Twenty One Pilots: la fuga continua | Rolling Stone Italia
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Twenty One Pilots: la fuga continua

A Londra con il duo alternativo («ma alternativo solo alla musica brutta»), tra auto in fiamme sul palco e fan fuori di testa. Perché Josh e Tyler, pronti a festeggiare il nuovo trionfo di ‘Trench’, hanno trovato la formula del successo. Nonostante i litigi su Russell Crowe

Twenty One Pilots: la fuga continua

Foto di Adam Elmakias

«Un’auto in fiamme? Io non l’ho vista! Davvero c’era una macchina infuocata sul palco?!». Tyler Joseph scherza, mentre ricapitoliamo gli highlight della sera precedente, il primo concerto dei Twenty One Pilots dopo oltre 12 mesi lontani dalle scene. Un anno durante il quale lui e il socio Josh Dun hanno cancellato dai propri smartphone tutti i social e scelto il silenzio: niente Facebook, niente Twitter, niente Instagram, per concentrarsi sulla scrittura e la registrazione del nuovo album, Trench.

Ma veramente si sono disconnessi completamente? «Certo che ogni tanto una controllatina ai nostri account l’abbiamo data: non è stato un black-out totale, ma ci siamo andati vicini». E ora eccoli qui, in una camera d’albergo a Londra, dopo una prima data di riscaldamento – fuoco e fiamme – sul palco della Brixton Academy (tutto esaurito, come è già sold-out il loro concerto in programma all’Unipol Arena di Bologna il prossimo 21 febbraio). «Eravamo nervosi, è stato un po’ come tornare a scuola dopo le vacanze estive», dice Josh. «Mi succedeva alle superiori: pensavo di non riuscire a parlare con nessuno dei miei compagni di classe, e invece, dopo l’intervallo, mi rendevo conto che era tutto esattamente come l’anno precedente».

Ancora una volta sono stati promossi a pieni voti dai fan che, in fila fuori dal locale e in platea, hanno tutti un pezzo di nastro adesivo giallo attaccato addosso. Cosa significa quello scotch colorato? «Per spiegarlo dobbiamo andare in profondità», risponde riflessivo Tyler. E allora immergiamoci in Trench, il quinto disco dei Twenty One Pilots: «Trench è un posto selvaggio, imprevedibile: una terra di mezzo tra Dema, una città controllata da governanti che manipolano chi ci vive, e il mondo esterno, ignoto, libero. Danno la caccia a chi prova a scappare, e le persone in fuga indossano il nastro adesivo giallo, un colore che i predatori non riescono a vedere: è dunque un modo per comunicare con le altre persone in fuga, un segno di appartenenza».

In un’epoca di singoli streaming usa e getta e pressoché totale rifiuto della complessità, Trench è un concept album, strada già battuta dai Twenty One Pilots con il precedente Blurryface – disco che aveva registrato il trionfo di ogni singola canzone, diventata almeno Oro negli Usa, un record assoluto: «Lavorare su un intero album in un mondo guidato dai singoli è sicuramente un’operazione rischiosa. Ma piuttosto che seguire la moda della settimana, preferiamo invitare i fan a tuffarsi dentro il disco, sperando che lo apprezzino e capiscano il lavoro fatto in un anno». Naturalmente, se i pezzi di Trench sono stati scritti e registrati da giugno 2017 in poi prevalentemente nella cantina di Joseph, «il concept risale a molto, molto tempo fa», rimasto a lungo sedimentato nella sua testa.

Torniamo un attimo all’esperienza del fuoco, l’auto in fiamme, parte integrante di questo concept, e al primo concerto del nuovo corso dei Twenty One Pilots, in attesa del Bandito Tour: «Altro che non vederla, ero concentratissimo per paura di bruciarmi!», ammette Tyler. «Ero pur sempre su una macchina infuocata!». Ma quanto costa incendiare un’auto ogni sera? «Anche se non le diamo davvero fuoco, ed è sempre la stessa per ogni concerto, co- sta comunque tanto progettare una cosa del genere. Non vi dirò mai quanto, ma… ora guadagniamo abbastanza soldi per farlo».

La Skeleton Clique (la fan base hardcore dei Twenty One Pilots, ndr) è composta da giovanissimi, prevalentemente adolescenti, e molti di loro sono accompagnati al concerto dai genitori, che sembrano comunque apprezzare sinceramente il live. Tornando indietro nel tempo, Tyler e Josh ricordano di essere stati a sentire il loro gruppo preferito insieme a mamma e papà? «I nostri genitori non erano proprio tipi da concerti, quindi non abbiamo scoperto tanta musica grazie a loro», risponde Josh, un po’ cupo. E qual è stato il primo concerto nella vita dei due Twenty One Pilots? Tyler: «DC Talk, era il tour di Supernatural. Fine anni Novanta, primi Duemila. Una figata». Josh: «Non ricordo, forse John Reuben».

Non ci siamo mai messi in testa di fare un determinato genere, né di definire la musica che facciamo. Per noi non ci sono confini

Il primo un gruppo, il secondo un solista, entrambi etichettati sotto il nome di christian rap, perché sia Tyler che Josh provengono da famiglie profondamente credenti. Ma i Twenty One Pilots non si sono mai definiti un gruppo cristiano, e per quanto riguarda la loro musica è difficile trovare una definizione. Alternative hip-hop, alternative rock, alternative pop, dicono Spotify, Tidal, Wiki… «Siamo talentuosi, certo», risponde secco e divertito Tyler. Andando oltre le battute, si sentono alternativi a qualcosa, considerato anche il loro strepitoso successo mainstream? «Alternativi alla musica brutta». Poi si fa serio: «Non ci siamo mai messi in testa di fare un determinato genere, né di definire la musica che facciamo. Per noi non ci sono confini».

Tyler e Josh suonano insieme dal 2011. Il primo – membro fondatore del gruppo – è voce, tastierista, bassista e frontman “predicatore”; il secondo, invece, è il batterista, la forza motrice della band. Tra infiniti tour sold out e maratone promozionali, vanno sempre d’accordo tra loro? Nessuna lite? «Raramente, ma capita di litigare». Ok, oggetto della discordia? Tyler: «Russell Crowe. A lui non piace, e per me è un problema». Josh: «Ma non è vero! Te l’ho detto che ho cambiato idea, ho capito che non c’era motivo di odiarlo».

Josh ha compiuto 30 anni, Tyler li farà a dicembre. Com’è dire addio ai vent’anni? «C’è una bella differenza tra i 20 e i 29, abbiamo imparato così tanto in questi ultimi anni», risponde serissimo Josh. Ma da ragazzini che idea avevano di un 30enne? «Un vecchio!», ride. «Ma ora è davvero una bella sfida continuare a fare quello che abbiamo iniziato a 22 anni». A 40 anni vi vedete ancora qui? «In questa camera d’albergo?», ribatte Tyler: «Sì, ci piacerebbe tantissimo. Ma dovremo registrare un po’ di cose, un sacco di lavoro». Bene, quanti album credete di registrare nei prossimi 10 anni, tre? «No, solo uno. Ma a 40 anni suoneremo ancora meglio».

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