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The Kolors: «Ci dicevamo che non saremmo andati da nessuna parte»

Sembrano usciti dagli anni ’80. Invece sono appena usciti da “Amici di Maria”. «Per avere successo dicevano avremmo dovuto fare i Modà». Ma a loro piacciono i Cure e Gilmour
Stash, Alex e Daniele in total look Msgm. Foto: Emilio Tini Style: Edoardo Marchiori

Stash, Alex e Daniele in total look Msgm. Foto: Emilio Tini Style: Edoardo Marchiori

Stash si chiude in bagno con il suo parrucchiere personale per farsi phonare il ciuffo. Poi esce, si siede allo specchio e passa al trucco. Da solo, apre l’astuccio e inizia a spalmarsi fondotinta e terra. «Non farti troppo lucido, sono foto, non video», gli urlano dal set. «Tranquilli, mi faccio solo una base». Dopo una manciata di minuti, conclude l’operazione. Non vuole telecamere né macchine fotografiche vicine, perché certi segreti – dice – devono restare solo suoi. Facile pensare che Stash si sia montato la testa (oltre alla cofana). Invece. Lui e i suoi The Kolors, anche prima di partecipare ad Amici di Maria, il talent tv che hanno vinto e che li ha fatti conoscere in tutta Italia, erano così. Hanno sempre portato le giacche di pelle, hanno sempre avuto il ciuffo altissimo e hanno sempre messo la matita attorno agli occhi. Niente vezzi televisivi. Loro giurano di essere gli stessi di qualche anno fa, quando da Cardito, in Campania, sono sbarcati a Milano con strumenti e ambizioni. Però ora Antonio Stash Fiordispino (voce e chitarra), suo cugino Alex Fiordispino (batteria) e Daniele Mona (sintetizzatore) sono gli idoli di mezza Italia, forti di una spinta televisiva che solo Maria De Filippi può dare.

Tornare a casa con la vittoria è stato forse un premio inaspettato. Ma che potessero entrare nel mondo di Maria e spaccare era abbastanza scontato. Sono bellocci, giovani (tutti e tre nati tra l’88 e l’89), parecchio tatuati, cantano in un inglese perfetto (a dispetto dell’accento campano che hanno quando ti parlano) e hanno le melodie ammiccanti al posto giusto. Perfetti quindi per un programma tv come Amici, che negli anni ha visto trionfare in prima serata da cantanti dalla voce soul come Alessandra Amoroso a rapper come Moreno. Ponendosi un po’ come l’ultimo tentativo di chi stava per mollare, ha spinto un certo mondo e ha reso credibile a un pubblico pop un prodotto che così pop non era.


Stash si è già costruito come il frontman perfetto: è lui che parla, dirige e tiene le fila della band. E spiega chi sono i Kolors: «A inizio concerto prepariamo il pubblico: faccio parlare il lettore automatico di Google che con una voce robotizzata racconta cosa ci sarà nello show. Tipo: “Potrete sentire del pop, del funk, qualcosa che magari considerate merda, ma che per noi vuol dire tanto”». Canticchia The Rhythm of the Night di Corona e poi snocciola quelli che chiama «i colori primari», cioè la materia prima su cui si è mossa la band: «Gli Xtc, i Pink Floyd, gli Smiths, i Cure, mescolati con un’impronta sonora che potrebbe avere un brano moderno. Siamo quelli che al martedì suonavano alle Scimmie, ma il giorno dopo andavano a ballare la house di Miguel Campbell ai Magazzini Generali. Fondere questi due mondi non è una cosa studiata, ci è venuta così, un po’ alla cazzo». Due mondi lontani, quelli che racconta Stash: il primo, storico club milanese sui Navigli per intenditori e nuovi talenti (e che tra l’altro, ha appena chiuso i battenti), il secondo, discoteca su due livelli che ospita concerti da mille persone. Adesso, con questo frullato di riferimenti storici, i Kolors sono quelli che riempiono i palazzetto, che hanno fatto un tour di continui sold-out, che hanno ricevuto anche le chiavi del loro paese dalle mani del sindaco. «E dire che, se un anno fa mi avessi chiesto dove mi sarei visto oggi, forse ti avrei detto a Londra, a provare a sfondare. Abbiamo bussato a tutte le porte e niente. Ci dicevano che non saremmo andati da nessuna parte». Dicevano anche che per sfondare dovevano assomigliare ai Modà. «Ma, con tutto il rispetto, noi non siamo i Modà! Da una parte eravamo troppo alternativi, dall’altra ci dicevano che non eravamo abbastanza mainstream. Capisci? Ascolta Everytime adesso, è quasi come un pezzo di David Guetta!». Tanto da diventare il tormentone del più classico degli spot estivi, quello delle compagnie telefoniche. Wo-ho-ho-ho e un sacco di Giga in omaggio.

Chi li conosce da tempo dice che si sono sempre fatti un mazzo così. Solo che, a un certo punto, il mazzo così non bastava più. Perché non serviva a niente avere tre-persone- tre ad ascoltarli alle Scimmie: le porte delle case discografiche restavano comunque sbarrate per loro. E allora perché non tentare con un talent, perché non Amici, perché non andare da Santa Maria della tv? Sempre senza tradire le origini: Stash tiene a questo concetto, tiene alla credibilità del gruppo. Sottolinea un sacco di volte che le dinamiche non sono cambiate, che c’è ancora la complicità da sala prove, nonostante le dirette televisive, le prime serate, i giudici eccetera. «Quello che è successo là dentro io la considero gavetta vera. In sei mesi abbiamo fatto quello che avremmo fatto fuori in quattro anni. È obsoleto non ragionare così. Abbiamo imparato il lavoro intenso e costante. In due giorni avevamo sei brani da preparare, sia cover che pezzi nostri». E le cover non possono essere solo cover, «devono avere un’impronta personale, ma devono saper rendere giustizia all’originale». E devono, soprattutto, essere suonate davanti a milioni di persone (la finale di Amici è stata vista da oltre 6 milioni e mezzo di persone, con il 34,2% di share, ndr).

Camicie, foulard e pelliccia Msgm. Foto: Emilio Tini Style: Edoardo Marchiori


I Kolors sono stati capaci di passare dalle platee deserte dei locali milanesi alle telecamere della tv nazionale e – dicono – hanno scoperto un mondo che gli è piaciuto. «Maria De Filippi mi ha detto la cosa più rock&roll della vita, davvero. Al primo provino abbiamo portato un repertorio un po’ paraculo. Avevamo preparato In ginocchio da te di Gianni Morandi, una canzone dei Coldplay e poi, per chiudere, il nostro inedito, Everytime. Finita l’esibizione, Maria si alza e mi dice: “Si vede che in questo pezzo siete voi. Nel caso doveste entrare, non voglio copie, voglio che facciate solo quello che siete”». Vien da chiedersi quanto lei abbia mosso i fili dei Kolors. «Maria non ti indirizza per niente. Non dice: “Fai così, fai colì”. Sa metterti a tuo agio. Ha un’aura che emana tranquillità. Mi ricordo il pre-provino: andò di merda. Sai quando sei carichissimo e poi va tutto male? Ecco: chitarra scordata, accordo sbagliato… Si percepiva un sacco di ansia, di tensione, ci guardavano tipo: “Ma dove cazzo volete andare?”. Poi è arrivata lei, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto semplicemente: “Mi piacciono i tuoi capelli”. Ha portato immediatamente calma, è stato come esibirsi davanti a un’amica». Maria sa che un complimento ai capelli può essere decisivo.

Fuori dal set, durante una pausa dall’intervista, arriva una ragazza da una scuola di danza vicina. Chiede a Stash di fare un selfie. Lui sorride, la abbraccia e finisce su Instagram. Quante volte starà succedendo ormai? Esci da Amici, hai un esercito di adolescenti urlanti, teenager con la Smemoranda da autografare, le frasi delle canzoni tatuate sulle braccia. «Sai cosa mi ha stupito?», mi fa Stash: «Che le figlie si portano i padri ai nostri concerti. Loro vedono il moderno, i genitori le sfumature, le nostre ispirazioni. E sai cosa assicura questo? Il futuro: per andare avanti, è importante coinvolgere così tanta gente diversa». Stash è sicuro di sé quando parla e parecchio ambizioso. Una già scafata macchina da guerra del music business.

A maggio, mentre i Kolors erano ancora ad Amici, è uscito il loro album Out, che nel frattempo ha venduto tantissimo, ha vinto il terzo disco di platino ed è tra i best seller dell’anno. Chissà quanto stanno rosicando le case discografiche che li avevano rimbalzati. «Ad Amici abbiamo rifatto da zero il disco, lo abbiamo interpretato in maniera diversa. Se è venuto così devo ringraziare Elisa Toffoli, che è stata la nostra tutor all’interno del programma e tutti quelli che mi hanno circondato in questa esperienza». Parla come un libro stampato, Stash. E spiega che il programma non li ha cambiati (ancora!), ma hanno imparato qualche trucco del mestiere. «Mi dicevano: “Fighissimo questo, ma piace a noi che facciamo musica”. Vedi, quello che facevamo prima andava bene per noi, per i nostri amici, va ancora bene per i nostri gusti. Ma adesso proviamo a fare qualcosa di più ballabile o di più melodico. Perché questo è quello che vuole la gente».

Stash knows. E ha dei capelli incredibilmente belli.

Questo articolo è pubblicato su Rolling Stone di settembre.
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