Toto Cutugno: «Ho fatto terra bruciata per colpa del mio carattere» | Rolling Stone Italia
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Toto Cutugno: «Ho fatto terra bruciata per colpa del mio carattere»

Dalla partecipazione al talent 'Ora o mai più' al gran rifiuto di Celentano, da Salvini alla situazione sui migranti, dall’incazzatura con un direttore Rai fino a un’anticipazione sul nuovo disco. Toto Cutugno a tutto tondo

Toto Cutugno: «Ho fatto terra bruciata per colpa del mio carattere»

Toto Cutugno dal vivo a Kiev

Toto Cutugno è un tipo notturno, l’intervista la facciamo alle 22:30. Che dire di lui? Tutti sanno chi è, tutti conoscono le sue canzoni anche se le snobbano, tutti avrebbero voluto essere almeno una volta, una delle tate di Toto a Piacere Rai 1 (be’, no, forse in questo caso non proprio tutti). Cutugno è, probabilmente, l’artista italiano che lavoro di più all’estero. Ed è anche l’ultimo che ha fatto vincere al nostro Paese l’Eurovision Song Contest (con il brano Insieme, nel 1990), dopo di lui non c’è riuscito più nessuno. Da stasera è uno dei coach di Ora o mai più, il talent – giù cult – dell’ammiraglia Rai condotto da Amadeus. Lo show musicale offre a otto cantanti – che non sono più riusciti ad avere il successo sperato – la possibilità di tornare alla ribalta. A guidare i concorrenti (in cerca di una gloria che non li vuole più) otto maestri (vere e proprie icone della musica leggera) che, in un percorso di rinascita e rinnovamento, cercheranno di risollevare le sorti carrieristiche dei loro protetti. Tra i coach c’è anche il Toto nazionale, un uomo che può piacere o no, ma parla a cuore aperto.

Perché torni in tv con Ora o mai più?
L’anno scorso l’avevo visto, qualche volta, mi hanno chiamato e l’ho accettato. Era da un po’ che non facevo televisione. Entro nelle case degli italiani il sabato sera.

Se non avessi avuto il successo che hai ottenuto, l’avresti fatto?
Grazie a Dio non ho questo problema, ma se ce l’avessi avuto, anche io avrei partecipato per emergere una seconda volta. Questo lavoro mi piace.

In tv, effettivamente, manchi da un po’. Con tutti gli show celebrativi che ci sono, hai mai provato a proporre qualcosa?
No, non ho mai provato. Guarda, ti dico la verità.

Spara.
Se non ho più fatto televisione la colpa è soltanto mia.

Come mai?
Ho un carattere un po’ di merda. E ho litigato con tutti. Ho litigato pure con il direttore di Rai1 Carlo Fuscagni una volta.

Ah sì? E che è successo?

A Domenica in facevo Una voce per Sanremo, arrivarono provini da tutta Italia per uno spazio all’interno del programma. A un certo momento ci informano che non potevo più fare quella cosa lì, per una questione di regolamento.

E tu?
Ho detto: «Sono due mesi che facciamo questa roba qui, chi glielo racconta a questi ragazzi? Adesso io vado lì, da loro, con la mia faccia di merda e dico loro che non si fa più?». Così andiamo a parlare con il direttore. C’era pure Pippo Baudo.

Che ti disse il direttore?
Fu molto strafottente, aveva lì il suo avvocato, e mi fa: «Cutugno, ho detto che questa cosa non si fa più. Non stia lì a fare troppe cose». Visto il carattere di merda che mi trovavo ho risposto: «Io questa cosa non la faccio. Domenica prendo la televisione e la uso dicendo che siete dei farabutti, perché avete ingannato tantissimi ragazzi».

Come reagì il direttore?
Mi disse che non dovevo permettermi. E io: «ma vada affanculo!». Baudo mi ha rincorso per capire. Insomma facemmo le prove giovedì e venerdì. La domenica verso mezzogiorno, a due ore dall’inizio, arriva il capo struttura per dirmi di stare tranquillo, Una voce per Sanremo si sarebbe fatta. Quindi capito? Facendo territorio così, la televisione me la sono giocata.

Di quel periodo che ricordi?
Mi piaceva solo perché entravamo nelle case. Io sono molto timido, ma con Piacere Rai 1 avevamo un successo pazzesco. Andavamo negli hotel e c’era gente fuori per autografi, dovevamo passare da porte secondarie. Una volta toccammo il 50% di share, una cosa pazzesca. Eravamo a Fiuggi e, come ospite, c’era Alberto Sordi.

Torniamo alla musica, hai portato il made in Italy nel mondo, ma c’è chi ti definisce di serie B. Ti senti bistrattato dal tuo Paese?
Sì, mi sarebbe piaciuto essere trattato in modo diverso. Il successo ce l’ho altrove. Una volta ti porto con me in Russia, Bulgaria, Polonia. Venti giorni fa ho suonato al tempio della musica francese: l’Olympia a Parigi. Ho avuto un successo pazzesco. Ho reinterpretato le canzoni scritte da me per grandi della musica d’Oltralpe come Johnny Hallyday o Mireille Mathieu. In tanti hanno cantato i miei brani.

A questo proposito, recentemente Le Monde ti ha intervistato per raccontare il tuo legame con gli chansonnier francesi. Ecco, che legame c’era?
Adesso è passato. Fu un grande della musica che si chiama Vito Pallavicini – quello che ha scritto Azzurro, tanto per farti capire – a portarmi in Francia e farmi conoscere a manager e produttori. Noi si andava a Parigi ogni 10 o 15 giorni. Lui portava le canzoni e le piazzava. Era un uomo straordinario, devo dirgli grazie. Quando è morto io ho continuato e sono diventato amico di Johnny Hallyday, Michel Sardou, Joe Dassin, Dalida. Poi, porcaccia miseria, sono morti tutti, porco diavolo. Con i nuovi cantanti che ci sono, oggi, in Francia, non abbiamo avuto occasione di conoscerci, ecco.

Ma ti rendi conto che il brano che hai composto per Joe Dassin, E si tu n’existais pas, l’ha cantato pure Iggy Pop! L’hai conosciuto?
No, no. Ma sai, di queste versioni, ce ne sono a decine. Pensa che della canzone Africa, poi intitolata L’été indien, sempre interpretata da Joe Dassin, ce ne saranno 150 versioni. Più o meno come L’italiano.

E arriviamo proprio a L’italiano, grazie alla quale sei diventato l’artista italiano (scusate il gioco di parole, ndr) più suonato all’estero. Come ci si sente ad avere un record simile?
Ma sai, devo dire grazie alle persone che mi sono state vicine. Da solo non ho combinato mai niente. Ad esempio Popy Minellono ha scritto il testo dell’Italiano.

Ma com’è nata?
Ero in concerto in Canada, nel teatro più grande di Toronto. Chiesi se, per favore, potevamo accendere le luci in sala. C’erano 3.500 spettatori con le facce da italiano. Si riconoscono in mezzo a milioni di persone. Ho detto semplicemente questo: «Cazzo, io voglio fare una canzone per voi, per voi italiani che vivete all’estero, che vivete di nostalgia. Vi prometto che la faccio».

Poi?
Sono andato a mangiare in un ristorante, dove ci divertivamo a strimpellare con la chitarra. Metto la mano su un la minore, e mi viene naturale canticchiare (e lo fa veramente, ndr) Lasciatemi cantare con la chitarra in mano. Presi un fogliettino e appuntai la melodia (che canticchia ancora, ndr) do do do do si la fa. Arrivo a Milano, vado da Popy e gli dico che ho scritto un brano dal titolo Con quella faccia da italiano. Lui mi dice: «No, è troppo lunga. Chiamala L’italiano e basta». Dopo tre giorni mi fa sentire il testo che è un capolavoro, ho fatto un provino e volevo darla a Celentano, era un pezzo per Adriano.

Racconta un po’…
Lui all’epoca stava girando Il bisbetico domato, con Ornella Muti. Andiamo da Celentano, in un teatro di posa. C’eravamo io, Popy e Miki Del Prete (paroliere e produttore, ndr) perché il pezzo recitava Sono Adriano, un italiano vero. La ascolta, guarda me e dice: «Ragazzi, questa canzone non la farò mai». Noi siamo morti, quella canzone era sua.

Ma come mai questo rifiuto?
Diceva: «Non c’è bisogno di dire che sono un italiano vero, lo sanno tutti. Fatemi una canzone per il finale del film dove io salto sul letto». Siamo arrivati a casa delusi e abbiamo composto Innamorata, incavolata a vita che lui ha messo sui titoli di coda del film.

Chissà se si è pentito Celentano visto il successo del pezzo.
A quel punto volevo farla cantare a Gigi Sabani, che imitava Celentano, a Sanremo. Ma Ravera la ascolta e dice che dovevo cantarla io. A me non andava di tornare al Festival perché avevo vinto nell’’80 con Solo noi. Ravera mi chiama, mi dice che questa canzone è uno spettacolo, mi convince, vado al festival e da lì è scoppiato tutto. Tutto.

Hai scritto anche grandi hit come Noi, ragazzi di oggi per Luis Miguel. Come andò?
Lui è una grande star nei Paesi latini. In Emi lo misero sotto contratto e mi dissero: «Ci pensi tu?». Lo portavo con me, gli facevo guidare la mia Ferrari 308 GTB, facevamo cose pazze. Lui era un ragazzino di 15 anni, ma era un uomo. Si muoveva già come un grandissimo artista. Dopo la prima serata, dove ha cantato Noi, ragazzi di oggi, l’hotel si era riempito di ragazzine. È stata una cosa pazzesca.

A proposito di Sanremo, non ti scoccia che ti bollino sempre come eterno secondo? Tu l’hai pure vinto Sanremo.
Eh, lo so, non se lo ricorda nessuno. Si ricordano solo quelle sei o sette volte che sono arrivato secondo. Vabbè, ci sta. Ma devo dire una cosa però.

Dimmi.
Dieci anni fa mi hanno diagnosticato un tumore maligno alla prostata con metastasi quasi ai reni. Il professor Rigatti del San Raffaele mi ha salvato la vita, grazie ad Al Bano, mio fratello, che mi aiutato moltissimo. Da lì è cambiata la mia vita, adesso non me ne frega più niente. Ho un figlio di 29 anni che è la mia vita, la mia luce. Invece prima, se un pezzo non piaceva, mi incazzavo, cazzo! Ho sbagliato tutto nella mia vita. Se non avessi avuto ‘sto carattere di merda, probabilmente avrei avuto molto di più.

Quali sono ora le tue priorità?
La vita è bellissima, va vissuta, ho 75 anni e spero di vivere ancora per vedere mio figlio che si sposa, per vedere il mare. Ho una casa bellissima a Rapallo, prendo la barca, me ne vado da solo in mare. Adesso se una canzone piace sono contentissimo, ma se non va dico: «Sono cambiati i tempi, pazienza». Capito com’è la storia?

Certo, più che comprensibile. Ma torniamo a Sanremo. L’ultima volta ti abbiamo visto all’Ariston nel 2013, quando ti hanno dato il Premio alla carriera e hai portato il coro dell’Armata Rossa.
La Rai non voleva, perché non intendeva pagare quei 40 soldati. Allora ho chiesto una cifra che ho usato per pagare hotel e viaggi. Una cosa mai successa nella storia.

Ma Putin lo hai mai conosciuto?
Ne ho conosciuti molti di presidenti. Ho conosciuto anche il presidente della Russia e quando mi ha stretto la mano aveva gli occhi di ghiaccio, mi ha messo paura. Mamma mia, che tipo!

Parliamo di attualità e dell’Italia, che mi dici, come la vedi?
Io sono apolitico, ma c’è un personaggio, della politica attuale, che mi piace: Salvini.

Ah! Come mai?
Perché quando lo sento parlare è un uomo con i coglioni. Poi, dopo, se fa bene o fa male non lo so. Non sono dentro la politica.

A questo punto ti devo chiedere che ne pensi della questione dei migranti però. Tu sei uno che va spesso all’estero…
Per quanto possa valere quello che dico, sarei favorevole a ospitare queste persone, ma credo ci siano cose più importanti da fare. Vorrei che aiutassimo gli italiani poveri, che non arrivano a fine mese. E poi, perché no, io ho fatto concerti in Marocco, in Tunisia. Ma credo che prima, noi italiani, abbiamo problemi da risolvere.

Capito. Torniamo alla musica. Qualche anticipazione sul nuovo album?
Ho scritto una canzone ne cd nuovo che ho dedicato a Kira, il mio cane che, dopo 14 anni, se n’è andato. Non posso andare avanti parlarne, perché se no mi viene da piangere. (la voce è rotta, ndr). Ho scritto questa canzone e ho registrato il suo abbaio. Inizia proprio così e la canzone si chiama Bau Bau. Io non sono innamorato dei cani, di più. I cani ti danno una lezione continua e non ti tradiscono mai.

Senti, Toto, io devo chiederti una cosa: ma tu ti senti un po’ rock?
Come no?

Perché sai, portare a Sanremo Voglio andare a vivere in campagna, l’ho trovata una scelta molto rock. Come t’è venuto in mente?
(ride di gusto, ndr) Era la vita mia, quando ero ragazzino. Da bambino mia mamma mi portava dal nonno Silvio e racconto la storia vera di quando andavo lì.

Altra curiosità. Hai fatto pace con Mario Luzzato Fegiz dopo la lite al Dopofestival del 2008?
(ride ancora più di gusto, ndr) Fegiz, quando viene qui, a trovarmi, è mio fratello, ci vogliamo bene, ci abbracciamo. Appena è in televisione cambia completamente aspetto, diventa pungente e ti dice cose come quella volta lì che, a momenti, si andava a litigare pesantemente. Poi c’era Elio che divideva. Fantastica quella puntata lì.

Sai che su Facebook c’è una pagina, con oltre 76mila follower, che si chiama “La stessa foto di Toto Cutugno ogni giorno”.
E perché? C’è una ragione?

È una cosa ironica, ma ti invito a leggere i commenti che, ogni giorno cambiano, c’è chi ti vede con i capelli tagliati, chi più sbarazzino. Tutto ovviamente, sul filo dell’ironia eh.
(ride, ndr) Ora me lo vado a vedere.

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