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U.S. Girls: storia di un tiralatte, di un secchio che perde e di un disco

Meg Remy racconta il nuovo album ‘Bless This Mess’. C’entrano la gravidanza, la vitalità di James Brown e la saggezza di Springsteen. L’art pop come esercizio per vincere la paura e accettare la vita com'è

Foto: Vanessa Heins per Rolling Stone US. Makeup: Brittany Sinclair at P1M

C’era un tiralatte ad attendere Meg Remy nella sua casa di Toronto quand’è tornata dall’ospedale con due gemelli. Gliel’aveva prestato un’amica, ma Remy non sapeva se l’avrebbe usato. Aveva due neonati da nutrire, perciò l’ha messo in carica, ha attivato l’interruttore e… è partito un rumore gutturale.

«Che cazz’è sto suono?», ha detto Remy, 37 anni, leader di U.S. Girls, progetto pop originalissimo e sperimentale in costante evoluzione. «Sapevo solo che l’avrei usato per qualcosa».

Remy ha registrato quel rumore, l’ha campionato e l’ha usato in Pump, brano di chiusura del nuovo album di U.S. Girls Bless This Mess che uscirà il 24 febbraio su 4AD (un video di questa, ehm, session particolare è finito su Instagram). È l’ultima canzone che ha scritto per il disco portato a termine durante la gravidanza, fra il 2020 e il 2021. Il testo inizia come «la cronaca della mia permanenza in ospedale», tra cui una conversazione con un’infermiera, per poi continuare rielaborando i pensieri che le passavano per la testa quando passava ore attaccata al tiralatte. “Corpi, nascita, morte, macchine”, ripete il testo: un enigma di connessioni umane.

«L’unico momento in cui ero sola è quando tiravo il latte. Me ne stavo lì e pensavo: che cazzo sto facendo? Chi ha costruito questa macchina? E come facevamo quando questa roba non esisteva? Com’è che sembra che ci servano delle macchine che ci insegnino a fare cose che dovremmo saper fare d’istinto?».

Domande del genere hanno molte risposte e probabilmente si annidano più misteri nelle risposte che nelle domande stesse. Ma in Bless This Mess Remy è meno incline a trovare soluzioni e più interessata all’insondabile e ai misteri eterni.

U.S. Girls è partito come progetto lo-fi sperimentale e underground e ha debuttato nel 2008, quando Remy viveva a Philadelphia. Nei 15 anni seguenti, grazie a uscite molto ben accolte come In a Poem Unlimited del 2018 ed Heavy Light del 2020, si è specializzata in una miscela di rock, pop, funk e soul che trasforma un passato familiare in un futuro brillante, con groove ballabili e testi laceranti. Remy è una narratrice nata, un’osservatrice acuta ed empatica delle fragilità contemporanee e un’indagatrice di ogni aspetto di quel panorama infernale che è il nostro presente.

So Typically Now, il primo assaggio di Bless This Mess pubblicato in estate, ha il sound tipico di U.S. Girls degli esordi e prende di mira la gente di Brooklyn che si trasferisce a nord di New York in cerca di un irraggiungibile qualcosa. Remy non risparmia se stessa: chi non ha mai ceduto pezzi della propria anima in cambio di miseri guadagni? “Devo vendere le mie cose migliori per comprare di più, non di meno”, canta. “Ci rivedremo in paradiso, prima o poi”.

Il pezzo è un bell’esempio del sound tendente al funk di Bless This Mess, molto lontano dall’album minimale e chitarristico tipo U.S.-Girls-che-suona-il-blues che Remy pensava d’incidere dopo Heavy Light. Invece, causa lockdown, Remy s’è trovata a dover ricorrere a strumenti MIDI e a esplorarne la miriade di possibilità. E scherza: «Che diavolo avevamo in mente quando passavamo il tempo a comprare sintetizzatori vintage mezzi rotti, quando puoi prendere un simulatore?». Le mancava tantissimo il dancefloor, per cui si è concentrata su un groove incontenibile, tirando fuori di tutto, da pezzi surreali da radio AM (RIP Roy G Biv) a delizie disco music scintillanti (Tux). Al contempo, Remy ha studiati i vecchi video di James Brown, specialmente quelli del periodo con Bootsy Collins, affascinata da tanta autenticità.

«James Brown era Mr. Intrattenimento, era Mr. Dynamite, ma era anche completamente fuori dal mondo. Nulla lo sfioriava mentre cantava. È come vorrei essere, anche nella vita di tutti i giorni. Riuscire a mettere a tacere la voce che dentro di me dice chi dovrei essere e accettare la vita. Mi piacerebbe vivere nello stesso modo, in quel modo travolgente, così come travolgente è il funk. È lui che ti insegna come fare, è qualcosa di simile alla meditazione. Quando una cosa è sincera, non puoi fermarla, neanche volendo».

Anche se era chiusa in casa, Remy non ha realizzato da sola Bless This Mess. L’album è nato a poco a poco tramite uno scambio di e-mail con diversi collaboratori, un procedimento imposto dalla pandemia, ma anche accettato di buon grado, dopo che Heavy Light era stato registrato live in studio. «Ci abbiamo messo una settimana. L’ho fatto e non ho bisogno di ripetere l’esperienza», dice Remy. «È tipico mio portare a termine qualcosa e poi fare esattamente l’opposto».

In Heavy Light, Remy ha iniziato a scavare nel proprio passato con rinnovato vigore, un metodo che ha continuato a seguire con una spavalderia ancora maggiore nell’autobiografia del 2021 Begin by Telling. È un libro breve, brillante e brutale in cui teorie femministe e critica culturale scaturiscono dalla scoperta che suo padre l’ha molestata da bambina.

Bless This Mess, dice Remy, è «una reazione totale» a entrambi quei progetti. «Erano crudi e diretti: non nascondevo nulla», spiega. «In entrambi i casi, penso di essermi spinta un po’ più oltre di quanto intendessi. Anche nel nuovo disco ho usato le mie esperienze di vita, ma in modo più velato, per sentirmi a mio agio. Mi sono chiesta: davvero voglio strapparmi un altro strato di pelle, quando devo ancora guarire?».

Ciò non significa che l’album non sia sincero, intimo e rivelatore. Remy ha descritto il suo modo di fare arte come un esercizio per vincere la paura. Mentre completava Bless This Mess ha affrontato «molte paure legate al corpo», che vedeva cambiare. Però era determinatissima a terminare il disco nel corso della gravidanza. «Sarà un manufatto bizzarro legato a un momento specifico», ricorda di avere pensato. «Ero interessata a documentare come la mia voce sarebbe cambiata durante il percorso».

La grande sfida è stata cantare. Il suo diaframma, il muscolo della respirazione, «quell’organo che conoscevo molto approfonditamente e sapevo usare per creare suoni, era cambiato completamente. Anche la mia voce è cambiata, quindi, e con lei la fiducia in me stessa».

Nella trentaquattresima settimana di gravidanza, in attesa di due gemelli («È come essere incinta di 50 settimane di un solo bambino»), Remy era in studio a incidere le voci della sognante St. James Way. «Ero lì su una sedia, al buio, e riuscivo a malapena a tirare fuori un filo di voce: è per questo che suona così strana. È sfibrata. Faticavo a respirare e se non riesci a farlo per bene il fraseggio vocale tende a diventare uno staccato».

Nell’affrontare questi cambiamenti, Remy ha trovato un punto di riferimento nell’antica mitologia. «Avevo bisogno di storie importanti come ciò che stavo sperimentando io», dice. «Storie che dicessero: sì, hai tre cuori nel tuo corpo e tre volte tanto sangue… ed è roba epica».

Citando il libro di Joseph Campbell e Stanley Keleman Mito & corpo Remy spiega che la funzione del mito è «raccontarci storie che parlano di avere un corpo». E aggiunge: «E cosa deriva dal corpo? Tutto. Se non ne avessimo uno, non potremmo fare nessuna esperienza».

Vengono toccati anche altri argomenti. Il pezzo d’apertura del disco, Only Daedalus, è stato ispirato dal personaggio della mitologia greca Dedalo, ma non racconta la storia di suo figlio Icaro che vola troppo vicino al sole. Remy gioca invece con le idee di ego e creazione per dirci che dovremmo essere intelligenti e audaci come Dedalo quando ha fatto passare il filo attraverso la conchiglia legandolo a una formica. «Ognuno di noi è il Dedalo della sua vita. Cercare aiuto va bene, ma tutti sappiamo, in cuor nostro, la risposta a ogni domanda che poniamo. Se solo riuscissimo a pensare in maniera creativa, ad agire senza timore, a prenderci rischi, a legare un filo a una formica e stare a vedere cosa succede…».

Poi c’è la title track, che allude alla punizione comminata alle Danaidi per l’assassinio dei mariti: “Il nostro lavoro è portare acqua tutto il giorno in una giara crepata”, canta Remy su un tappeto cristallino di tastiere, un ritratto perfetto delle fatiche quotidiane. «Questa è la vita», dice lei. «Vai a dormire, ti svegli e dici: cazzo, la giara perde ancora».

Una volta Bruce Springsteen (che ha esercitato una grossa influenza sul progetto U.S. Girls) ha spiegato che le canzoni di Woody Guthrie l’hanno aiutato ad andare oltre al dolore espresso in My Bucket’s Got a Hole in It di Hank Williams, spingendolo a chiedersi perché c’è un buco in quel secchio. Remy ha utilizzato la sua musica per trovare una risposta alla stessa domanda. Ma i momenti migliori di Bless This Mess la vedono intenta a osservare giare che perdono e secchi pieni di buchi per cogliere qualcosa di trascendente.

In Futures Bet, il superlativo brano centrale del disco, Remy cavalca un fascio luminoso di synth MIDI per suonare come chitarre rock verso la calda luce dell’accettazione del caos infinito e l’eterno mistero della vita. Ma, al contempo, nel ritornello si annida una fitta dolorosa: “Nulla è sbagliato, va tutto bene, è solo la vita”.

È impossibile sottrarsi all’assenza di speranza oggigiorno e Remy lo sa: «Non mi era mai capitato di vedere tutte le persone che conosco vivere in un modo così precario. Non solo a livello economico, ma anche psicologico. È una cosa da non credere». Il modo in cui affronta questa situazione è parlarne, apertamente e spesso, con tutti. «Se ti permetti di provare allo stesso tempo amore e disperazione, scopri la natura dolceamara della vita. Il dualismo è una cosa splendida. Il punto non è sbarazzarsi della disperazione o bandirla in modo da non provarla mai più. Deve essere controbilanciata da un altro sentimento».

Cos’altro puoi fare? Accettarla.

“Bless this mess” (sia benedetto questo casino) è una frase che non t’aspetteresti di vedere accostata a una musicista art pop. È più adatta a qualche decorazione kitsch da casa di periferia, un ricamo prodotto a macchina, non un disco su 4AD. Bless This Mess inizialmente era una canzone scritta per un film, non è poi stata utilizzata, ma quell’esperimento ha spinto Remy ad allargare gli orizzonti del proprio linguaggio, che si è fatto più universale e meno minaccioso rispetto a quello dei testi tipici di U.S. Girls. Si tratta di un linguaggio, come dice lei stessa, che farebbe presa anche su sua mamma.

«È una frase che mi ha aiutata. Evoca un tipo di accettazione che ora come ora è importante. Perché non sistemeremo le cose. O meglio, ogni giorno fai del tuo meglio per rimettere tutto a posto, ma domani sarà di nuovo un disastro. Non possiamo sistemare le cose. Possiamo accettarle. Vederle, dare loro un nome, sentirle. Credo tutto ciò abbia un livello di lettura molto serio, ma anche no».

Remy è una che si muove in fretta. Quest’intervista ha avuto luogo a novembre, quando aveva già terminato Bless This Mess e due mesi prima che l’album fosse annunciato. Di punto in bianco mi ha rivelato di essere già al lavoro per il prossimo progetto: è creativa come sempre, anche ora che è diventata mamma. «Stare coi bambini è bellissimo ed è stimolante. Penso di continuo in maniera creativa e critica ed è una cosa che è di grande aiuto per creare arte».

Sta lavorando ad altra musica di U.S. Girls e spera di pubblicare qualcosa già nel corso di quest’anno. Ha anche iniziato a scrivere un secondo libro, un romanzo su due gemelli. «Parla di ciò che i gemelli rappresentano, della fascinazione nei loro confronti e di come sono stati percepiti nel corso del tempo. Nel medioevo, la nascita di gemelli significava che la madre aveva tradito il marito, tipo: hai fatto sesso con due uomini, ora ti uccideremo. Sto cercando di far convivere questi mondi e di scrivere utilizzando un punto di vista non convenzionale».

Remy sta facendo i conti anche con l’incertezza: la preoccupano nel lungo periodo il lato economico della carriera d’artista e nell’immediato andare in tour per promuovere Bless This Mess. Ha appena annunciato otto date che si terranno in aprile con una nuova band di cinque elementi; ma per via delle prospettive economiche sfavorevoli, il tempo che dovrà passare lontana dalla famiglia e l’impatto ambientale di tutto quel viaggiare non sa dire se ne varrà la pena.

In questi momenti Remy cerca di tornare a cose semplici, sincere: l’idea che la musica sia sacra. «Tutto questo non è colpa della musica. La musica è la parte migliore di tutto ciò. È quel che ci sta intorno che distrae da essa e ne succhia via la linfa vitale. Ho ancora una voce, posso cantare. Qualcosa vorrà pur dire».

Da Rolling Stone US.

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