Taylor Swift: «’Red’ è la mia versione di un quadro di Jackson Pollock» | Rolling Stone Italia
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Taylor Swift: «’Red’ è la mia versione di un quadro di Jackson Pollock»

La fuga dal sound di Nashville, le session che viveva «come una studentessa», la voglia di sperimentare come il grande pittore: la cantautrice racconta com’è nato il disco che le ha cambiato la vita

Taylor Swift: «’Red’ è la mia versione di un quadro di Jackson Pollock»

Taylor Swift nel 2012

Foto: Kevin Kane/Getty Images

La storia di Red, il disco della svolta di Taylor Swift, inizia durante le prove del tour di supporto di Speak Now, l’album del 2010. Durante un soundcheck, reduce dalla fine di una relazione, Swift ha provato un testo su un giro di quattro accordi, poi la band le è andata dietro. «Credo che capissero la mia sofferenza», dice. Quella jam diventerà la bozza di 10 minuti di All Too Well, il pezzo più commovente di Red.

Dopo aver scritto tutto Speak Now da sola per dimostrare ai critici che non aveva bisogno dell’aiuto di altri autori, Swift era pronta a un’altra sfida creativa. «Sono sempre stata consapevole di quello che dicevano i miei detrattori, le loro parole sono sempre state il trampolino creativo da cui partire per un nuovo progetto», racconta. «Con Red volevo dimostrare qualcosa di diverso, cioè la mia voglia di imparare».

Dopo una mezza dozzina d’anni di carriera, Swift aveva già paura di essere considerata vecchia ed era preoccupata di un eventuale inaridimento creativo. Voleva spingersi per la prima volta oltre Nashville, lavorando con gli autori pop che preferiva, da Max Martin a Jeff Bhasker, fino a Dan Wilson e Butch Walker. «È stata proprio la lotta con la mia paura di restare ferma a rendere Red un’esperienza gioiosa».

Col quarto album Taylor Swift è passata dal country al pop. È stato la rampa di lancio della sua carriera: da un lato si presentava al mondo della Top 40, dall’altro inviava i suoi singoli più tradizionali alle radio country. «Ero ferma sul confine», dice oggi, «con un piede da una parte e uno dall’altra».

Ha iniziato a scrivere il disco nella sua comfort zone, lavorando con Nathan Champan e Liz Rose agli inediti più vicini al suono di Nashville come Red, State of Grace e All to Well. Poi si è spostata a Los Angeles.

Mentre iniziava a scrivere con produttori come Martin, Swift aveva una gran voglia di farsi ispirare dagli altri. «Ero come una studentessa». Voleva aggiungere un drop in stile dubstep a una ballata che aveva appena scritto, Trouble, ma è solo quando il produttore Shellback ha suggerito di aggiungere un beat sfrenato sulla strofa che il pezzo si è trasformato in I Knew You Were Trouble. In We Are Never Ever Getting Back Together, invece, Martin e Shellback hanno proposto di cantare la prima parola del ritornello (“We-eeeeee”) «come bambini in un parco giochi».

Taylor Swift - We Are Never Ever Getting Back Together

Swift aveva molto materiale per Red. Alcune idee, come quella da cui è scaturita Treacherous, arrivavano mentre andava in studio. Quando è arrivato il momento di registrare, aveva 30 canzoni. Alla fine le ha ridotte a 16 e il risultato è il suo disco più disinibito e tentacolare fino a quel momento, un album in cui le contraddizioni dei suoni rispecchiavano il caos emotivo della storia che cercava di raccontare. «Era una metafora di quanto può essere incasinata una separazione, è il mio unico e vero breakup album», dice. «Amo Jackson Pollock, vedo questo disco come la mia versione di uno dei suoi quadri. Ho usato tutti i colori, li ho gettati sulla tela e ho visto cosa veniva».

Col senno di poi, Red ha rappresentato l’inizio di una seconda carriera per la pop star, il momento in cui ha svelato lo stile di scrittura e la sensibilità pop che svilupperà negli anni seguenti. «Era un po’ come andare al college, provavo cose nuove», dice. «Mi chiedevo: che cosa voglio da una session di registrazione? Capivo cosa fare strada facendo. È stato l’inizio di quello che faccio oggi».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US. Ha collaborato Brittany Spanos.

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