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Tedua, il ragazzo della giungla

Con “Mowgli” Tedua è pronto a fare conoscenza con la civiltà. Perché per il più selvaggio dei rapper italiani serve cultura, un po’ meno autotune e più Sangue Misto.

«Esce dalla giungla Mowgli, il cucciolo d’uomo, e si prepara a entrare nel mondo degli uomini», dice Tedua, svaccato su un divano nella sede della Sony, la sua etichetta. Ci mette del pathos, ma viene da sorridere a pensare a un domani in cui dovrà raccontare le favole della buonanotte ai suoi bambini, con il timbro rauco di chi fuma diecimila sigarette al giorno. La giungla di cui parla, però, non è la stessa di Bagheera e di Baloo. È quella in cui Mario è cresciuto e che ora deve lasciare, se vuole diventare qualcuno. È la storia del suo secondo album, Mowgli, sequel di Orange County California e transizione dal “rap del blocco” a uno più universale. «In fase adolescenziale, Mogwli ha fatto un album street dentro questa giungla. Ora siamo a quello street-mainstream. Infine verrà quello mainstream», continua. In terza persona, come se fosse uno scrittore che descrive l’ennesimo protagonista di un suo romanzo, ma alla fine si scopre che sono tutte sue personificazioni.

C’è stato bisogno di un album di passaggio, quindi.
Te la dico più poetica. Più diventa uomo, e più Mowgli vuole sentirsi animale. Gli umani lo spaventano. L’uomo conosce solo i cacciatori, e il rapper, all’inizio, conosce solo gli squali dell’industria discografica, che si nutrono della superficialità della massa. Quindi il ragazzo della giungla dice: “Fanculo, io così non divento”. È diffidente, e infatti questo disco è ancora giunglesco.

Però Mowgli, in cuor suo, sa già che dovrà diventare umano.
Sì! Finito l’album, lui lo sa già, e si prepara. Si è innamorato della sua lei, che lo conduce nel mondo civilizzato. Staremo poi a vedere come i suoi attributi da selvaggio sapranno sposarsi con un ambiente in cui vinci solo se hai studiato.

Però “farcela se hai studiato”, permettimi di dire, è un cliché. Non è la regola.
Dico solo che una cultura, delle fondamenta ti servono sempre, e tanto. Noi di periferia abbiamo un po’ questo vizio di piangerci addosso. Per sentirci alla pari con chiunque.

Insomma, dopo Ryan di O.C. ti sei ritrovato nei panni di un altro personaggio.
È quello che mi rappresenta di più, ma non è l’unico. Lo dico anche in Jungle: “Puoi chiamarmi Ted, Mowgli oppure Ryan”. Poi ci gioco, anche per l’esperienza di mio padre, che è bipolare. Pure io ho i miei sbalzi di umore, su Instagram ho la doppia natura di Angel Tedua e Devil Tedua, la preda e il predatore. Uno di giorno e l’altro di notte. Non è insicurezza, sono soltanto una persona eclettica.

Prima la California e poi la giungla. Non viaggi abbastanza?
Mi piacerebbe, però il mio primo sogno è inoltrarmi nella società capitalista europea del 21˚ secolo. Voglio andare a fottere con Parigi e Londra e, soprattutto, imparare l’inglese. Se un domani mi sarò tolto tutte le soddisfazioni, potrò farmi anche dei bei giri in posti esotici. E magari rimanerci.

Molti tuoi coetanei della new wave trap non conoscono i Sangue Misto. Tu, invece, non solo li ascolti, ma dedichi loro un pezzo.
Io sono l’hip hop italiano, i miei coetanei sono la trap. E ti ricordo che la trap fa parte del rap, che fa parte dell’hip hop. Ti racconto un aneddoto: una volta alcuni di questi miei amici della trap hanno ricevuto i complimenti da Fritz da Cat, peccato che loro non avessero idea di chi fosse. Io allora gliela menavo, dicendogli “siete proprio dei cafoni”. Non sono un rappuso purista, ma neanche un figlio del capitalismo americano. Già siamo uno Stato satellite, cresciuti con i telefilm come O.C.. No frate, io sono l’equilibrio. Sono il Movimento 5 Stelle dei rapper. O meglio, diciamo che sto in mezzo, dai.

Prima dicevi che il disco è praticamente francese, ma rappato in italiano. Come mai?
Un po’ è colpa di Coyote Jo Bastard, un rapper francese che mi è venuto a vivere in casa per un mese, bombardandomi con la sua musica. Ho sempre avuto un debole per queste cose. Dopo un mese di rap d’oltralpe mi sono convinto del fatto che spacca più di quello americano. Però, attenzione: io non copio. Perché in Italia ci sono sempre stati i sucker, solo che si è persa l’usanza di definire così chi copia dall’estero. Meno male che stanno tornando persone come Inoki e Ghemon, a dare schiaffi morali ai minorenni. Ascoltare quella roba alle medie mi ha cambiato la vita, come i Club Dogo. Un bambino di 14 anni ha bisogno di ascoltare le strofe di Inoki in Giorno e Notte. Non può crescere con Sfera in autotune, Tony Effe che dice “la mia troia”, o me, che vengo accusato di non andare a tempo. Servono le basi. Gué Pequeno ci ha insegnato a prendere un concetto e trovare un modo figo per svilupparlo, a tempo e col flow. Parlare di niente e mirare solo al tormentone ci sta. Però stiamo parlando di due campionati diversi. A questi ragazzi bisogna lasciare qualcosa. Non lo dico per populismo, però qua, con questa cosa del rap, o non compro casa mia madre, o gliene compro due.

E per ora come la vedi?
tedua Non so proprio dire. So solo che voglio fare le cose fatte per bene, per evitare i leak facciamo uscire il disco in streaming il 2 marzo e poi il fisico e digitale 5 giorni dopo. Vorrei evitare quello che è successo a Sfera, Ghali, Madman. Sarà un album particolare.
RS Ci hai messo i coglioni, hai dissato anche il Vaticano.
tedua Vero, c’è un dissing al Vaticano e al sistema bancario europeo. Il primo era una semplice battaglia contro l’ipocrisia del clero. Ci vogliono le case chiuse. Bisogna tassare ed evitare il racket. Ho conosciuto papponi e prostitute, ho visto coi miei occhi le sofferenze che devono sopportare queste ragazze.
RS Nel disco te la prendi anche coi carabinieri.
tedua Eh sì, però lì un po’ mi sono dispiaciuto.

Perché?
Perché ho rovinato un po’ l’album così, mi sono precluso una fetta di pubblico. Però me ne sono battuto un’altra volta i coglioni. Mia madre un anno fa mi ha regalato un libro su Jim Morrison. L’ho letto e mi sono detto: “Ma io pure che mi facevo le fisime! Ma andate a cagare!”. Devo portare un po’ di sfrontatezza nel rap. Chissà che, magari, anche i miei colleghi mi seguano. Ormai nessuno dice più le cose apertamente, per paura di non riuscire a vendere. Non va bene.

Prima, mentre ascoltavamo il disco, mi dicevi che in molti pezzi potevi tirare fuori una hit, ma hai preferito rimanere fedele a te stesso.
Avrei potuto mantenere un profilo più pulito e radiofonico, ma ho preferito sporcarlo. Non è difficile: se faccio un disco pop sono il primo ad avvisarti. Ma se faccio un disco hip hop, dev’essere più sporco. Quando da ragazzino ho scelto di fare il rapper, era perché c’erano le parolacce e si andava contro il sistema. Volevo urlare fanculo come Masini. Sono cresciuto con classici come 8 Mile, Westside, Get Rich or Die Tryin’, ma il mio disco è come quelli di Fibra: ognuno ci trova un pezzo che gli piace. Devo ancora trovare il mio equilibrio, però.

In che senso?
Sto ancora combattendo per l’hip hop. Amici come Ghali e Sfera sono già sistemati, al secondo album e con un pubblico. Li ho sempre trovati davanti a me, ma proprio come step, non come talento. Hanno entrambi due anni in più, e vuol dire tanto. Io in due anni ti faccio un altro album e un mixtape. Però non mi sento in competizione, anzi li ammiro molto. Ma ognuno in questo gioco è un pianeta a parte. Quando ascolto Booba e i PNL, li posso mettere nello stesso calderone, ma sono due portate diverse. Uno è una lasagna e l’altro uno spezzatino, e non puoi dirmi se è meglio il primo o il secondo, perché la mia scelta cambia da come mi gira il belino.

E con Fedez come va?
Lui è un figo, cazzo me ne frega delle polemiche. I fighi vanno con i fighi. Hai mai visto un figo andare con i coglioni?

Direi di no.
E allora… Lui è stimolato dalla mia musica. Io rispetto chi si approccia tecnicamente al genere. Non sono il classico rapper che ha da ridire sugli altri. Infatti non ho featuring in questo disco, né disso altri rapper. Comunque so che Fedez, ai tempi, aveva fatto un corso di inglese e imparato a suonare la chitarra. Magari anche io tra tre anni saprò l’inglese.

Però un featuring con i tuoi soci della Wild Bandana Crew ci poteva stare…
Hai ragione. Mi è dispiaciuto un botto, ma Christian (il suo produttore Chris Nolan, ndr) ci teneva a dimostrare che possiamo spaccare da soli io e lui. Soffro che non ci siano i miei soci. Ma è una democrazia, tra me e Chris.

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