Tedua: la mia vita come un telefilm | Rolling Stone Italia
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Tedua «La mia vita come un telefilm»

Da Genova a Milano e ritorno, Tedua ci ha raccontato la sua storia dura ma unica come il suo flow. Ora è lui il nuovo astro della trap italiana

Tedua «La mia vita come un telefilm»

Foto Alessandro Treves

Ci sono molti modi per raccontare una storia come quella che segue: burrascoso come un romanzo ottocentesco, pietoso come un cartone anni ’80, tragicomico come un film di Chaplin. Il protagonista di questa storia ha deciso di raccontarla con l’immaginario patinato di un telefilm per adolescenti: The O.C.. È difficile immaginare Tedua, il nuovo nome della trap italiana su cui sono puntati i riflettori, sedersi sul divano a godersi le avventure di Ryan Atwood, giovane di Chino, quartiere malfamato di Los Angeles, affidato a una ricca famiglia della Contea di Orange. Ma quando gli faccio notare che The O.C. mi è sempre sembrata una roba da ragazze, mi risponde stupito: «Veramente? A me piaceva tantissimo». E mentre mi racconta la storia che lo ha portato alla pubblicazione del suo primo album, Orange County California, spesso si fermerà con un mezzo sorriso a commentare: «È davvero come un telefilm».

Tedua, vero nome Mario Molinari, è nato a Genova, il 22 febbraio del 1994, ma in Liguria ci resta pochissimo. Si trasferisce a Milano con la madre in una casa d’accoglienza, «Mi ricordo che era un periodo divertente, io facevo casino con tutti i bambini». A 3 anni finisce in una famiglia affidataria, «ma ricordo che una sera avevo distrutto tutto perché volevo stare con mia madre». Trova un’altra famiglia, e ogni domenica la trascorre con la mamma. «Mia madre è una donna con le palle, che ha lavorato tantissimo, ma appartiene al ciclo dei vinti», racconta Tedua, «vuole bene a tutti noi, segue qualsiasi cosa facciamo».

La scuola disturba quel ritrovato equilibrio: «Sono stato discriminato dai compagni e anche dalle maestre per la mia storia familiare. Me la prendevo, ma ho imparato a essere superiore». Ogni estate va in colonia con il Comune: «Volevo stare a chiacchierare tutta la notte con gli altri bambini. Lì sono diventato socievole, forse un po’ egocentrico». Gli psicologi dei servizi sociali sperano di trovargli qualche trauma, ma la verità è che Tedua si diverte un sacco.

In questo periodo il rap entra nella sua vita: la madre gli regala The Eminem Show di Eminem, Get Rich or Die Tryin’ di 50 Cent e Fuego dei Gemelli DiVersi. In prima media partecipa alle jam nel quartiere di Lotto con il nome Incubo. Lì c’è anche Ernia, con cui era in classe all’asilo, e conosce Ghali. È il più piccolo che si presenta alle jam. «Scrivevo un sacco di testi, analizzavo la mia vita in modo psicologico con un po’ di “zarria”».

Se fosse rimasto a Milano sarebbe stato diverso, «forse sarei entrato nella Troupe D’Elite con Ghali ed Ernia. Sarei cresciuto come un rapper». Ma in terza media si trasferisce in provincia di Genova, ad Arenzano, insieme alla madre e al compagno, poi a Cogoleto dove gli affitti sono più bassi, «e quello è diventato il mio paese per otto anni». Tedua scopre che “l’ignoranza” dei quartieri popolari milanesi è diversa da quella della provincia: «Quando stai a Rozzano, prendi il tram e arrivi in un attimo in centro, dove c’è tutto. Genova nel 2007 era indietro di tre anni rispetto a Milano, e io sembravo un inetto agli occhi delle persone: odiavano la mia “e” aperta, non capivano come mi vestivo. Io facevo un po’ il milanese imbruttito, ero frustrato perché già in terza media sapevo di voler fare il rapper. Temevo di perdere i contatti e, anche se andavo a Milano a trovare i miei amici, non era come viverci». Ma Genova è servita: la vita di quartiere, lo stadio, il pugilato, il mare e le chiacchiere coi balordi al bar gli hanno dato concretezza. Il sogno del rap comunque non si ferma: appena arriva, fonda la Wild Bandana, in cui entreranno anche Izi e Vaz Tè – «Quest’anno lui spaccherà», mi dice orgoglioso.

Foto Alessandro Treves

Tedua molla la scuola in seconda superiore per lavorare, è sempre in giro a fare “storie” – non approfondiamo quali storie siano. Inizia a frequentare un nuovo amico, Dream. La prima volta che va a casa sua non si aspetta una villa enorme con cancello tra campi da golf e la casa al mare di Mike Bongiorno. I genitori di Dream lo adorano e cominciano a invitarlo a mangiare, a regalargli vestiti. A 16 anni gli chiedono di tornare a scuola in cambio di andare a vivere da loro, e Tedua accetta. Qui la sua storia diventa veramente The O.C., «anche Dream era come Seth Cohen, l’unica differenza è che non gli interessano i fumetti». Ha anche la sua Marissa, con cui però finisce male – ma non nel senso che muore in un incidente stradale, come nella serie. In questi anni Tedua si rimette in riga. Dopo un infortunio, deve chiudere con il pugilato, così torna a rappare: nel 2014 esce Medaglie d’oro, un EP insieme a Vaz Tè, firmato con il nome d’arte Duate, che diventerà poi Tedua. Per gratitudine verso la famiglia che lo ospita decide di finire le superiori, poi la chiamata che aspettava da anni: Rkomi, suo amico e anche lui promessa del rap, gli dice che può andare a vivere nella casa dove sta lui a Calvairate, Milano. Vivere in una casa popolare significa pagare poco affitto, poter lavorare part-time e usare il resto del tempo per costruirsi una carriera.

Passano un anno a scrivere e a sostenersi a vicenda, con l’aiuto dei giovani rapper della scena trap milanese: «Quando sono tornato e ho visto Ghali e Sfera Ebbasta, ho capito che dovevo ancora farmi le ossa sulla professionalità e lo stile, ma quello che avevo vissuto mi ha permesso di vedere un mondo, di capire chi volevo essere e che personaggio volevo interpretare». I primi riconoscimenti arrivano dopo il featuring nel pezzo di Sfera Mercedes Nero, del 2015, e l’anno dopo esce il suo mixtape da 20 tracce Orange County, che a gennaio 2017 è stato rieditato con nuove tracce e con il titolo Orange County California, il primo album ufficiale di Tedua.

Nell’attitudine generale un po’ cupa della trap, Tedua si ritaglia momenti divertenti e freschi – ad esempio in Buste della spesa o Fifty Fifty. La sua voce si liscia sulle basi con un flow che può essere straniante al primo ascolto, unico nel panorama italiano – Tedua cita tra i nomi che l’hanno ispirato Chief Keef e Dargen D’Amico, «non li ho copiati, ma mi hanno ispirato a fare qualcosa di diverso». I meriti vanno anche al suo producer, Chris Nolan. Alcuni lo accusano di non andare a tempo, e la sua risposta è molto semplice: «Ho un contratto di distribuzione con Universal, non credo che ci sia questo problema». Tedua ha autostima e la distribuisce a chiunque abbia intorno (me compresa, che dopo averlo sentito raccontare dei pugili a cui insegnano a non pensare mai alla sconfitta mi sento capace di qualsiasi cosa). Dice che gli piacerebbe avere il successo di Fedez «senza essere così pop», ma è conscio che al momento manchino i canali per rendere capillare l’hip hop. Ha anche piani più grandi: «Io voglio riuscire a fare qualcosa di socialmente utile», l’aveva già capito a 18 anni, quando si era guardato indietro e si era detto: «Io non voglio che mio figlio faccia questa vita». Ora la sua vita è cambiata, ma se non gli fosse andata bene con il rap? Alla sua risposta manca solo la rima per finire in un pezzo: «Secondo te posso finire a fare il mediocre con la faccia da culo che c’ho?».

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