TY1 e il rap che non c’è più | Rolling Stone Italia
Dal produttore al consumatore

TY1 e il rap che non c’è più

Per arricchire 'Djungle', che è diventato 'Djungle Unchained', il produttore e dj ha chiamato soprattutto rapper giovani e di seconda generazione. «Oggi mancano fame di novità e capacità di rappare»

TY1 e il rap che non c’è più

TY1

Foto press

Per capire che direzione sta prendendo quell’onda sempre più grande che è il rap in Italia – tra Sanremo e Instagram, dischi di platino e sold out nei palazzetti – non c’è miglior occasione che fare due chiacchiere con uno dei dj e producer più stimati del rap game, DJ TY1 che torna con Djungle Unchained, versione pimpata con sette tracce inedite del precedente Djungle. Tracce su cui rappano big e “nuove proposte”, da Guè e Coez fino agli emergenti Touché, 8blevrai, Delé ed Epoque, giovanissimi – cercherò di farglielo notare, ma hanno metà degli anni di TY1 che è del ’79 – e seconde generazioni, come la nazionale francese degli ultimi mondiali. Già, perché oggi un producer alle prese con un disco zeppo di voci è un po’ come un mister che cerca l’equilibrio tattico giusto tra il talento dei singoli e il mood di suono dell’album. Quindi eccoci con il mister TY1

Hai scelto di collaborare con nomi emergenti e giovani come Touché, 8blevrai, Delé ed Epoque. Lavorando insieme che tipo di scambio hai avuto con loro?
Già il fatto di unire rapper che prima non si conoscevano tra loro è uno stimolo che può anche dar vita a delle amicizie artistiche importanti come quella che ho fatto nascere in precedenza tra Neffa e Coez.
Con i più giovani la vera differenza è che si lavora in modo molto veloce, scrivono il pezzo in mezz’ora e allora magari mi permetto di dirgli di riascoltarla, di lavorarci con più calma. Loro hanno fame, vogliono scrivere cinquanta pezzi al giorno ma il mio consiglio è di lavorare sulla qualità e non sulla quantità. Quando lavoriamo insieme mi mandano delle reference musicali per il pezzo, io le accolgo e poi gliele stravolgo col mio stile. Così li porto nel mio sound facendoli sentire a loro agio, magari usando un campione indiano in cui si sarebbero mai imbattuti da soli.

Come hai scelto i nomi?
Li scelgo perché hanno un loro stile. Quando ho sentito per la prima volta Marracash in Popolare, mi flashò lo slang, il modo di girare le rime, il flow, era unico, e così oggi due come Kid Yugi e Nerissima Serpe mi colpiscono perché sono originali, diversi da tutto il resto. Tranne Delé e Epoque, che ho scelto per confrontarmi con le sonorità afro più nuove, tutti gli altri li ho chiamati perché rappano e non è facile oggi che tutti vogliono fare la drill o la trap trovare ragazzi che sappiano davvero fare rap. E in modo innovativo.

Come è cambiato il mestiere di producer in questi anni? Ora la scena si è allargata, diversificata, è diventata pop, va a Sanremo…
Mi piace che ci sia tanta carne al fuoco. Prima Touché mi ha fatto ascoltare un ragazzino giovanissimo che spacca, mi ha stupito. È bello scoprire che intorno a te stanno uscendo tante cose buone.
Io ho iniziato a fare il dj nel 1993 ma sono andato ad ascoltarmi la musica che aveva un passato e una storia, e che mi ha formato. Quello che noto oggi è che le produzioni hanno sempre le stesse sonorità, mi arrivano un sacco di beat ma mai qualcosa di nuovo, che mi stupisca. Adesso a molti giovani producer manca la fame di ascoltare altri generi musicali e di fonderli con la loro sound. Charlie Charles e Sick Luke sono un caso a parte, intoccabili, perché hanno portato la trap in Italia, ma da tutti gli altri mi aspetto più ricerca, più novità.

Tu sei di Salerno e c’è molta napoletanità anche nel tuo disco: J Lord (con un rap pazzesco, incredibile in 6 mesi), MV Killa, Yung Snapp, Lele Blade. Da produttore credi che ci sia un Napoli sound riconoscibile anche nei tuoi beat?
I rapper napoletani sono proprio un passo avanti agli altri, J Lord e Geolier scrivono con la stessa sicurezza dei big che hanno il doppio della loro età. Musicalmente parlando la mia musica non può prescindere dall’influenza di Napoli Centrale, Almamegretta e Pino Daniele. Per non parlare di Liberato, che ha un sound che non sembra neanche italiano, è internazionale.

Ha ancora senso nel rap parlare di scuole, vecchie o nuove?
Così mi fai sentire vecchio! E invece mi sento new. E anche i suoni che senti nel disco sono nuovi.

Ma non hai nostalgia per il mondo delle battle, delle gare di scratch e delle crew di producer degli anni ’90?
Ah le jam! Certo più costruttive che confrontarsi su Instagram. Ma anche oggi ci sono cose fighe, una su tutte è stata 64 Bars di Red Bull a Scampia poco tempo fa.

Se dovessi scegliere un solo nome da segnalare come prossimo protagonista della musica italia?
Kid Yugi. Quelli nel mio disco sono tutti bravi, ma a lui ci tengo particolarmente.

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