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Tiziano Ferro: «In ogni disco metto tutto il mio sangue e le mie lacrime»

Dal terrore per i talent all'amore per gli Oasis, dalla paura per i social fino alla musica come isolamento: la più grande popstar italiana si confessa in un estratto dal nuovo numero di Rolling Stone in edicola

Il suo tour negli stadi italiani è appena iniziato e, dopo il secondo concerto a San Siro, ora Tiziano è pronto per un altro sold out. Nella nostra intervista esclusiva realizzata da Valentina Bellocchio si è raccontato come non faceva da tempo: apparizioni televisive con il conta gocce e un’assenza dai social che lui sente vitale per sé e per la sua musica. Dopo il primo assaggio, ecco un nuovo estratto dall’intervista esclusiva che trovate in edicola sul nuovo numero ‘double face’ di Rolling Stone.

Sull’essere “autentici” nell’epoca dei social.
La sincerità non è il dirsi tutto in faccia sempre. La sincerità è trovare il modo e i tempi di dire le cose, e anche tenersi le cose che non sono necessarie. Ad esempio, io sono pochissimo sui social network. Ci sono perché non sono pazzo, ma ho delle piattaforme che non gestisco io ufficialmente, le persone lo sanno, quando scrivo io un messaggio è perché ho qualcosa da dare o da mostrare, quindi lo firmo io, ma succede sei volte l’anno. Non vivo della smania di pensare che per essere sincero mi devi veder girare il sugo questa sera e domani farmi il bagno con la schiuma fino al mento. La sincerità è guardare il mio pubblico e dire, anche nel 2017, io non uso i social network, mi dispiace, però quello che ascoltate nei dischi e nelle canzoni mi prosciuga e per me è abbastanza.

Se non facessi così, non sarei a mio agio. Probabilmente do modo alle persone di scegliere di rispettarmi, invece di seguire la tendenza perché voglio compiacere, ma farlo in modo un po’ rabbiosetto. Se io fossi nato l’anno scorso come artista, questo discorso non avrebbe neanche senso, avrei capito benissimo di doverlo fare… Quando iniziò il nonno dei social che fu MySpace io fui il primo ad aprirlo. Ero gasatissimo, accettavo le amicizie, mi occupavo di tutto… Ne sono uscito dopo quattro-cinque mesi distrutto psicologicamente, vittima dell’unico messaggio bruttissimo in mezzo a mille messaggi bellissimi, depresso dalla mania di alcune persone di localizzarti nel tempo e nello spazio. Quando poi i social sono diventati quello che sono diventati, io ho detto no, mi rifiuto. A oggi non ho mai visto la schermata di Twitter. Mentre Facebook c’ho provato, da privato, e non mi ha divertito, ne ho previsto la pericolosità per la mia salute mentale. Sono felice di aver mantenuto questa linea. Però vi giuro e vi spergiuro che in ogni disco ci sarà fino all’ultimo milligrammo di esperienza degli ultimi due anni, di sangue, di lacrime, di risate…. c’è tutto, ve lo giuro.

Tiziano Ferro scattato da Giovanni Gastel per il nuovo numero ‘double face’ di Rolling Stone

Sull’isolamento.
Non so come fanno le persone a esserci sempre. Per me devi riprenderti un po’ di vita, un disco esce ogni 2/3 anni e deve diventare il canale attraverso cui racconti quello che hai raccolto. Devi fare, rifare, buttare via, limare, tenere… ma è un processo che per me non può avvenire sotto gli occhi di tutti. Quando mi chiedono di parlare dei talent show, io invidio chi li fa. Questi ragazzi vengono seguiti dall’inizio alla fine, nel momento del processo creativo, nello studio di una canzone, nella registrazione, nella performance. Quando si esibiscono in prima serata, tu li hai già visti provare la canzone mille volte. Io li invidio quei ragazzi lì, e mi terrorizza l’idea che, se avessi avuto 18 anni adesso, sicuramente ci avrei provato, perché altrimenti dove vai? Ma io non sarei mai riuscito a fare un talent, perché non avevo la faccia da culo di sostenere la telecamera in tutti i momenti della giornata. Chi lo fa è un vero artista con quel carattere là, e basta. Io ho bisogno di riprendermi il mio tempo. Quest’anno è arrivata Los Angeles per motivi che non ho ancora capito. Sono an- dato lì per i provini dell’ultimo disco ed è quasi da un anno che ci sto. Non so com’è successo.

Sui social (di nuovo, tema caldo).
Lo spazio bianco in cui devi scrivere come ti senti adesso ti obbliga moralmente ad avere un’opinione su qualcosa anche se non ce l’hai. Per cui: fai refresh, ti viene fuori una nuova foto, e tu sei talmente annoiato, e libero, che devi scrivere qualcosa. Invece, nella vita di tutti i giorni se una persona ti interroga su un argomento e tu non ne sai, non ne sai. Io sono molto spaventato dai social. Li trovo l’antitesi di quello che ho scelto di fare nella vita. I miei idoli da ragazzino, le band anni ’80 che hanno portato a Morrissey – e ho abitato 10 anni a Manchester per colpa di Morrissey e degli Oasis! – sono tutte persone che sono vissute per fare qualcosa che rimanesse. A me piace l’idea che il mio disco, quella cosa con la custodia di plastica e la copertina ristampata, anche 60 anni dopo la mia morte sarà sempre quella cosa lì. E che lo ascolti una persona o cento non mi interessa.

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