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The Magician, il dj dei remix

Impossibile non aver mai sentito la versione di "I Follow Rivers" del belga, ma Lykke Li (la cantante) non era d'accordo. Ecco l'intervista al dj

The Magician, il dj dei remix

Stephen Fasano, belga, è arrivato alla grande notorietà negli ultimi tre anni, dopo essere uscito dal duo Aeroplane; da quel momento, le radio hanno iniziato a premiare i suoi remix: impossibile, in particolare, non aver mai sentito la sua versione di I Follow Rivers di Lykke Li.

Lungo questa inarrestabile ancorché un po’ tardiva ascesa, ha piazzato anche un successo personale, col brano Sunlight. Di passaggio a Milano per la Settimana della Moda, ci ha risposto in impeccabile mise da illusionista, completo nerissimo su camicia bianchissima.

Posso cominciare da Sunlight, il tuo successo più recente? Da quando l’ho sentita la prima volta mi chiedo se sia un campionamento da Robert Wyatt.
No, casomai dai Matching Mole.

Ah, ma allora lo è! Perché ho provato ad ascoltare Caroline e Sunlight una dopo l’altra, e…
Non sono uguali. Perché non è un campionamento, mi ispiro alle canzoni, non ne prendo pezzi. La sequenza di note non è esattamente quella, ma ovviamente è l’ispirazione per il loop iniziale – che abbiamo suonato con un mellotron. Mi piace molto la musica psichedelica, secondo me c’è un po’ di spirito prog nella dance.

Il video, anche se ha un risvolto umoristico, è ambientato in spiaggia – cioè uno dei due luoghi dove si ambienta in genere un video dance: 1) una spiaggia, o 2) Berlino.
Haha, è vero. Però l’atmosfera della canzone rendeva la spiaggia inevitabile. Il singolo è stato pubblicato a settembre, portava con sé una certa nostalgia dell’estate.

La dance è il genere che in questo momento pare offrire più possibilità a chi viene da paesi non anglosassoni. Secondo te come mai?
Credo sia perché chi la ascolta non giudica la credibilità del pezzo dal fatto che venga da un posto o da un altro, mentre nel rock e nell’hip-hop, e in una certa misura anche nel pop, la provenienza è una pregiudiziale.

Ma in America verso la dance europea non c’è un pregiudizio?
No, in realtà è abbastanza il contrario. L’Europa inizia ad avere un problema di abitudine, sto pensando in particolare a Germania, Francia e Ibiza – non c’è voglia di essere stupiti, la gente si comporta come se avesse già visto tutto. Il pubblico sicuramente se ne intende, ma inizia ad avere un atteggiamento troppo smaliziato, quasi saccente. In America vedo più apertura mentale.

Noto che non hai citato l’Italia.
Lo so. L’Italia è difficile da interpretare, anche se l’ho frequentata, e ho dei nonni italiani; quando ero piccolo mio padre ascoltava Battisti. Negli anni ’80 e ’90 con la disco italiana bisognava farci i conti, ma oggi non si capisce bene. Mi pare di capire che Coccoluto è ancora un grande, però non credo di star dicendo niente di grave se dico che la dance italiana ora non ha l’influenza che aveva anni fa. E non ne conosco i motivi.

Parliamo dei tuoi remix. Tu hai preso I Follow Rivers di Lykke Li e ne hai fatto un successo. Ma di fatto, hai quasi del tutto cambiato la canzone. Lei stava andando in direzione Bjork, per così dire.
In effetti non è stata molto entusiasta. Credo abbia anche tentato di opporsi alla pubblicazione, ma la sua casa discografica è stata MOLTO contenta.

Fino a che punto la cosa è strana?
L’album era uscito da un anno, quando io ho preso il suo pezzo. Direi che lei grazie a quel remix è molto più conosciuta, e penso che non farà fatica a mostrare la sua integrità in futuro, se è questo il problema. Faccio il dj da vent’anni e la cultura del remix non è nata oggi, credo che chi fa musica nel 2015 lo sappia. Nessuno discute le cover, non vedo un reale motivo per discutere i remix.

Poi hai remixato Rather Be dei Clean bandit. Lì ve la siete giocata: la loro versione ha funzionato molto bene, ma vedo da Spotify che la tua ha un numero enorme di ascolti. La cosa interessante è che hai tolto l’elemento su cui loro puntavano di più, cioè gli archi.
Li trovavo un po’ troppo dolciastri. A te piaceva?

No! Non per piaggeria, ma preferisco la tua versione.
Strano, di solito agli italiani un suono drammatico piace di più… Io ho tolto i violoncelli e ho cercato di dargli un suono più underground, nella mia versione è un brano da club.

Però con loro hai fatto il contrario rispetto al brano di Lykke Li. Lo hai reso meno mainstream.
Noi dj col mainstream abbiamo un rapporto schizofrenico. Ogni dj sa che essere il primo a suonare qualcosa, oppure essere quello che rende un pezzo popolare, è motivo di orgoglio; al contrario, quando un pezzo che abbiamo messo o fatto diventa mainstream, non lo possiamo più mettere. Io stesso ora nei club sono in imbarazzo a mettere i pezzi più famosi che ho prodotto. So che la gente li vuole sentire – perché sono famoso per quelli – però in parte è contro la mia natura…

La dance ha molte correnti. Tu a quali sei più vicino?
Mi piace molto la future house. Stimo molto Oliver Heldens. Mentre non mi è mai piaciuta la dubstep, ci ho sempre visto una moda.

Se dovessi farmi un nome fondamentale nella storia della dance?
Grandmaster Flash.

Da anni produci mensilmente delle compilation chiamate Magic Tapes, su Soundcloud.
Sì, scelgo tra i pezzi che mi vengono mandati, che sono parecchi. Me li mandano le etichette e i produttori e gli artisti, anche sconosciuti. Li sento tutti.

Ma dove trovi il tempo?
Lo trovo perché mi piace!

Mi pare di capire che vuoi anche trovare il tempo di fare un album.
Questo perché mi sono formato in un’epoca in cui fare un album era un sogno per ogni musicista. Ti innamoravi della musica passando per l’idea che gli album fossero scatole piene di sorprese – che fossero di Michael Jackson o dei Beach Boys o dei Supertramp: ogni artista, di ogni genere, li realizzava con quell’intento. Voglio farlo anch’io – me ne basta uno, poi basta. Non posso concludere la mia carriera nella musica senza un album.

Quando pensi di concluderla?
Non voglio fare questo mestiere dopo i 50 anni. Voglio fare altro. Magari lavorare nella ristorazione. Ho un paio di ricette della mia nonna italiana che possono fare la differenza…

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