Pare incredibile, ma i Sonic Youth hanno fatto il loro ultimo concerto ben 14 anni fa, in autunno, dopo la separazione di Thurston Moore e Kim Gordon. I due hanno poi continuato a lavorare su vari fronti: Gordon quest’anno è stata candidata ai Grammy per The Collective, Moore ha pubblicato diversi dischi da solista, ha fondato con la moglie Eva Prinz un’etichetta indipendente chiamata Daydream Library Series, ha dato alle stampe la biografia Sonic Life. Alla fine dello scorso anno è stato protagonista di una breve e inattesa reunion sul palco con Lee Ranaldo e Steve Shelley, allo Stone di New York: hanno suonato per un’ora improvvisando in modo libero musica che ricordava il periodo migliore della band.
Moore è uno che guarda avanti: ha appena registrato un’intervista per il podcast di Rick Rubin e sta lavorando al suo romanzo d’esordio ambientato nella New York dei primi anni ’80. E, notizia che non sorprenderà nessuno, ha reso omaggio ai Velvet Underground. È uscita venerdì scorso una nuova versione di Temptation Inside Your Heart (un brano scartato all’epoca e pubblicato nella raccolta VU) che ha inciso con la sua band (la bassista Deb Googe, il batterista Jem Doulton e il chitarrista James Sedwards) e col genietto dell’elettronica Jon Leidecker.
Hai pubblicato Temptation Inside Your Heart nei giorni in cui Sterling Morrison avrebbe compiuto 83 anni. Non è un caso…
Pubblicare con Eva Linger On, la raccolta di interviste ai Velvet Underground curate dal giornalista spagnolo Ignacio Julià, mi ha fatto pensare molto a quel gruppo. Ho sempre immaginato i Sonic Youth come una band a sé nella scena. Mi piaceva l’idea di far parte di una comunità, ma sentivo che in qualche modo eravamo in disparte. E i Velvet sono stati un modello perfetto di band assolutamente unica e autentica. In quanto a Sterling, l’ho sempre considerato il membro più misterioso dei Velvet Underground e mi piaceva l’idea di ricordare il suo compleanno.
Di Lou sappiamo tanto. Anche di Nico sappiamo parecchio. Di John Cale pure. Mo Tucker ha sempre avuto una certa presenza sui social. Tutti hanno raccontato le loro storie in vari modi. Non Sterling, che non riceve altrettanta attenzione. Non ha mai fatto un disco solista, forse è morto troppo presto. L’ho incontrato una volta alla vecchia Knitting Factory di New York. Era molto dolce. Avrei voluto conoscerlo meglio. Ascoltando i dischi dei Velvet Underground senti molto Lou, chiaro, ma le idee chitarristiche di Sterling, i suoi ritmi e le sue melodie portano i pezzi fuori dal solco centrale stabilito da Lou in quanto autore. È stato Sterling a portare una certa estetica rock nelle canzoni dei Velvet.
Perché proprio Temptation Inside Your Heart?
Per la gioia e l’estasi che trasmette. È chiaramente un mezzo scarto buttato lì in studio, con Lou che parla e che scherza. Io non li faccio quei siparietti divertenti. Ma quando canta “I know where the evil lies inside of your heart” lo fa con dolcezza, un po’ da crooner. Non c’è nichilismo nella musica, semmai nel testo. Parla della sensazione condivisa di insicurezza che tutti abbiamo nei rapporti con gli altri.
E ha pure un bel riff.
Sì, è trascinante e poi c’è quello stacco bellissimo coi cori di sottofondo. Nella mia versione non ho messo i cori, li ho replicati con la chitarra.
Quindi pubblichi solo un pezzo? Niente lato B?
Se ne parlava proprio l’altro giorno. Oggi la gente ascolta musica soprattutto in streaming. L’idea di un lato A o lato B o anche di un album con una sequenza prestabilita è diventata secondaria, se non terziaria rispetto al rapporto diretto tra artista e ascoltatore. Oggi si tende a lavorare canzone per canzone. Quando ho pubblicato il mio ultimo disco, Flow Critical Lucidity, ho notato che qualcuno lo ha comprato in quanto album, seguendo la mia sequenza, ma molte più persone hanno scelto di ascoltare i pezzi che preferivano.
Grazie a Spotify e alle altre piattaforme, puoi vedere quali canzoni sono popolari e quali no.
Sì, puoi farti un’idea. Io però non ci guardo molto. È una cosa che sperimento più da ascoltatore: quando scopro un artista e vado a vedere i suoi album online, guardo subito quali sono i pezzi più ascoltati. È interessante. Anche in un album come Nantucket Sleighride dei Mountain, vedi che The Animal Trainer and the Toad è il più gettonato (ride). Gran pezzo, ma in realtà tutto il disco è buono.
Qual è la canzone più popolare dei Sonic Youth sulle piattaforme?
Non ci ho mai guardato. Mi spaventa troppo anche solo pensarci (su Spotify vince Teen Age Riot del 1988 con 87 milioni di stream, seguita da Incinerate del 2006 con 60 milioni, la cover di Superstar da un tributo ai Carpenters del 1994 con 58 milioni e Kool Thing del 1990 con 57 milioni, ndr).
A proposito di Sonic Youth: come è nata la reunion live con Ranaldo e Shelley?
È stata una reunion quanto può esserlo una cena insieme. Era un mio concerto allo Stone. Avevo chiesto a Lee di fare con me il duo di chitarre che avevamo già fatto altrove, poi ho pensato che sarebbe stato bello chiedere a Steve di unirsi visto che era in città. E così è stato. Mi sono reso conto che la cosa avrebbe fatto notizia, visto che i Sonic Youth non esistono più e che tre dei cinque membri dell’ultima formazione erano lì sul… in realtà non era nemmeno su un palco, eravamo sul pavimento dello Stone. Ci piace suonare musica improvvisata e quella è stata pura improvvisazione libera.
Non avete certo fatto le hit.
Per niente. Lo show era pubblicizzato come un duo con me e Lee. La gente è arrivata e ci ha visti in tre, si è creato un po’ di buzz. Lo capisco.
Hai sentito il peso delle aspettative?
No, nessuno l’ha sentito. È un locale piccolo, ci staranno 60 persone, ed era già tutto esaurito. Nessuno è arrivato con idee preconcette. Solo dopo, quando la cosa è finita sui social, è diventata una piccola notizia. Me l’aspettavo.
Kim ovviamente non c’era.
Non era nei paraggi, no (ride). Non penso che sarebbe stata granché interessata, in ogni caso. Ma con Steve e Lee ho già un rapporto consolidato nel contesto dell’improvvisazione libera.
Ti ha fatto venire nostalgia della band?
No. Non penso a cose del genere. Non mi mancano: mi manca il futuro. Penso a quello che voglio ancora fare. Non credo nella reunion. Abbiamo avuto una carriera di oltre trent’anni, molto più lunga di quella della maggior parte delle band. La band è lì, nelle registrazioni. Non credo vi sia alcunché di non detto.
Il suono di voi quattro, a volte cinque, era unico.
Vero, ma ormai siamo un po’ vecchiotti. Non credo ci sia granché da ricatturare. E non mi piacciono i “ri-”, come “riformarsi”.
L’anno scorso ho chiesto a Kim cosa ci sarebbe voluto per farla pensare a una reunion dei Sonic Youth e lei ha risposto: «Non so, non sarebbe mai bello come una volta».
(Annuisce) Le band si rimettono insieme mi sembra facciano una sorta di compito. Spesso c’entra meno la band e più il brand. A meno che non ci siano tutti i membri originali, ma anche lì, una parte fondamentale di una band è la sua giovinezza. Cercare di riprodurla è un po’ come essere una nonnetta che indossa un vestitino corto. Non voglio essere quella roba lì. Non voglio vedere gente sui 70 anni che rimette insieme la band dei loro 20 anni con lo stesso taglio di capelli.
Avete ricevuto proposte per reunion una tantum, vero?
Ogni giorno. Tutti noi. È una costante. Mi piace, perché significa che abbiamo lasciato un segno. È una cosa quasi ultraterrena e ne vado orgoglioso. Ma è un’esperienza finita: ha avuto un grande inizio, un grande sviluppo e una grande fine.
Una fine piuttosto drammatica, in verità.
(Scrolla le spalle) Sai… penso che The Eternal sia una bella dichiarazione finale.
Ti immagini mai tu e Kim di nuovo insieme sul palco, anche solo una volta?
So che è una fantasia e sono molto restio ad abbandonarmi alle fantasie.
Che impressione ti fa vedere cantanti pop come Olivia Rodrigo, Sabrina Carpenter e Chappell Roan headliner a festival come il Lollapalooza, dove una volta suonavano i Sonic Youth?
Col rock, tutto ruota attorno all’interazione all’interno delle band, a quella sorta di famiglia che sale sul palco. Oggi invece è l’era della popstar circondata dalla produzione: ballerini, luci, video, scenografie. È diventato molto “disneyzzato” e punta a una pubblico di massa, un po’ come Disneyland. Si è passati da un pubblico rock come quello dei Led Zeppelin o dei Pearl Jam a uno che non è neanche più interessato al rock, ma all’intrattenimento in senso lato. E produce un richiamo a un pubblico più ampio rispetto alle classiche rock band. Che ci sono ancora, ma non dominano più festival come Lollapalooza. Non hanno più il successo di una volta.
Detto questo, trovo tutte quelle artiste assolutamente credibili. Olivia Rodrigo e Chappell Roan sono grandi artiste. Sono andato a vedere Lana Del Rey ed è stato pazzesco: un palco che sembrava una fattoria, lei che ci camminava dentro e attorno, ballerini ovunque, video fatti con l’intelligenza artificiale. Da vedere. Mi è piaciuto. Mi piace la sua musica e la sua estetica. Ma al tempo stesso la mia preferenza va sempre a contesti più intimi: mi piace vedere l’interazione tra musicisti in modo naturale. Un musicista che suona una chitarra attaccata a un ampli, ecco.
C’è ancora un pubblico giovane per il rock sperimentale e per tutto ciò che arriva dalla cultura punk. Non è una cosa grossa alla Olivia Rodrigo, ma non è mai stato quello lo scopo di una band, non era arrivare alle masse. Ho sempre trovato più affascinanti esperienze più modeste. Il grande business del rock è stato un problema per uno come Kurt, che si è trovato improvvisamente in una band gigantesca. Ci ha fatto i conti a modo suo e allo stesso tempo non è riuscito a farci i conti.
Oggi nessuno si preoccupa più di essersi venduto, come faceva lui.
Già, non importa più. Ma non direi mai che Olivia Rodrigo o Chappell Roan si stanno svendendo, perché quel che fanno è intelligente. Chappell Roan promuove i diritti umani e la comunità LGBTQ in modo grandioso. È fantastico che abbia quella voce e quel pubblico. Olivia Rodrigo parla di letteratura sui social, invita i ragazzi a spegnere il telefono e leggere un libro. Non è solo intrattenimento fine a se stesso. Tanto di cappello. Non è la mia musica e non punto a quel tipo di successo di massa. Certo, farebbe bene al mio conto in banca, ma a parte questo…
Kim ha raggiunto un certo livello di riconoscimento grazie alla candidatura ai Grammy, la prima per un’ex Sonic Youth.
Fantastico. È una bella notizia. Non ho la puzza sotto il naso. È bello ottenere riconoscimenti, a qualunque livello. Non denigrerò quel tipo di cosa. Johnny Rotten mi è sembrato ipocrita quando si è rifiutato di entrare nella Rock and Roll Hall of Fame con quella lettera acida. La vita è breve. Perché non abbracciarci invece di essere moralisti?
Ti chiedi mai se i Sonic Youth entreranno nella Hall of Fame?
No. E poi mi sa che ci siamo già in una hall of fame, magari non quella. Esiste una Noise Rock Hall of Fame?













