Dove stai? In un fritto misto di cose creative. La mia chiamata con Tommaso Sabatini, in arte Ottomano, si apre così. L’Italia e poi l’Europa l’ha conosciuto (tanto) quest’anno, inseparabile da Lucio Corsi sul palco di Sanremo, ma anche giù, poi, quando c’è di nuovo da scrivere e svegliarsi presto per tessere una nuova storia.
Sbucato d’improvviso, ma Ottomano è in giro da un pezzo. È un regista dalla mano forte, un compositore e musicista autodidatta. Ha lavorato e lavora con marchi di moda e design a spot pubblicitari che fanno tornare voglia di farsi arrivare le adv su internet (per Prada, Missoni, Gucci, Versace, Dior, Armani, Bugari, potrei continuare). Ha scritto e diretto videoclip per Jovanotti, Chiello, i Måneskin, i Baustelle, naturalmente per l’amico Corsi, cresciuti insieme nell’educazione maremmana, infatti Tommaso è di Porto Ercole, un posto strano con il mare su un’isola-promontorio prima che la Toscana muti nel Lazio.
Leggenda vuole che sia stato un cuore gettato oltre l’ostacolo ad averlo portato dov’è, cioè a scalpitare dopo i primi cortometraggi, a voler debuttare come regista magari in un lungometraggio, perché, dice lui, ora è quello che si sente più di tutto, ora è quello che vorrebbe fare. La leggenda è un messaggio ai Baustelle: ehi, guardate quello che faccio, magari vi piace. Piacque. Il videoclip di Il Vangelo di Giovanni cambiò davvero i giochi, per Ottomano.
Oggi siamo qui e lo riconosciamo: inquadrature che respirano nel senso che le cose vi succedono, ma che sanno anche quando montarsi sulla seguente senza timore di lasciare indietro niente. Il ritmo, certo, come potrebbe essere diversamente per uno che è musicista. I dettagli, la fotografia spesso e volentieri rétro e un po’ acida, storie che esondano da quelle raccontate dai testi delle canzoni e che si creano con la scenografia, i costumi, i personaggi. È un mondo totalizzante, quello di Tommaso Ottomano.
Che uno poi a questo punto chissà che s’immagina, ma il succo è che lui ha imparato senza imparare. Lo spirito è il trasporto, inseguire una cavalletta in Maremma zoommando tanto, se è questo che il cuore porta a fare. Non è un romantico però, dice. Sarà un realista? Poi mi dirà che guardava tanto Titanic e sbotterò di ilarità come fossimo al bar, ma al bar non siamo, siamo in chiamata al telefono, e questo dettaglio non verrà riportato.
La domanda di rito la tolgo di mezzo subito: allora, questo Eurovision? È stato bello, risponde. A pelle c’entra poco con la personalità sua e di Lucio, ma il punto è adattarsi senza adattarsi. Mai mimetizzarsi, portare fieri il proprio messaggio. «Lucio, in questo, è un king, diretto e schietto». Si completano insieme, si danno una mano. «È stato un po’ come un viaggio a Disneyland».
E se anche voi (o vostra madre) avete incrociato solo quest’anno il cammino di Ottomano, la possibilità è quella di passare dalla 61esima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, dal 14 al 21 giugno. Perché il protagonista di una sezione dedicata ai video musicali sarà proprio lui, così ve ne vedete un po’ e ne profittate anche per scoprire qualche film nuovo.
Senza sistematicità, però, né troppi calcoli. Questo, almeno, quello che credo consiglierebbe Ottomano. Il resto della chiacchierata è qui sotto.

Foto press
Chi è oggi Tommaso Ottomano?
Difficile e facile. Io faccio due cose: musica e immagini. Ho iniziato dalla prima e sono arrivato alle seconde. Non so bene che cosa sono, forse un compositore. Alcuni dicono artista, ma a me la parola non piace. Sono uno che dà sfogo alle sue idee con vari mezzi. Con Lucio lo faccio in una certa maniera, ci conosciamo da sempre, ho registrato in casa mia a Porto Ercole le sue primissime cose. E poi c’è la parte individuale, che è quella registica. L’ho sempre portata avanti in parallelo alla musica anche facendo pubblicità. Oggi vorrei spostarmi verso il cinema. Ho girato da poco un cortometraggio, uscirà a breve. Sto passando dal commerciale al personale diciamo. E poi in tutte le cose audiovisive che faccio c’è questo marchio di fabbrica, ovvero che seguo io le musiche, il montaggio, la cinepresa la impugno io… Ho il bisogno famelico di sporcarmi, di metterci le mani. Mi piace l’idea dell’artigianalità.
Sei autodidatta in tutto?
Sì, sia per la parte musicale che audiovisiva. Ho sempre preferito provare e sbagliare che esser perfetto da subito. Non sono un nerd del cinema, non sono infoiato, non mi piace quel rapporto lì con la mia arte. Non curioso troppo, faccio il mio e faccio le mie ricerche, ma non mi sono visto tutti i film della storia, ecco. Alcuni grandi e importanti mi mancano. Tipo, di Pasolini ho visto pochissimo. Però preferisco ispirarmi piano piano, se fai tutto subito, ti bruci subito. Poi a che ti ispiri?
Perché mi ha citato Pasolini?
Be’, perché se vuoi fare il regista, che fai, non ti guardi Pasolini? Ho visto Comizi d’amore, Salò, certo… Ma il resto non l’ho ancora esplorato. È così anche con la musica, soprattutto se non studi, come me. Qualche musicista non ascolterà i dischi dei Beatles. Se non hai metodo scolastico, come me, allora troverai la tua via.
Come si costruisce un immaginario, soprattutto audiovisivo, come il tuo, dalla provincia di Grosseto?
Grande quesito. Esser nato a Porto Ercole ha influito certamente. Da piccolo ero l’unico che suonava e quindi il più bravo. Ho iniziato a fare le foto ed ero il miglior fotografo, ho iniziato a girare video ed ero il regista più figo. A Milano ho capito che il mondo era diverso. Se sono come sono oggi, è perché sono cresciuto in un paese che allo stesso tempo mi dava libertà e mi ostacolava. Avevo voglia di uscire da qualcosa che mi opprimeva. Porto Ercole è bello eh, due mesi l’anno. Pensa che avevo costretto il mio migliore amico a imparare a suonare il basso per aver qualcuno con cui suonare. Ma sei hai il bisogno di raccontare, alla fine esce.
E come usciva?
Da bambino mi faceva delle mini-sceneggiature nella testa. Mi vedevo vivere delle avventure.
Quindi Tommaso Ottomano è l’alter ego che vive queste storie?
Detta sinceramente, Ottomano nasce perché il mio vero cognome, Sabatini, è brutto. Mi sminuisco, già fosse stato Sabatoni… Ma poi anche perché avevo usato il mio nome reale suonando nella mia prima band, quindi era relativo a quell’identità. Quando ho iniziato a fare il regista e sono arrivato a Milano ho avuto la necessità di una cesura. È stato l’anno dell’Expo. Tommaso doveva rimanere Tommaso. Ottomano e non Sabatini sono io, oggi, al 100%. Non sono più il ragazzino di Porto Ercole.
Nei tuoi lavori vedo riferimenti al cinema di genere, ai B-movie. La tua videoteca è letteralmente la filmografia della Hammer?
In realtà le mie ispirazioni vengono dalle parti più disparate, non per forza dal cinema o dalla musica. Per fare video ho cominciato dagli insetti: andavo nel bosco, quello c’era di interessante da filmare. Andavo in giro con la lente da macro e facevo foto e video agli insetti. Bruttini, mantidi, cose che si trovano qui in Toscana. Ma è stato sperimentare con quelle cose bruttine e quei dettagli esplosi che mi fa poi concentrare sulle orecchie, sui denti, sulla piega della labbra. In ogni mio video arriva la macro, è quella cosa lì. Poi mi piace innestare citazioni, piccole cose rubate.
Tipo?
Nel video di Cosa faremo da grandi, quello che abbiamo fatto con Lucio, c’è lui su una paranza, a un certo punto prende la chitarra e suona. È una chitarra che ha pescato, ha il nome della barca a vela a bordo della quale Ambrogio Fogar chiuse la circumnavigazione del globo (da Est a Ovest, avvenne tra il 1973 e il 1974, la barca si chiamava Surprise, nda). E c’è una scena in cui Lucio legge proprio un libro di Fogar, l’ho appoggiato alla chiglia con il mare che sfreccia dietro come in The Master di Paul Thomas Anderson. Per dire. Una citazione di una citazione di una citazione. Mi piace fare ’sti intrugli. A volte manco te ne accorgi.
Tutte cose del 2025, vedo.
Non amo prendere riferimenti contemporanei o troppo riconoscibilmente dell’oggi. Mi piace scavare nel passato, andare a pescare una reference nel modo corretto. A volte uno nasce così, con un gusto diverso. Non c’è una diatriba particolare. Anche per questo mi trovo d’accordo con Lucio o altri artisti, perché abbiamo questa visione in comune. Se devo scegliere un brand di moda per lavorare a una campagna, ne cerco uno che mi sia affine.
Però è assurdo, no? Nasci in un’epoca e dovrebbe venirti naturale interfacciarti con le cose del tuo tempo per comprendere il mondo.
Nessuno mi tiene la pistola puntata, alla fine la questione è questa. Ho fatto sempre e solo quello che mi è parso. Il primo disco che ho comprato è stato dei Lùnapop, ero molto piccolo, forse era la cosa più contemporanea che c’era. Sono rimasti là, nel sottobosco di me stesso, e in qualche modo mi hanno sempre ispirato. Quindi certo, ci sono anche cose della contemporaneità che mi parlano. Ma se dovessi fare una media, se dovessi guardare un palazzo dal niente, mi piacerebbe sempre di più uno del secolo scorso che uno fatto strano di oggi. Mi piace più uno stivaletto di pelle con il tacco giusto che la sneaker della Vans. Ma tanto le cose che ti piacciono o che ti ispirano non le decidi tu. Mi sono sempre vissuto la mia ispirazione in modo molto libero.
Quindi in provincia eri: il fotografo più bravo, il regista più bravo, il musicista più bravo. Pure il più strambo?
Che te lo dico a fare. Porto Ercole farà 800, 1000 abitanti, ed è naturale che se ti capita un personaggio così… Una volta ero anche più spinto a livello estetico, giravo da darkettone, con la faccia bianca e gli occhi neri. C’era qualcosa che creava distacco, ma ho sempre cercato di essere visto per quello che ero davvero, anche nella piccola comunità. Mi sono sempre messo in gioco, anche solo per comunicare me stesso e quello che stavo facendo. Per me l’equazione strambo uguale bullismo non si è avverata. Io e Lucio siamo stati fortunati in questo, perché i nostri genitori ci accoglievano e sostenevano.

Con Lucio Corsi. Foto: Francis Delacroix
Ti definiresti un romantico?
Non ci ho mai pensato, non ho mai pensato a definirmi. Sicuramente c’è una parte di me romantica, tanto sentimentale che esistenziale. Sono preso bene in generale, questo sicuramente. Che è anche un modo elegante per risponderti con tutto e niente.
Comunque il tuo colpo di fulmine con il cinema te lo chiedo lo stesso.
Allora: ricordo che guardavo molto Titanic…
Ma quindi sei un romantico!
Aspetta, aspetta, Titanic ma le scene non d’amore, quelle della gara di sputi per dire, scene incredibili. C’erano nascoste delle cose. Anche Edward mani di forbice, quello mi ha influenzato a livello estetico personale, io volevo essere lui. Non lo so però eh, se la mia passione per il cinema venga da questo. Penso che la mia passione per il cinema non venga dal cinema. Dentro di me mi immaginavo degli script ti dicevo, tipo: adesso vado sul pontile e rubo quel motoscafo. Da piccolo ero una scheggia, ora sono una schiappa. Lì sì che la mia mente andava veloce.
E quello è l’inizio di una storia.
Sì. Però avevo 5, 6 anni, non avevo ben chiara questo cosa del cinema, ma nemmeno della musica.
Ma quindi che regista di lungometraggi vorresti essere?
Ho delle idee tematiche ma non se ne può parlare. Quello che ho cercato di fare in questi anni è creare delle linee estetiche. Anche dietro questo va tanto lavoro, sembrano cose forse più facili ma non lo sono. Per me la riconoscibilità è fondamentale, qualcosa che pure una persona non esperta può ritrovare. Metterò sempre questo concetto alla base dei miei lavori, qualunque essi saranno. Lascerei quasi da parte la sceneggiatura, cioè, nel senso che un regista a seconda del suo linguaggio può vedere una stessa sceneggiatura in cento modi diversi. Chiunque sa che un film di Tarantino è un film di Tarantino.
Prima o poi qualcuno ti dirà che sei un artista totale, lo sai?
Mi fa perfino ridere, artista totale. Lo stamperei su una maglietta: attenzione, sta passando un artista totale. Però suona bene.
Esiste il tempo libero? Mi pare che tutto quello che fai alla fine diventi un hobby.
Il problema infatti è che appena ho un attimo libero mi nascono nuovi hobby. Poco tempo fa mi sono detto: sai che c’è, faccio solo cose sospese nell’aria, cose che non esistono. Fammi fare un mobile, qualcosa che posso toccare. Mi sono rifatto la casa. Vengo comunque da una famiglia di carpentieri e falegnami, fa parte di me. Mi sono messo a costruire, ho comprato una stampante 3D, ci stampo le lampade.
Che tipo di lampade?
Tipo che prima o poi faccio un brand. Space age a livello di stile. Forme circolari, cose storte. Ti manderò delle foto (non lo farà, nda). Non so neanche descriverle, alla fine le faccio per me, per essere attorniato da oggetti che mi piacciono. E poi cucino. E mi piace fare le pulizie, passare il Dyson a terra. Sembra una Ferrari, il suono è divertente.
E che cosa cucini?
Dipende, primi soprattutto. Mi invento cose strampalate, quello che capita. Cucinare è una delle poche cose che mi fa staccare da tutto, mi concentro su qualcosa di diverso, di materico. A volte ti incisti nel cercare una parola mancante per un testo, è tutta un’altra cosa che cercare un cipollotto nel frigorifero. Quella parola manco sai qual è, il cipollotto comunque sta là. Ma sì, mi butterò sempre in imprese fallimentari.
Fallimentari?
All’inizio si fallisce sempre. Poi si migliora. Vedi con Lucio, noi è 15 anni che stiamo a fare quelle cose.
E dopo 15 anni, la casalinga di Voghera ti potrebbe riconoscere per strada. L’effetto com’è?
Un po’ mi spaventa. Lucio poi, figurati, subisce questa cosa in modo del tutto diverso da me. Io sono nel mezzo, alla fine mi piace, mi gasa che ci sia un rapporto di stima e di scambio con le persone, anche se sono uno che per fidarsi ha bisogno di tempo. Ma quando fai una cosa non la fai solo per te, l’arte è di tutti. Condividere con gli altri è la base.
Quindi mi consiglieresti un film?
Non lo so, così mi mandi in crisi. Ci devo pensare. Tra dieci minuti ti scrivo (purtroppo, però, non l’ha fatto, nda).