuore il destino; è sua l’idea di rivolgersi alla Raster.

A maggior ragione vedere un disco techno-pop in italiano in una etichetta del genere vuol dire forse che nel 2020 anche all’estero hanno capito certi guizzi pionieristici della nostra musica “leggera”?
Geist: Sì, onestamente abbiamo prima tentato con qualche etichetta nostrana. Ci tenevamo, ma non ha funzionato. Credo per via della complessità del disco. Raster ha evidentemente colto il potenziale innovativo, oltre che la citazione rétro.

Dozzy: È da tempo che all’estero la scena elettronica italiana ha l’attenzione che merita, ritengo sia proprio per questo che a pubblicare questo disco sia stata un’etichetta tedesca.

Passiamo agli arrangiamenti: quali sono state le difficoltà più grandi? A volte, quando si tratta di pop, soprattutto se elettronico, cadere nei cliché è molto facile: voi invece siete riusciti a difendere le vostre personalità, mantenendo un dialogo col passato senza cadere nel tranello. Avete escogitato qualche trucco?
Dozzy: Credo che la chiave di tutto sia rimanere se stessi, suonare se stessi, non scendere a compromessi di sostanza. Lavorare a questo disco è stato prima di tutto divertente, mai scontato e in un certo senso ha messo insieme decenni di sperimentazione a 360°. È come se in un momento specifico della vita tutte le conoscenze acquisite avessero avuto la necessità di convergere in un solo corpo musicale.

Com’è stato il processo creativo? Vi siete scambiati i ruoli? So che ad esempio è la prima volta che ascoltiamo Donato cantare in sottofondo….
Geist: No, assolutamente no. Io ho assunto proprio il ruolo di cantante e autrice. Mi è sembrato del tutto inutile intervenire negli arrangiamenti e neanche ne avevo voglia, Donato già conosceva la partitura prima che il pezzo fosse stato scritto. È stata una spontanea e proficua divisione dei ruoli.

Dozzy: Donato ha cantato in sottofondo sperando di non essere notato, e invece…

Ci sono anche dei brani sono spoken word: a chi vi siete ispirati? Per un momento, dal punto di vista del pop italiano, ho pensato agli Albatros di Volo Az 504 , ma a volte sembrano semplicemente preghiere moderne…
Geist: Quelli sono gli unici due brani non scritti, ma registrati di getto, quasi in trance al microfono. Un brano parla della comunicazione tra vivi e morti attraverso i sogni. L’altro dell’interpretazione di alcuni fenomeni cerebrali come il déjà vu, ma visto dal punto di vista della reincarnazione.

Dozzy: Fra le tante cose, di Andrea ho molto apprezzato il parlato, il sospirato, le doti d’improvvisazione e il conseguente impatto emozionale al primo ascolto. Mi viene di pensare all’arte di Anne Clark.

I testi sembrano esplorare tutta una serie di percorsi spirituali alla ricerca di qualcosa, che sia la pace, che sia se stessi. Una condizione che forse si è persa in questi anni di materialismo continuamente strombazzato sia in positivo che in negativo? Pensate sia il momento del ritorno dello spirito sulla materia?
Geist: Sì, esatto, la ricerca di se stessi. Mi ricordo lunghe passeggiate dentro il sé. Sembrava di toccare uno strato della coscienza, per poi accorgersi che questa è come l’orizzonte del mare, non si raggiunge mai. Si continua a cadere, come nei buchi neri; una caduta libera che smette di mettere ansia, quando s’inizia a provarci gusto. Riascoltando questi pezzi mi è capitato spesso di pensare che provenissero da altre realtà. Lo dici sempre anche tu che siamo antenne. Io più che fare mi sono messa in ascolto. Non sono io a dirlo, ma la scienza che la materia non esiste, è solo un addensamento di campi magnetici, o qualcosa del genere. È giunto quindi il momento di prendere in considerazione i mondi altri, interiori ed esteriori, perché già da tempo ci stanno parlando.

Parliamo degli strumenti suonati: siete stati usati dalle macchine o voi avete usato loro?  Sempre per tornare al discorso di anima e spirito nelle cose…
Dozzy: Ho agito guidato da un’estetica, dritto al punto. Ogni brano ha un colore e un suo calore, ogni mio sintetizzatore ha fatto la sua parte in armonia con i sentimenti del momento. Per fare alcuni suoni ci sono volute ore, ma sempre focalizzate ad ottenere il risultato migliore, è stato un esercizio di sublimazione.

Diceva Battisti: “le anime non hanno sesso né sono mie”. Questo disco lo conferma nella società d’oggi?
Geist: Questo disco lo conferma, nel suo spirito, ma forse meno nella sua materia. C’è ancora molta strada da percorrere, per riscattare l’anima martirizzata e superare il pregiudizio. Il bello di questa fase è che non si sa nulla, e solo nell’incertezza è possibile il cambiamento. Ma non c’è I Ching o Nostradamus che tenga, saremo noi a decidere come sarà il futuro, le diseguaglianze potrebbero ampliarsi, la mistificazione raggiungere tutti i livelli della comunicazione, la paura devastare ogni cosa… oppure potremmo imparare a vivere nel qui e ora.

Dozzy: Noi siamo testimoni e cantori di una società in regresso culturale, il che rende il nostro canto più netto, ma anche più doloroso.

Foto: Guido Gazzilli

Nel comunicato stampa c’è un accenno a questo periodo pandemico e allo stato in cui versa la nostra terra. Qual è il collegamento col disco? Perché se ricordo bene non è nato durante la pandemia. Potete spiegare meglio la questione?
Geist: Il collegamento è che il disco lo abbiamo iniziato nel 2018 e lo abbiamo chiuso proprio nei mesi di lockdown. Il mondo girava troppo veloce prima di allora, c’era bisogno di quel lavoro interiore per poterlo partorire. È stata una gestazione lunga, di un lavoro che è senz’altro figlio della pandemia.

Dozzy: Nella sua stranezza, questa pandemia ci ha costretti a una vita molto circoscritta e intima; per certi versi il tempo si è cristallizzato, così come le nostre idee. Direi una condizione ideale per far maturare e finire il progetto.

Nel disco ci sono anche svariate collaborazioni, segno che il lavoro nasce anche con un’aura di condivisione. Ce ne volete parlare?
Dozzy: Mi è sembrato normale condividere il processo creativo con persone stimolanti, a partire da Andrea, con la sua arte. Una presenza costante è stata quella di Pietro Micioni. Questo lavoro coincide con il trentennale del nostro rapporto di amicizia e stima professionale ed è di fatto il primo disco confezionato insieme. Poi ci sono tutti i musicisti che hanno dato il loro contributo con interventi acustici: Daniele Di Gregorio (marimba e percussioni), Fiona Brice (archi), Alex Alessandroni Jr (pianoforte), Jacopo Carreras (basso), Tommaso Cappellato (batteria), Aimee Portioli (piano e flauto), Emanuele Cefalì (sax), Giusy Noce (cori) e Andrea Lombardini (contrabasso). Poi c’è Stefano Di Trapani (l’autore di questa intervista, ndr), che ha scritto la bellissima L’ipotesi, che chiude l’album.

Veniamo al nome del progetto, davvero bizzarro: Il Quadro di Troisi. Molti si chiedono perché questo nome e perché proprio Troisi?
Geist: Abbiamo parlato di Troisi il giorno in cui ci siamo conosciuti e guardiamo spesso i suoi film e le sue interviste per rilassarci. Il quadro ha a che fare con un aneddoto su di lui.

Dozzy: Andrea dice che gli assomiglio…

Presenterete il disco dal vivo? Quali sono le prossime tappe promozionali?
Geist: Boh! (Ride) Le sa Donato, a me non me le dicono.

Dozzy: Con il periodo che viviamo, di fare concerti per ora se ne parla poco, ma lo faremo appena possibile.

Un’ultima domanda: il raggio verde citato dal singolo è lo stesso raggio magico di cui canta Kyoko Fukada nel film Dolls di Kitano, ossia quello dell’amore?
Geist: Sì!

Dozzy: È un raggio guaritore, lo si manda verso le persone che ci stanno a cuore!

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