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Il trick perfetto di Ben Harper

Dalla musica allo skate, è un perfezionista. Aspettando il disco nuovo (già pronto), è passato in tour in Italia. Tavola inclusa, “per skeitare sotto alla Madonnina”
«Musica e skate sono simili. Più ti eserciti, più diventi bravo». Foto: Eric Hendrikx

«Musica e skate sono simili. Più ti eserciti, più diventi bravo». Foto: Eric Hendrikx

Stamattina Ben Harper si è svegliato presto. Ha preparato la colazione per sua figlia Jaya, l’ha accompagnata a scuola, è tornato a casa e si è rimesso a dormire. Poi è andato a skateare: «È la cosa che mi piace di più al mondo. Più della musica». Lo skateboard gli ha insegnato una lezione: «Se una cosa non è impossibile, ci deve essere un modo per farla». Il 28 ottobre 2014, il giorno del suo 45esimo compleanno, Ben Harper ha realizzato quello che è sempre stato il suo sogno: chiudere uno “switch 360 flip”.

Ci ha messo cinque anni (ha deciso di risalire su uno skateboard mentre sistemava quello di suo figlio Ellery), si è allenato tutti i giorni e alla fine ce l’ha fatta: «È stato bello come trovare l’accordo di chitarra più potente che abbia mai suonato». Dopo due mesi aveva già imparato a fare altre tre varianti di uno dei trick più complicati, il “360 flip” (è tutto documentato sul suo account Instagram): «Sono cresciuto a Claremont, California, le prime crew come Bare Bones e Z-Boys erano i miei idoli. Musica e skateboarding sono simili: ci vuole, ritmo, fluidità e un certo groove in cui immergersi. E poi in entrambi i casi più ti eserciti, più diventi bravo».


Questo è Ben Harper, il predestinato che crede solo nelle cose rilevanti, il musicista ispirato ed esigente che sostiene che non sei nessuno se non hai fatto almeno 10 album (lui ne ha fatti 12, più 5 dal vivo) e che sostiene di non avere ancora scritto la canzone più bella della sua vita. «Non ho paura di fallire, ho paura della mediocrità. A un certo punto, arrivi a combattere contro te stesso: vuoi con tutte le tue forze fare un disco migliore del tuo disco più riuscito».

Oggi Ben Harper andrà in studio di registrazione. Ieri c’è stato tutta la notte: «Ho finito un nuovo album, amico. Undici canzoni pronte e non vorrei rinunciare a nessuna di loro, ho il disco che volevo. Non vedo l’ora. Per me è un’ossessione: quando decido che un album è finito devo pubblicarlo. E deve avere sempre tutte le canzoni migliori che ho a disposizione. Se non mi dessi questa regola, potrei restare in studio per sempre». Negli ultimi anni, Ben ha fatto due dischi rock con i Relentless7, un disco blues con Charlie Musselwhite (Get Up!, 2013) e uno folk con sua madre Ellen (Childhood Home, 2014). Adesso, a 45 anni, è tornato alle origini e al suono viscerale della sua band, The Innocent Criminals: «Conosco questi ragazzi alla perfezione, so dove andranno prima ancora che comincino a muoversi».

Con tre di loro, il percussionista Leon Mobley, il batterista Oliver Charles e il monumentale bassista Juan Nelson, suona da quando era un ragazzo e incantava il pubblico dei club di Los Angeles (tra cui Taj Mahal, che lo ha voluto con lui in tour) con la sua abilità nel suonare la chitarra slide e la Weissenborn, molto prima del debutto con Welcome to the Cruel World nel 1994.

Io mi sveglio ogni giorno pensando che sono qui per scrivere canzoni e cantare

Prima c’è stata l’educazione familiare nel negozio-museo Claremont Folk Music Center dei suoi nonni Dorothy e Charles Chase, le lezioni sul ritmo e il tempo di papà Leonard, batterista, e le canzoni folk imparate da mamma Ellen: «Ci sono famiglie che amano riunirsi attorno al tavolo da pranzo, chi davanti al camino. Noi accendevamo lo stereo», racconta. Anche per questo Ben Harper ha bisogno di una ragione per fare musica, e deve essere importante: «Tutti hanno un ruolo nel mondo. Io mi sveglio ogni giorno pensando che sono qui per scrivere canzoni e cantare». Negli anni ha cambiato genere e ha fatto collaborazioni diverse, si è eclissato dal suo stesso successo per sperimentare, ha suonato con i Blind Boys of Alabama e con Dhani Harrison nei Fistful of Mercy, ha fatto un disco e un tour con la madre e alla fine ha ritrovato l’equilibrio con gli amici di sempre.

Come sullo skateboard; ci ha passato l’adolescenza, l’ha ripreso a 40 anni ed è diventato più bravo di quanto non sia mai stato prima. Chissà se anche nella musica riuscirà a chiudere il trick della vita. «In studio eravamo tutti molto motivati, pronti a tirare fuori il meglio l’uno dall’altro. Gli Innocent Criminals sono la chimica perfetta per le canzoni che sto scrivendo in questo momento». Intanto ha ricominciato a suonare dal vivo con loro: quattro date al leggendario Fillmore di San Francisco e una al Claremont Folk Festival, due in Brasile e poi un tour in Europa («Non vedo l’ora di andare a skeitare dalle parti del Duomo», confessa), e ha già promesso un tour mondiale nel 2016.

L’ispirazione sembra essere sempre la stessa: «A volte mi capita di guardare un autobus che parte. Sai cosa vedo? Vedo i volti delle persone dietro al finestrino, penso alle loro storie, mi chiedo dove vanno, a cosa stanno pensando. Ognuna di quelle immagini può trasformarsi in una canzone». Ma non c’è solo questa visione spirituale dell’esistenza nel nuovo disco: «Rabbia per come vanno le cose nel mondo? Assolutamente. Da una parte, vedo crescere una nuova generazione di giovani informati e creativi e penso che ci sia speranza. Poi guardo le news e vedo una cosa molto diversa».

È per questo che abbiamo sempre più bisogno di artisti. Il mondo crudele di cui Ben parlava nel 1994 non è migliorato, anzi: «Non è facile trovare il proprio posto come musicista. Abbiamo un disperato bisogno di persone di spessore, che ci aiutino a tirare fuori il meglio di noi stessi. Mettiamola così: non vi deluderò». Superato il traguardo del decimo album, Ben Harper continua a cercare di essere rilevante: «Il punto non è scrivere un paio di canzoni di successo, ma avere un repertorio importante». Negli ultimi mesi ha registrato un disco con Charlie Musselwhite, che secondo le sue regole sarebbe pronto per uscire, «ma in questo momento gli Innocent Criminals richiedono tutta la mia attenzione». La ricerca va avanti, allenandosi ogni giorno: «Le cose sono importanti solo se gli altri le rendono tali. È un dialogo tra me e il pubblico, ci appoggiamo l’uno sull’altro.

Ho avuto l’opportunità di esplorare questa dinamica e lo faccio in modo umile. È il lavoro di una vita». E per quanto riguarda la canzone perfetta, che lui dice di non aver ancora scritto (per me invece sì ed è When She Believes, nda), Ben Harper spiega: «Mi sto avvicinando, credo di aver fatto un passo avanti». Ma com’è per te la canzone perfetta? «Quella che riesce a dire tutto quello che c’è scritto in un libro in uno spazio di tempo compreso fra 3 e 6 minuti». Altro che trick.

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone di luglio-agosto.
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