The Cribs, essere una rockband oggi e far uscire un album punk e uno pop | Rolling Stone Italia
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The Cribs, essere una rockband oggi e far uscire un album punk e uno pop

Uno ("For my sisters") è appena uscito, l'altro è in arrivo. «Oggi la gente si fa troppe menate per il suono e troppo poche per le canzoni», dice il chitarrista Ryan Jarman

The Cribs, foto stampa

The Cribs, foto stampa

Cosa deve fare una rockband in questi tempi difficili? Schiacciati dall’industria, che chiede pop ed EDM, e torchiati dal pubblico del rock contemporaneo, sempre più esigente (…per non dire snob) (ops, lo abbiamo detto), è difficile capire che strada prendere. Anche quando si è una delle band inglesi più stimate dai nomi che contano, da Johnny Marr (The Smiths) che ne ha fatto fisicamente parte, allo stuolo di produttori di rango che hanno messo le mani nei loro album. La mossa dei Cribs sembra quasi frutto dell’esasperazione: due album, uno più pop, uno più punk. Il primo, For my sisters, è il sesto della loro discografia, ed è appena uscito. L’altro dovrebbe arrivare tra uno o due mesi. Ne parliamo con Ryan Jarman, il più esposto dei tre fratelli che danno vita al gruppo di Wakefield.

Questa cosa di fare due dischi nello stesso anno con due produttori molto diversi (Ric Ocasek, ex leader dei Cars, e Steve Albini, vedi alla voce Nirvana) sembra abbastanza radicale.
“Sembra” è una buona espressione. C’è una buona dose di casualità. Siamo stati senza fare album per tre anni, e le canzoni si sono accumulate. Così mentre lavoravamo con Ocasek, eravamo concentrati sul nostro lato più leggero, divertente. Direi pop, se non fosse una parola sconveniente.

Lo è?
Per come è usata oggi. Di certo, non abbiamo a che fare col pop commerciale fabbricato in serie a L.A., e non ci interessa investire di selfie il pubblico… Il pop a cui penso è quello che hanno fatto artisti come David Bowie.

The Cribs - Burning for No One

Però pare di capire che l’altra faccia dei Cribs guardi in un’altra direzione.
Fermo restando che For all my sisters resta un disco pop come possiamo farlo noi, cioè chitarre, riff e suono sporco, c’erano queste altre canzoni ancora più ruvide, cui avevamo già in parte lavorato con Albini. A un certo punto la voce che avremmo fatto due album si è fatta così consistente che l’abbiamo presa in considerazione e ci siamo detti: “Beh, perché no?”

Non state chiedendo troppo ai vostri fan?
Questo discorso ce lo hanno fatto diverse persone. Ma non siamo nel 1995. Tutti sappiamo che oggi ognuno ha la possibilità di sentire l’album e decidere se comprarlo. Non c’è nessun ricatto: “Ah!, sei un nostro fan, ora ci darai doppio dazio”. Al contrario, visto che le cose sono cambiate, sta a noi dare la migliore musica possibile per convincere la gente a comprare l’album e venire al concerto. Io credo che per “fan” si intendano le persone che riusciamo a convincere con quello che facciamo. E se c’è un concetto che salvo del rock, è quello di credibilità. Perché chi ascolta rock capta subito quando c’è o non c’è. Se non c’è o se la perdi, non hai scampo.

Ho fatto un bel po’ delle cose sceme che fanno i rocker, ho anche maltrattato la gente intorno a me

Come è cambiato il mondo da quando avete debuttato, all’inizio del secolo?
C’è meno passione per la musica. Tutto sembra molto cerebrale: il modo in cui si parla di rock è diventato assurdamente cerebrale. Credo sia perché passa attraverso i computer. La musica arriva tramite computer, è commentata e recensita tramite computer. Questa cosa non può non avere un peso. So che ora verrà fuori la mia mentalità old school, ma la gente si sta facendo troppe menate per il suono, e troppo poche per le canzoni. E per i testi, anche.

Voi comunque sembrate sopravvivere bene. Oddio, Pitchfork continua a non amarvi.
Non so, devo ancora leggere. Cosa dicono?

In tre quarti della recensione si parla dei vostri produttori.
Ecco, appunto.

Ma parlando di canzoni, il tuo modo di scriverle come è cambiato, rispetto all’inizio? Da dove vengono i pezzi di For all my sisters?
Buona domanda. Dal punto di vista tecnico, sono diventato un po’ più bravo: non mi sono mai considerato un chitarrista vero e proprio, ma già che c’ero ho cercato di imparare; avendo avuto la fortuna di incontrare dei fenomeni, qualcosa ho copiato. Quanto ai testi, sarebbe terribile se passati i 30 anni scrivessi come un ventenne. Ho fatto un bel po’ delle cose sceme che fanno i rocker, mi sono divertito e mi sono depresso e mi sono arrabbiato e ho maltrattato la gente intorno a me. Ora so chi sono. E se scrivo qualcosa, è perché lo voglio proprio dire.

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