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Tutta la musica di Milo Manara

È uno dei giganti del fumetto, ma la sua arte sconfina spesso nel mondo della musica. Ci ha raccontato dell'incontro con Dalla, della taccagneria dei Biffy Clyro, dei duelli fra Pazienza e Guccini

Foto: Simone Florena

«C’è chi la pensa diversamente, ma la musica, se uno si dedica davvero all’ascolto, merita attenzione massima per essere apprezzata appieno: specialmente certi generi. Ti assorbe e rende difficile la concentrazione su altre attività»: sono le prime parole che mi dice, dopo una cordiale introduzione, il maestro Milo Manara – uno dei giganti del fumetto italiano contemporaneo – che ho raggiunto telefonicamente per indagare sul rapporto della sua arte con la musica.

Manara, infatti, ha spesso “sconfinato” nel mondo della musica (come, del resto, altri colleghi) in qualità di autore d’illustrazioni per copertine di dischi, ma non solo. In concomitanza con la mostra “Milo Manara – Un viaggio nel desiderio” presso il Porto Antico di Genova (23 giugno-17 ottobre), con una simpatia e una leggerezza contagiose il maestro mi ha raccontato una serie di aneddoti che lo legano alla musica da lui ascoltata, suonata (si diletta col sax), illustrata e vissuta.

Qual è il suo rapporto con la musica?
La ascolto molto, ma in modo non programmatico, diciamo: non è che la scelga io. Sento la radio perché mi piace essere sorpreso da ciò che viene proposto, soprattutto su Radio 3 che, nonostante ciò che a qualcuno può sembrare, propone una grande varietà: non è solo classica, anzi, programmano molta musica pop, tanto jazz…

Lei ha una collezione di dischi o è un fedelissimo della radio?
Possiedo un po’ di dischi e CD, ma non sono mai stato un grande acquirente: questa probabilmente è una colpa, ne ho pochi in effetti… ciò non toglie che io ascolti parecchia musica.

Ha un genere preferito?
Sono abbastanza onnivoro, direi. Sono una di quelle persone che distinguono la musica in due grandi categorie: quella che mi piace e quella che non mi piace… c’è chi dice “musica bella” e “musica brutta”, ma in realtà è una cosa troppo soggettiva. E poi chi sono io per stabilire così, apoditticamente, quale sia la musica bella o brutta? Quindi la vera distinzione dipende dal fatto che mi piaccia o meno.

Ha un disco del cuore?
Ne ho più di uno e tutti mi ricordano situazioni diverse. Così, sul momento, mi sovviene il brano Petit Fleur suonato da Sidney Bechet: io sono un amante del sassofono e lo suonicchio anche… ah e il retro di quel singolo di Bechet, che si intitola Dans les rues d’Antibes, se vogliamo, mi piace ancora di più e mi evoca ancora più ricordi: lo ascoltavo in un momento molto importante della mia adolescenza. Un altro disco che mi è rimasto nel cuore è Apache degli Shadows, uno di quei gruppi pre Beatles, prima della grande ondata della British Invasion: era il 1960.

C’è qualche artista contemporaneo che segue e a cui è legato?
Sì, certamente. Ho anche la fortuna di avere degli amici fra i miei musicisti preferiti attuali… per esempio sono amico di Francesco Guccini, che è fra quelli che più apprezzo, e poi di un grandissimo – lui forse sul piano musicale è il mio favorito – ovvero Paolo Conte. Ho conosciuto personalmente molti musicisti, perché ho avuto l’opportunità di partecipare a una bella trasmissione televisiva con Vincenzo Mollica che si chiamava Taratatà (in onda su Rai 1 dal 1998 al 2001, con diversi conduttori e conduttrici, nda): in ogni puntata c’erano diversi ospiti e io ero una presenza fissa perché avevo il compito, ogni volta, di creare un disegno che omaggiasse l’ospite di turno. Fra gli artisti che ricordo con più affetto, in occasione di questi incontri televisivi, ci sono De Gregori e Bruno Lauzi, che manifestò grande apprezzamento nei miei confronti: lui era davvero un cantautore dalla sensibilità straordinaria.

Lei ha creato le copertine per alcuni dischi di grandi nomi, peraltro.
Sì e anche con loro è nato un rapporto, agevolato dal fatto di avere lavorato insieme. Ne ho disegnate diverse: per Lucio Dalla, Riccardo Cocciante, Enzo Avitabile, Biagio Antonacci, David Riondino, il grande bluesman purtroppo mancato da poco (nel 2017, per la precisione, nda) Rudy Rotta, il polistrumentista Bruno Marini….

La copertina di ‘Sapessi dire no’, disegnata da Milo Manara

Sono molto curioso della sua collaborazione con i rocker Biffy Clyro: mi racconta come sono andate le cose?
Sì, ho fatto circa una mezza dozzina di copertine per questa band scozzese. In realtà, però, non le ho disegnate appositamente per loro: mi hanno semplicemente chiesto di potere utilizzare dei miei disegni già esistenti, forse trovati online o in qualche pubblicazione. Ricordo di avere ricevuto, diversi anni fa, una mail in cui un portavoce presentava il gruppo in modo molto umile e pietistico, sottolineando il fatto che non avevano mezzi economici ed erano al loro primo disco, per cui in sostanza mi chiedevano di usare gratis un mio disegno. Io gliel’ho concesso, ho solamente detto: «Va bene, almeno mandatemi il disco quando esce… vi faccio tanti auguri per la vostra carriera e se mai doveste avere successo, nel futuro, magari ne riparleremo». Beh, in realtà loro mi hanno preso un po’ troppo alla lettera approfittando della situazione, usando diversi miei disegni: e non mi hanno mai dato neppure un centesimo… si sono dimostrati dei veri scozzesi! (Ride) Addirittura non mi hanno nemmeno mandato i dischi: mi hanno fatto avere solo il primo!

Come sono nate, di regola, le copertine degli album che ha creato ad hoc? Il suo lavoro si basava su un ascolto dei dischi? C’erano altri meccanismi o input?
Naturalmente c’è sempre stata una fase di ascolto dei dischi in questione, ma era importantissimo anche il colloquio e il confronto di idee con l’artista. Con tutti ho parlato, c’è stato uno scambio di vedute, poi magari io facevo un bozzetto e lo si commentava insieme. Ovviamente il titolo è molto importante e di solito il disegno contiene un riferimento che lo evoca. Ricordo che, per esempio, a Cocciante proposi io il disegno per La grande avventura e il soggetto mi venne in mente perché musicalmente era un LP molto più sereno rispetto alle sue cose precedenti, che erano piuttosto disperate e sofferte… per cui gli proposi un bozzetto che evocava una sorta di resurrezione e lui fu molto contento dell’idea.

Come andarono le cose con Lucio Dalla?
Ricordo che mi telefonò il suo agente Michele Mondella comunicandomi che, appunto, Dalla desiderava che io gli disegnassi la copertina di un disco, la raccolta intitolata 12000 lune. Mi disse che Lucio sarebbe passato a trovarmi a casa e infatti così fu… parlammo per un paio d’ore del più e del meno, poi lui se ne andò. Non mi disse nulla del disegno per la copertina, neppure sfiorammo l’argomento. Poi poco dopo mi telefonò nuovamente Mondella dicendomi che Dalla non aveva avuto il coraggio di chiedermi nulla (ride)… ma in realtà ero io a essere intimidito di fronte a un artista come lui! Alla fine è poi tornato, in un’altra occasione, e finalmente abbiamo parlato della copertina. Fra le varie che ho fatto penso sia quella a cui sono più affezionato… intanto perché lui purtroppo non c’è più, ma non solo: infatti, casualmente, ho avuto modo di vedere qualche immagine del suo studio – che è diventato una specie di museo – e ho visto che il mio disegno è appeso a una parete, ben visibile… l’aveva incorniciato e appeso. Questo mi ha davvero toccato e ne sono molto onorato. Ricordo ancora che era venuto da me a prendere l’originale del disegno: io ero in vacanza a Gallipoli e lui mi aveva raggiunto fin lì, arrivando alla guida di – mi pare – una Porsche decappottabile, accompagnato da degli individui scalmanati (ride), degli amici… vedendo la mia tavola originale mi ha detto (imita l’accento bolognese): «Ah, mi hai fatto più bello di mia mamma!» (ride).

Ha disegnato anche per David Riondino, un artista molto particolare.
Con David Riondino siamo molto amici da tanti anni. Ho persino ho realizzato il manifesto del suo primo spettacolo, che si chiamava Meno 18 perché si teneva 18 anni prima del 2000, quindi nel 1982… quasi 40 anni fa. Per lui ho disegnato due copertine, quella di un LP intitolato Il tango dei miracoli e un’altra per un disco in cui lui ha musicato il Cantico dei cantici (si tratta del CD del 1991 Non svegliate l’amore, nda).

La copertina de ‘Il tango dei miracoli’ di David Riondino, disegnata da Milo Manara

Ecco: la seconda copertina che cita vede lei come autore del retro, mentre il fronte è un disegno di Andrea Pazienza, altro artista che si è spesso prestato a creare illustrazioni per dischi. Lo conosceva?
Sì eravamo amici, certo! A proposito di musica e Andrea, ricordo che ci si vedeva sempre per il Premio Tenco… mi viene da ridere solo a pensarci… era una delle opportunità per vedere tanti amici, perché i disegnatori di solito fanno una vita piuttosto ritirata, quindi non ci sono molte chance di incontrarsi, fuori dai festival, e il Club Tenco era una di quelle. In occasione del Premio Tenco si svolgevano dei “duelli” che sono diventati leggendari tra Pazienza e Guccini: Guccini è un funambolo delle parole, in grado di sfornare aforismi veramente acuti e spiritosi, mentre Andrea era un funambolo del disegno oltre che delle parole, quindi fra loro due si scatenavano delle sfide all’ultimo sangue a base di aforismi e disegni. Erano situazioni veramente da scompisciarsi dal ridere, di una comicità irresistibile. Naturalmente il livello etilico era abbastanza elevato e la situazione era già allegra in partenza (ride). Era molto bello anche trovarsi alla Libera Università di Alcatraz, creata da Jacopo Fo in Umbria, dove si insegnavano soprattutto materie artistiche. Io per un paio d’anni ho fatto parte del corpo docente e Andrea a volte, più o meno per tutta l’estate, si fermava lì: alloggiava in una specie di torre medievale.

Lei è stato anche sul palco dell’Ariston durante il Festival di Sanremo, esibendosi in una performance musicale…
È stata un’avventura molto divertente, sempre in compagnia di David Riondino: non so se è stata una cosa buona (ride), ma mi sono esibito all’Ariston nel 1995, l’anno in cui David partecipava al Festival insieme a Sabina Guzzanti. Erano in gara con una canzone che si intitolava Troppo sole e si presentavano col nome La Riserva Indiana: per creare un po’ di coreografia avevano invitato alcuni amici – che si occupavano di tutt’altro – per fare gruppo. Ricordo che c’erano Mario Capanna, Nichi Vendola, Bruno Voglino, Antonio Ricci, il direttore del TG3 Sandro Curzi… ognuno era stato ribattezzato con un nome buffo da indiano nativo americano: ad esempio Mario Capanna era Due Cuori, Vendola era Alce e Martello, io ero Disegnalagnocca. Quando Pippo Baudo, che conduceva, ci chiese i nostri nomi in diretta, arrivando a me ebbe un attimo di leggero imbarazzo, che però superò brillantemente dimostrandosi molto spiritoso (ride). Fra l’altro La Riserva Indiana non fu eliminata subito, per cui salimmo sul palco dell’Ariston per ben due sere a proporre il pezzo.

Recentemente, tre anni fa, ha disegnato una serie di ritratti dei grandi della canzone italiana appositamente per il Festival di Sanremo: ha scelto lei i soggetti?
No, ho ricevuto una lista da Claudio Baglioni, che di quell’edizione era il direttore artistico: erano tutti cantautori e artisti purtroppo scomparsi, importantissimi per la storia della canzone italiana e per quella del Festival. L’idea originaria di Baglioni prevedeva che, durante tutte le serate della kermesse, l’orchestra suonasse un omaggio musicale a ognuno dei personaggi che io avevo ritratto… in realtà, come accade sempre a Sanremo, le scalette sono saltate, per cui alla fine veniva mostrato uno dei miei disegni, chi conduceva diceva due parole sull’artista e buonanotte al secchio. Doveva essere una commemorazione per tutti questi grandi: c’erano nomi del calibro di Fabrizio De André, Luigi Tenco, Enzo Jannacci, Umberto Bindi… alcuni ritratti purtroppo non sono stati neppure mostrati per motivi di tempo.

So che, restando sempre in campo musicale, lei è molto legato a Nicola Piovani.
È forse, in questo campo, la collaborazione più importante e longeva per me. Ho iniziato a lavorare con lui molti anni fa, ai tempi di Fellini: io mi occupavo dei manifesti dei film, lui delle colonne sonore. Poi ho cominciato a disegnare le scenografie per una serie di spettacoli che Piovani portava in giro con Vincenzo Cerami, il grande sceneggiatore purtroppo scomparso. Da lì è partita davvero la mia collaborazione con Nicola: per lui ancora disegno – e ho disegnato – una serie di immagini che utilizza nel corso dei suoi concerti mostrandole al pubblico. Nel ’95, poi, abbiamo anche lavorato insieme a un balletto concepito per ricordare Fellini e anche in quel caso a Nicola fu affidato il compito di comporre le musiche, a me quello di dar vita alle scenografie.

Per chiudere, un’immagine divertente: ricordo di avere letto, in un’intervista che ha rilasciato tempo fa, che lei e Hugo Pratt avevate un’abitudine musicale particolare, quando viaggiavate insieme in auto. Me la racconta?
Sì. Avevamo questa specie di tradizione per cui ci procuravamo sempre della musica tipica dei posti in cui ci recavamo: la ascoltavamo, man mano che ci avvicinavamo, per entrare nello spirito. Spesso viaggiavamo insieme per andare ai vari festival, perché Pratt, da vero veneziano, naturalmente non aveva né l’automobile né la patente… così, durante il tragitto, a volte ci fermavamo per comprare delle cassette che evocassero le nostre mete. Ad esempio siamo andati spesso in Spagna insieme e ricordo le cassette di Manuel de Falla: sentivamo le musiche del suo El amor brujo a tutto volume, oppure pezzi di flamenco, che loro chiamano cante hondo… Hugo era un grande conoscitore della cultura spagnola e parlava bene la lingua, avendo vissuto in Argentina per diversi anni. Quando andavamo verso la Francia sceglievamo Fauré, ma anche Edith Piaf. Verso il Belgio, invece, mettevamo Jacques Brel… anche Pratt era onnivoro musicalmente, quindi insieme ascoltavamo un sacco di cose diverse.

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