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TLC: «Left Eye vive attraverso la nostra musica»

La band che ha inventato il girl power torna con un nuovo disco, a 15 anni dalla morte della loro amica: «Non permetteremo a nessuno di dimenticarla»

Chi ha inventato il girl power? Se la vostra risposta è “Le Spice Girls”, sappiate che vi sbagliate: il primato spetta alle TLC. Tre ragazzine cresciute ad Atlanta a ritmo di hip hop e R&B, che avrebbero cambiato per sempre l’immagine e l’attitudine dei gruppi pop al femminile. T-Boz, Chilli e Left Eye non si facevano mettere i piedi in testa da nessuno: né dagli uomini, né dal music business.

Fin dai primi anni ’90 furono croce e delizia dei loro discografici, vendendo milioni di dischi ma rifiutando di farsi dettare l’agenda da un gruppo di affaristi di mezza età – anzi, arrivarono perfino a rinchiuderli in una stanza e a minacciarli con una pistola per ottenere royalties eque. Scalarono le classifiche a suon di scelte coraggiose, come nel 1995, quando dedicarono la hit Waterfalls all’importanza di usare il preservativo (sì, ben prima di 2 Become 1 delle Spice). Arrivarono all’apice del successo nel 1999, con quell’inno all’indipendenza femminile che è No Scrubs.

Nel 2002, però, tutto cambiò: Left Eye, unica rapper e anima ribelle del gruppo, morì tragicamente in un incidente d’auto. E nonostante i rapporti tra le ragazze avessero rischiato più volte di rompersi, come accade in ogni band, le altre due non si ripresero del tutto dalla sua scomparsa, decidendo di non incidere ulteriori dischi. Almeno fino ad oggi: dopo anni di appelli da parte dei fan, e dopo una campagna di crowdfunding dal successo strepitoso – anche Katy Perry, Justin Timberlake e Bette Midler hanno donato migliaia di dollari alla causa – sono finalmente fuori con il loro primo album di inediti in 14 anni, intitolato semplicemente TLC. T-Boz e Chilli hanno dichiarato che sarà l’ultimo, ma nel frattempo partiranno a breve per un tour mondiale e sono in trattativa per un loro resident show a Las Vegas (sì, come Celine Dion). Abbiamo raggiunto Chilli al telefono: ad Atlanta è prima mattina, ma lei è già di ottimo umore.

Ci tenete a sottolineare che questo non è un album che gioca sulla nostalgia di quello che erano le TLC, ma un lavoro attuale…
Lo abbiamo detto subito anche ai produttori che hanno lavorato con noi: non ricalcate lo stile delle TLC, metteteci a disposizione il meglio del vostro. Abbiamo seguito il nostro istinto musicale: ci innamoravamo di un beat e solo dopo decidevamo di che cosa avrebbe parlato la canzone. Ovviamente, però, il semplice fatto che io e T-Boz abbiamo scritto i brani e li cantiamo insieme lo rende un classico disco delle TLC. Abbiamo i nostri marchi di fabbrica, sia nel sound che negli argomenti: il nostro modo grintoso di affrontare l’amore, ad esempio, e di parlare alle altre ragazze incoraggiandole a credere in se stesse.

In questo periodo l’R&B anni ’90 è in gran spolvero: il pubblico riscopre i grandi classici e molti artisti si ispirano alle sonorità e all’estetica di quegli anni. Perché, secondo te?
Penso che fosse un momento magico per la musica. Non c’era un unico suono che andava per la maggiore, la gente ascoltava di tutto e gli artisti erano molto creativi. Anche le liriche erano piene di contenuti. Ovviamente c’erano anche canzoni che non parlavano di niente in particolare, il che va benissimo, ma quando diventano la maggioranza – come spesso capita oggi – è un problema. Ai tempi, invece, esistevano pezzi che erano in grado sia di farti ballare che di farti pensare e discutere con gli amici. Alla gente tutto questo manca molto, ecco perché guarda al passato con nostalgia.

È proprio alla gente che vi siete affidate per finanziare l’album: l’obbiettivo della vostra campagna crowdfunding era di raccogliere 150.000 dollari, siete arrivate a oltre 430.000. Ve lo aspettavate?
Non proprio! Abbiamo fatto questa scelta perché non ci piace quello che sta succedendo nell’industria discografica: è un settore in perdita, perciò ti offrono dei contratti all-inclusive per guadagnare su di te a 360°. Anche per questo ci abbiamo messo così tanti anni a decidere di tornare in studio: non volevamo avere niente a che fare con questo tipo di contratti. Il nostro manager ci ha proposto la campagna crowdfunding, spiegandoci che questa soluzione ci avrebbe garantito controllo totale sulla nostra musica e una grandissima libertà. E così è stato.

Questo è il primo album delle TLC in cui Left Eye non compare in voce neppure una volta (nel precedente 3D, uscito postumo, aveva fatto in tempo a partecipare ad alcune canzoni, ndr). Com’è stato lavorare senza di lei?
Diciamo che ci rendiamo conto della sua assenza soprattutto quando siamo sul palco, perché lì eravamo sempre in tre e, anche a distanza di tanti anni, è davvero strano andare in scena in due. Lo facciamo lo stesso, siamo felici di farlo, sappiamo che lei vorrebbe che noi lo facessimo, ma è comunque strano. In studio, invece, la sensazione di vuoto forse è un po’ meno. A cantare siamo sempre state io e T-Boz, Left Eye si occupava delle strofe rappate, e ci sono molti classici delle TLC che di fatto abbiamo registrato solo io e T, tipo Diggin’ on you.

Per voi la sua scomparsa è stata un colpo durissimo, umanamente e professionalmente: vi dà mai fastidio che, a quindici anni dalla sua morte, continuino a chiedervi quanto vi manca e se il gruppo è cambiato da quando non c’è più?
Capisco il perché lo chiedano, davvero. L’unica cosa che mi dà fastidio è che la gente celebri la sua morte e non la sua vita: per come sono fatta mi riesce difficile celebrare l’anniversario della sua scomparsa, ad esempio, perché non mi piace ricordare da quanti anni non c’è più. Vorremmo che la gente capisse che Left Eye per noi è ancora viva, che il suo ricordo vive attraverso la nostra musica. Ogni volta che saliamo sul palco lei è lì con noi, e sarà sempre così: non permetteremo mai a nessuno di dimenticarla. È vero che il tempo guarisce le ferite, il che è una benedizione: arrivi a un punto in cui riesci ad andare avanti, a essere efficiente nonostante il dolore. Noi lo abbiamo fatto. Ma per noi era una sorella, abbiamo vissuto metà della nostra vita insieme. Il senso di perdita non cambia.

Nonostante i litigi e i momenti difficili siete sempre rimaste molto unite, sciogliere il gruppo non è mai stata un’opzione. Che consiglio daresti alle ragazze che oggi vogliono fondare una band?
Di tenere ben presente che si gioca in squadra. Non tutto ruota intorno a te e a come ti senti, quando fai parte di una band: devi sempre prendere in considerazione l’opinione degli altri membri. Bisogna imparare che i disaccordi fanno parte della vita e non sono la fine del mondo, e raggiungere un equilibrio.

La storia di voi tre affascina intere generazioni. Nel 2013 VH1 ha prodotto un film biografico sulla vostra storia, che è stato un record di ascolti e ha riportato in classifica tutti i vostri precedenti album…
Un film sulle TLC era il mio sogno fin da quando è uscito il nostro primo album. E con tutto quello che ci è successo negli anni, ero sempre più convinta che ci fosse materiale sufficiente per portare la nostra vita sullo schermo. Siamo state coinvolte da subito: abbiamo lavorato con lo sceneggiatore, il regista, il dipartimento casting, le attrici che ci interpretavano… Andavamo sul set praticamente ogni giorno. E siamo completamente soddisfatte dal risultato.

Tornando all’album, in Haters vi scagliate contro chi sparge veleno sui social. Nel 1999, al contrario, scrivevate canzoni come Fanmail per ringraziare il pubblico che vi inondava di lettere per dirvi quanto vi amava. Il mondo è cambiato così tanto?
Non è un problema che riguarda solo i personaggi pubblici: non importa chi tu sia, tutti hanno i propri hater. Il punto è che non bisogna permettere a queste persone di entrare nella nostra testa, non bisogna finire per convincersi che le parole disgustose che sputano fuori siano vere. Sono loro ad avere problemi, a odiare se stessi e a riversare quest’odio sugli altri. Dalle nostre parti si dice misery loves company, la sofferenza adora avere compagnia: se non possono essere felici loro, si accontentano di rendere infelice te. È difficile non dar retta a quei commenti, sono la prima a rimanerci male quando scopro che qualcuno mi ha scritto cose terribili su Twitter o Instagram. Ma cerco di ricordarmi che sono solo parole e che non avrebbero mai il coraggio di dirmele in faccia.

In Italia li chiamiamo “leoni da tastiera”.
Esatto, si nascondono dietro i loro smartphone. Ogni tanto mi capita di rispondere e a quel punto mi chiedono scusa: “Oh mio Dio, mi dispiace, non pensavo che leggessi personalmente i commenti e che mi rispondessi proprio tu!”. Cambiano completamente tono: è davvero pazzesco!

TLC. Foto via Facebook

Perfect Girls è stata paragonata a un vostro grande classico, Unpretty: avete voluto ribadire il concetto che la bellezza viene da dentro e che la perfezione non esiste. Le ragazze di oggi hanno ancora bisogno di sentirselo dire?
Più che mai, soprattutto le più giovani. Anche perché, con la diffusione dei social network e delle nuove tecnologie, la rete è invasa da immagini pesantemente ritoccate, che generano delle aspettative di perfezione totalmente false. Nessun essere umano ha quell’aspetto, nella realtà. Tutti abbiamo dei difetti, dobbiamo farcene una ragione e imparare ad amarli. Se proprio vuoi alterare le tue foto, fallo per te stessa, non per gli altri. Se proprio vuoi ricorrere alla chirurgia plastica, prima assicurati di aver fatto pace con le tue insicurezze e di aver risolto i tuoi problemi. La bellezza è un concetto interiore, il resto arriva solo dopo.

American Gold, invece, non è nelle vostre solite corde: alcuni l’hanno definita “La prima canzone politica delle TLC”. Perché avete sentito l’esigenza di scriverla?
Con tutto ciò che sta succedendo nel mondo, non potevamo farne a meno. Forse dipende anche dall’età: più cresci, più diventi consapevole di come le cose stiano andando a catafascio. Volevamo raccontare i problemi dell’America di oggi, credo non se ne parli mai abbastanza: vorrei che più artisti lo facessero. Con le TLC abbiamo sempre cantato canzoni sugli argomenti che ci stavano a cuore: American Gold cerca di fare proprio questo.

A proposito, negli anni ’90 siete state uno dei primissimi gruppi pop a promuovere il sesso protetto e a fare campagna contro l’HIV. Secondo te quali sono i temi su cui bisognerebbe sensibilizzare il pubblico, oggi?
Le stesse cose. La diffusione dell’Aids e delle malattie sessualmente trasmissibili è ancora un problema, e meno se ne parla e più aumenta. Chi vuole impegnarsi in questa causa dovrebbe parlare apertamente anche nelle canzoni dell’importanza di non essere promiscui, di non barattare il proprio corpo e adottare un certo stile di vita in cambio di successo e soldi. Io e T-Boz, scherzando tra di noi, spesso diciamo che “le puttane stanno vincendo”! (scoppia a ridere, ndr) Le ragazze ascoltano quel tipo di musica e si ispirano a modelli femminili sbagliati, usando il proprio corpo per ottenere soldi e attenzione. Tutto questo non va bene, e bisogna avere il coraggio di dirlo.

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