The Andre, la fine della trap, la riscoperta della scrittura (e un libro dedicato a noi ‘matusa’) | Rolling Stone Italia
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The Andre, la fine della trap, la riscoperta della scrittura (e un libro dedicato a noi ‘matusa’)

Chiacchierata tra un giovane e due vecchietti (l’intervistatore e Pippo Civati, editore di ‘Io è un altro’) su musica, analisi del testo, mostri sacri. E legami generazionali che andranno avanti all’infinito

The Andre, la fine della trap, la riscoperta della scrittura (e un libro dedicato a noi ‘matusa’)

The Andre e Pippo Civati

Foto: Press/Getty/Bruno Marzi

Conosco Pippo Civati da molti anni, non conosco The Andre al di là delle cover trap di De André (scoprirò però che è improprio sia il termine cover sia trap) ma mi sta già simpatico, con gli occhiali scuri e il cappuccio della felpa alzato pure nella videochiamata WhatsApp. Con Civati pubblicammo tempo fa un libercolo che – momento mitomania – forse qualcuno ancora ricorda, oggi lui è editore (la casa editrice si chiama People) e ha scelto di pubblicare The Andre, ovvero il suo primo libro Io è un altro, in libreria da domani. E il punto sta tutto qua: in casi come questo e oggi più che mai – disclaimer: questa chiacchierata diventerà (anche) un discorso tra un giovane e due vecchi – si può parlare di musica e scrittura come una cosa sola.

Ho letto che, se siamo qua, la colpa è di Pippo.
Pippo Civati: Sì, diciamo così. L’idea era quella di coinvolgere questa nuova star della scena musicale italiana in un lavoro di scrittura, che secondo me è anche la parte più pregevole del suo lavoro di musicista. La capacità di riscrivere, tradurre, interpolare generi e codici mi affascinava molto. E in più c’era la curiosità di conoscere questo personaggio misterioso, cosa che accompagna il lavoro di chi vuole fare dei libri. Con The Andre ci siamo incrociati quando stava cambiando pelle, e quello era un altro elemento di interesse: raccontare la stagione di un interprete particolare della trap, ma in un’evoluzione personale che proprio allora stava prendendo le mosse. Correggimi se sbaglio.
The Andre: No, è tutto giusto, era il momento in cui stavo affrontando il singolo che poi sarebbe uscito a marzo (Captatio benevolentiae, nda), la fase in cui ho cercato di reinventare la mia immagine, e la mia storia, a partire da qualcosa di diverso dalla trap e da De André. Scrivere il libro è stato come tirare le fila di questo momento bello, che però si è concluso.

La trap, il rap, anzi no: mi hanno detto che si dice cantautorap. Negli ultimi anni è tornato davvero l’interesse per il testo, per la scrittura appunto, o sto dicendo una cosa da nonno?
PC: Io son più vecchio ancora e secondo me è così. La trap ha davvero riscoperto il testo, forse i vecchietti come noi capiscono meno le sonorità, ma capiamo che nei testi c’è roba, sono belli. The Andre fa un passaggio in più. In lui si avverte proprio un lavoro quasi ermeneutico di traduzione, di scambio, di gioco, trasforma le parole della trap non soltanto musicandole e dando loro la voce di De André, ma mettendo in atto un ripensamento, una ricerca ulteriore.
TA: A questo proposito, volevo dirvi che la parte centrale del libro è dedicata a una cosa che mi ha divertito molto e che magari non divertirà molto i lettori, e cioè l’analisi filologica dei testi trap, un’analisi proprio critico-tematica, che si fonda su una solida base scientifico-accademica (credo stia ridendo anche lui come me, ma tra occhiali e cappuccio non ne sono sicuro, nda).

La copertina di ‘Io è un altro’ di The Andre, pubblicato da People

Ecco: perché questa trap va eternamente spiegata (a me, per esempio)?
TA: Io non lo so, anche perché non sono un vero trapper, o almeno non lo sono più. Credo solo che si possa analizzare in profondità qualsiasi testo. E che a volte è bello creare profondità anche dove non c’è. Comporre un testo vuol sempre dire mettere insieme parole, frasi e schemi che qualcuno prima di noi ha già utilizzato. Vuol dire tirare fuori reminiscenze che magari non conosciamo nemmeno, ma che abbiamo dentro. Ho detto qualcosa di sensato?

Direi di sì. Adesso, però, spiegatemi anche la vera differenza tra The Andre e De André.
PC: L’operazione di The Andre è tutt’altro che superficiale, non si può parlare né di cover classiche né di scimmiottamento del timbro vocale originale. È un gioco di sponda col De André vero che avvicina quelli della mia generazione – vabbè, così sembra che stia davvero parlando Matusalemme, De André era già vecchietto quando io ero giovane, per dirla tutta –, ma insomma che avvicina quelli che ascoltavano De André o altri come lui a quelli che fanno musica adesso. Su questo lavoro di cortocircuito c’è un legame generazionale, è come se qualcosa che amava qualcuno prima rinascesse musicalmente oggi sotto altre forme, con le parole di altri.
TA: C’è anche una sorta di riconoscimento dell’apprezzamento della musica cantautorale da parte della nuova generazione dei rapper, un apprezzamento che è sempre un po’ taciuto. Tanti rapper anche giovani l’hanno interiorizzata e poi si sono messi a fare cose completamente diverse. Una parte di quello che ho fatto è stato riscoprire il legame che c’era già, ma che è stato in qualche modo nascosto, e che oggi viene fuori in tanti modi. Per dire: Izi, che tra l’altro è genovese, ha rifatto Dolcenera di De André, ed è un po’ la stessa cosa, è l’esempio di una relazione che esiste e che vuole esistere, anche se viene messa un po’ a tacere.

Una volta ascoltare i cantautori era un vanto, oggi ci si vergogna.
TA: Si potrebbe dire così, ma il mio è anche un modo per far notare a quelli che dicono che la mia generazione è quella che non ha mai ascoltato la musica “vera”, e che la generazione che sta arrivando ascolterà ancora meno la musica vera, ecco, è un modo per dire loro che alla fine tutti abbiamo ascoltato De André, anche se non viene fuori. Che c’è un bel gruppo di nuovi giovani, o vecchi giovani, che questa musica la conosce, e la mette in quello che fa.

Domanda per Pippo, in memoria dei nostri trascorsi politici (più tuoi che miei). Una volta a sinistra quello che fa The Andre sarebbe stato rubricato come blasfemia, perché oggi anche gli ex compagni lo approvano?
PC: Intanto perché basta coi sancta sanctorum e le cose da mantenere ferme per sempre. Non credo che nemmeno a De André quest’operazione darebbe fastidio, anzi. Magari la considererebbe bellissima, magari un po’ meno, ma di certo capirebbe che non è fatta contro la sacralità del suo testo. Mi piacerebbe, se mai, che lo stesso accadesse in politica: rifacciamo Ingrao con la trap? Oppure Pertini, con il linguaggio di oggi?
TA: Rispondo anch’io. Io penso che si possa – no: si debba – toccare i mostri sacri, perché è così che l’arte e la letteratura e la musica sono sempre andate avanti. Si prendeva una cosa fatta dieci, venti, cento anni prima, si distruggeva – anzi no, si manipolava – e veniva fuori qualcosa di completamente nuovo. Fare tabula rasa e ricominciare da zero è un’illusione, è già stato fatto tutto, il nostro compito è riviverlo attraverso la nostra concezione di moderni.

C’è chi dice che oggi sono tutti influencer, anche i musicisti. Io dico che c’è molta più elasticità, più vasi comunicanti, che – come in questo caso – un musicista può diventare scrittore e non è manco più una notizia.
TA: La multimedialità è una caratteristica di questi anni e la considero una cosa positiva, ma non è una novità neanche questa. Diciamo che è più facile utilizzare mezzi espressivi diversi per diffondere lo stesso messaggio.
PC: La casa editrice ha una collana, più che altro una divisione, che si chiama People Records, dove cerchiamo di fare questo crossover, di mettere insieme figure e linguaggi diversi. Alcuni musicisti hanno delle intuizioni geniali: pensa ai Camillas e alla loro Storia della musica del futuro, che è un delirio paradossalmente molto razionale, pieno di giochi e di visioni. Alcune discipline come la musica e la scrittura sono considerate lontane, perché il libro è scritto e il cd – vabbè, così si vede che c’ho quarantamila anni – invece no. Non è vero, ed è proprio qui che vogliamo indagare.

The Andre ospite di Radio 2 con Dori Ghezzi

La prefazione di Io è un altro è di Dori Ghezzi.
TA: Ci sono stati numerosi incontri con lei, il primissimo nel 2018, quando è venuta a sapere di tutto quanto e ha voluto conoscermi e capire cosa stavo facendo, che intenzioni avevo, cos’era questa cosa di The Andre. Ho ricevuto la sua benedizione e da allora ci siamo rivisti in altre occasioni, soprattutto legate alla memoria di De André. E alla fine, quando abbiamo inziato a pensare a chi potesse scrivere la prefazione, è sembrato bello che uno entrato nel music business da un paio d’anni e che si sente ancora spaesato si affidasse a una come lei, che invece questo mondo lo conosce bene e che ha pure un legame speciale con quello che faccio.

Insomma, manco lei sei riuscito a far incazzare.
TA: Non era scontato, all’inizio pensavo che i miei pezzi l’avrebbero indisposta. Invece si è divertita.
PC: Anche questo fa parte degli incroci di cui parlavamo prima. E del prendersi un rischio. The Andre se l’è preso quando faceva i primi video da mandare agli amici e alle amiche, e poi quando ha deciso di provare con YouTube, e di farci un format. Moltissime delle scoperte e delle storie letterarie nascono così, magari incrociano pure i “titolari” della materia toccata e può andare malissimo. Oppure – se c’è qualità, e umiltà: qua nessuno si crede Mick Jagger – anche molto bene.

Non c’entra ma c’entra, con il discorso della musica, e della scrittura, e delle cose che si scovano in giro. La vostra ultima scoperta.
TA: La mia è una scoperta solo per me, cioè al resto del mondo credo sia abbastanza noto. Ho iniziato di recente ad ascoltare Giovanni Truppi e mi piace moltissimo sotto tutti e due i punti di vista, quello della musica e quello dei testi.
PC: Io, per dire come la vita è strana, ultimamente sto ascoltando i Pinguini Tattici Nucleari: chi l’avrebbe mai detto, eh? Un giorno li ho conosciuti, e sono tornato a casa, e ho messo su una loro canzone, e mia figlia – che ha otto anni – mi ha detto: ma ascolti i Pinguini? Ed ecco che quel discorso generazionale, quel discorso del passaggio di testimone che facevamo prima si allunga all’infinito…

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