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Studio Murena, l’era del jazzcore è arrivata

Il sestetto milanese torna con un nuovo album, ‘WadiruM’, tra poliritmi africani, elettronica e reference che vanno da Kendrick Lamar ai Comet Is Coming: «Accademici sì, ma con la voglia di dire altro»

Foto: Luca Maledet

Nel 2021, anno di uscita del loro album omonimo, gli Studio Murena si sono fatti notare con una suadente miscela di jazz e rap contaminata con elettronica, fusion, funk, prog e suggestioni altre. Una combinazione di arrangiamenti liberi da stilemi, frutto della voglia di tenere alta l’asticella lasciandosi ispirare dal nu jazz britannico di Alfa Mist, Kamaal Williams e The Comet Is Coming, da quello di Chicago di Makaya McCraven e Jeff Parker, ma anche dagli incroci tra musica strumentale e hip hop di Robert Glasper, da nomi simbolo della Warp come Aphex Twin e Autechre, così come dall’uso della poliritmia nelle tradizioni più lontane. Con quell’album realizzato con Costello’s Records e così distante da ciò che funziona e fa i numeri (per ricorrere a due espressioni usate in modo fallace per zittire chiunque provi a parlare di qualità della musica), la band milanese non si immaginava certo di rivoluzionare il panorama musicale italiano, ma ha avuto l’audacia di buttarsi nella mischia delle decine e decine di uscite discografiche che ogni settimana intasano le piattaforme di streaming con un progetto ambizioso, non appiattito su canoni preconfezionati.

È così che il gruppo nato dall’unione di cinque under 30 usciti dal Conservatorio di Milano – Amedeo Nan (chitarra elettrica), Maurizio Gazzola (basso elettrico, synth bass), Matteo Castiglioni (pianoforte, tastiere, synth), Marco Falcon (batteria, percussioni), Giovanni Ferrazzi (elettronica, sampler) – con l’MC Lorenzo “Carma” Carminati, già nella NH3 Crew di San Donato Milanese, è riuscito non solo a fare incetta di recensioni entusiaste, ma anche a togliersi la soddisfazione di un tour in giro per l’Italia che gli ha consentito di costruirsi uno zoccolo duro di fan tramite il passaparola. Il tutto accumulando esperienze quali la partecipazione a uno spot diretto da Luca Guadagnino, l’ingaggio per suonare nel disco di Dardust Duality, una performance davanti a quasi 200mila persone alla Notte della Taranta di Melpignano e un contratto con Virgin sfociato nel nuovo album WadiruM prodotto da Tommaso Colliva, co-fondatore e produttore dei Calibro 35, in tasca un Grammy vinto al fianco dei Muse. Album che oltre a un altro Calibro, Enrico Gabrielli, vede ospiti Ghemon, Danno dei Colle der Fomento, Paolo Fresu, Laila Al Habash e Arya. Come dire: finora ci siamo fatti notare, adesso facciamo sul serio.

«Il primo disco ci ha permesso di farci conoscere anche fuori dalla Lombardia e di entrare in contatto con tanti musicisti tra cui lo stesso Colliva, con cui abbiamo iniziato a parlare di questo secondo capitolo del nostro percorso dopo che nel luglio 2021 abbiamo diviso il palco con i Calibro», racconta Matteo. «Rispetto all’album precedente, che era stato registrato in presa diretta, questa volta abbiamo previsto un grosso lavoro di produzione che sapevamo avrebbe cambiato le carte in tavola. Siamo sempre noi, Tommaso ci ha dato la libertà di sviluppare le pre-produzioni come desideravamo, ma il suo intervento ci ha aiutati a dare vita a un viaggio in cui ogni tappa, ogni traccia, è connessa all’altra in maniera coerente». Un’opera “più compatta” – così la definisce Carma – che per gli Studio Murena risponde alla volontà di forgiare un sound più deciso, tanto che su Instagram la band l’ha annunciata scrivendo «the jazzcore era is coming», frase da non prendere alla lettera, ma che, come spiega Maurizio, offre un indizio sulla direzione imboccata per questo WadiruM.

«È un po’ una provocazione: il termine jazzcore è quasi un ossimoro che unisce due cose che sono l’una l’opposto dell’altra, esprime bene il nostro spaziare tra i generi senza limiti di sorta. C’entra anche che negli anni scorsi noi per primi ci siamo presentati come musicisti usciti dal conservatorio e questo ha fatto sì che del nostro progetto venisse evidenziato un aspetto accademico che in realtà non ci riguarda così tanto. Di quelli usciti dal conservatorio la metà ha studiato musica elettronica, che è tutto tranne che accademia, e anche tra chi ha fatto jazz l’atteggiamento è di grande apertura, basti dire che nella band abbiamo un appassionato di metal. Siamo jazz sì, siamo accademici sì, nel senso arriviamo da quel contesto, però vogliamo dire anche altro». Ed è Carma a illustrare bene questo altro, quando esplicita l’urgenza di «scrivere i pezzi con un mood un po’ più aggressivo, più cupo, più teso», visto che in effetti è questa la differenza principale tra WadiruM e l’esordio (ufficiale) degli Studio Murena di due anni fa: qui suoni e atmosfere si fanno tendenzialmente più duri, incisivi, scuri, e a questo contribuiscono anche le parti rappate dallo stesso Carma con un timbro che a tratti richiama più che in passato quello del Salmo più rabbioso.

«Abbiamo approfondito molto un tipo di sonorità che erano già presenti nel primo disco, ma in misura minore», osserva lo stesso Lorenzo. «Sotto questo profilo gli ultimi due brani che abbiamo scritto, Origami, con Laila Al Habash, e Mon Ami, sono significativi: il primo rappresenta la parte più distesa e morbida dell’album; il secondo il filone jazzcore come volevamo svilupparlo sin dalle prime sessioni. Che poi questa storia del jazzcore è tutta colpa mia: mi è partito un trip per i Viagra Boys – band post-punk svedese, tutti musicisti incredibili – dopo che un amico mi ha regalato per il compleanno un biglietto per il loro concerto ai Magazzini Generali. Ci sono rimasto sotto, guardandoli mi dicevo ‘cavoli, questi fanno hardcore, però sono dei jazzisti’, e più lo dicevo più mi rendevo conto che come Studio Murena facciamo lo stesso, benché a modo nostro: un jazz hardcore teso, cupo, con tematiche abbastanza dure, suonato da maestri musicisti, perché è così che considero i miei commilitoni».

In realtà nessuna definizione può dare conto di tutto ciò che è contenuto in WadiruM, album denso che si nutre di una scrittura libera in grado di mescolare influenze particolarmente variegate anche all’interno dello stesso brano. «Io come bassista mi sono ispirato parecchio ad Uninvisible di Medeski Martin and Wood», confida Maurizio, e i suoi altri suoi soci gli fanno eco sciorinando nomi come Mansur Brown, Makaya McCraven, Bonobo, Shigeto. Oltre a Kendrick Lamar, «che non c’entra niente con questo disco, ma ci mette tutti d’accordo», dichiarano gli Studio Murena prima di sottolineare che lo sforzo più grande è stato quello di “rendere godibili anche le sperimentazioni più pazze”. «Per esempio, nella traccia di apertura si sentono un cajón e un ritmo peruviano dal sapore tribale che si chiama festejo e che abbiamo inserito perché si collegava bene all’immaginario dell’album». «In Psycore si sente un campione che abbiamo registrato nel backstage di un festival in Francia, dove si era formato un cerchio di persone che cantavano su ritmiche africane. In generale i ritmi spesso sembrano quadrati, mentre magari nella stessa canzone una parte è in 5/4, una in 9/4, un’altra in 4/4. Questo perché Marco è bravo a non farti sentire il passaggio. È raro sentire brani con una ritmica dispari che non risultino forzati e con un MC che ci rappa sopra… Il nostro intento è di fare cose anche mattissime, ma amalgamate in modo da risultare piacevoli per il maggior numero di persone».

Poi ci sono i testi di Carma, barre taglienti e cariche di tensione che nel loro insieme danno forma al concept di fondo dell’album: Wadirum è la Valle della Luna georgiana, territorio desertico roccioso scelto dagli Studio Murena come simbolo di «un luogo altro lontano dalla quotidianità e da tutti i condizionamenti che subiamo nelle nostre vite reali, un luogo della mente dove, come accade nel deserto, potersi abbandonare a miraggi e illusioni ed essere liberi». Temi, questi, che in sintonia con la voglia di fare musica senza compromessi tornano a più riprese nel disco assieme al bisogno di urlare contro l’aria sempre più soffocante che si respira nella Milano mecca del business (no, il capoluogo lombardo non è quella che definiscono “la capitale morale d’Italia” e “la Milano che mi ingoia, principessa della paranoia” dei Casino Royale ha messo su i muscoli), contro una modernità arida che ci spinge avanti senza sapere dove e se ne fotte degli ultimi (“ridi fuori e muori dentro”, “la giustizia è cieca”), oltre che con le riflessioni più introspettive e personali di Carma. «Quando scrivo mi piace creare dei flussi di coscienza abbastanza compatti», dice lui. «Con questo album sono arrivato ad aprirmi di più, la quota autobiografia è decisamente più abbondante, ma a parte questo le liriche sono uno statement: noi siamo questa cosa qua, facciamo questa cosa qua, questa è la nostra cosa e ha dignità di esistere. Ci sono pezzi romantici, se così si può dire, e altri più sociali, ma il discorso principale riguarda il fatto che come Studio Murena facciamo parte di una fetta che viene perlopiù relegata nell’ambito della nicchia e che però, come tutte le nicchie, è fondamentale per il panorama musicale italiano tutto, perché c’è necessità di diversificare».

Alla base un’attitudine esplorativa che non teme le ibridazioni e che si concretizza nella trasversalità dei featuring, con la raffinatezza della tromba di Fresu, le peregrinazioni del sax tenore di Gabrielli, le venature soul di Ghemon, Laila Al Habash e Arya, il conscious rap di un rappresentante dell’hip hop old school come Danno. E l’aspirazione a far confluire il tutto in un suono ricco di texture come il marmo di Carrara immortalato da Luca Maledet nell’immagine di copertina. La prima occasione per sentirlo live sarà al Mi Ami Festival il 26 maggio, cui seguiranno varie date incluso un concerto il 24 giugno al Lido di Camaiore prima dei Jamiroquai. Non si parli, però, di virtuosi: gli Studio Murena non hanno alcuna intenzione di farsi mettere in un angolo a ricoprire il ruolo dei secchioni senza mordente: «Sappiamo suonare, ma a parte che ci sono musicisti decisamente più bravi di noi, prima della tecnica pensiamo contino le idee. Ed è su queste che puntiamo».

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