Storia di ‘Donna Circo’, opera pop femminista che nessuno voleva ascoltare | Rolling Stone Italia
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Storia di ‘Donna Circo’, opera pop femminista che nessuno voleva ascoltare

Gianfranca Montedoro e Paola Pallottino raccontano il concept del 1974 snobbato dai dirigenti discografici e persino dalle femministe dell'epoca, stampato e mai distribuito... fino a oggi

Storia di ‘Donna Circo’, opera pop femminista che nessuno voleva ascoltare

Paola Pallottino e Gianfranca Montedoro nel 1974

Foto press

Donna Circo è un disco di culto, i grandi appassionati di musica italiana, i cercatori d’oro abituati a immergersi nel dimenticatoio delle chicche sonore di questo Paese ne hanno di certo sentito parlare, nei casi più fortunati ne hanno pure trafugato una copia digitale carbonara dai sistemi P2P registrata in modo altrettanto carbonaro da una delle pochissime copie in vinile che sono riuscite a trovare spazio sui piatti di qualche giradischi. Per gli altri il titolo Donna Circo equivale a un grande mistero connesso alla vicenda della casa discografica BASF (quella dei nastri e delle musicassette, ve la ricordate?) che nel 1974 stampa ma poi non distribuisce – dismettendo completamente la propria attività di distributrice – l’album scritto da due grandi donne della cultura italiana, la musicista e compositrice Gianfranca Montedoro e l’autrice, illustratrice e storica dell’arte Paola Pallottino, un viaggio femminista e per certi versi femminista intorno alla figura della donna nella società contemporanea, raccontata in una sorta di concept utilizzando la metafora del circo e dei suoi personaggi.

Oggi Donna Circo è arrivato finalmente sul mercato e nel mare delle ristampe che ogni giorno spuntano dai cataloghi di grandi e piccole label rappresenta il caso limite, quello appunto della ristampa di un disco che ufficialmente non ci fu, che non vide mai luce, dove le poche copie in circolazione negli anni sono arrivate direttamente dalle mani delle autrici che tentarono di far circolare il progetto dal basso. Insieme all’uscita dell’originale Donna Circo, è arrivata anche una versione ri-arrangiata, Donnacirco, prodotta da Ezra Capogna (Casino Royale, Phoet) in cui trovano spazio alcune delle artiste chiave della scena musicale indipendente italiana come Angela Baraldi o Vittoria Burattini dei Massimo Volume, Enza Amato, Alice Albertazzi, Eva Geatti, Francesca Bono, Marcella Riccardi, Meike Clarelli e altre ancora, tutte sotto la guida e la supervisione artistica di Suz (Susanna La Polla De Giovanni) che è stata anche l’artefice di questa nuova edizione ancora più contemporanea.

Sì, ancora di più, visto che, purtroppo, Donna Circo, a quasi cinquant’anni di distanza dal suo concepimento, non ha perso smalto, rigore, precisione nel racconto del femminile, del ruolo sociale e delle questioni intime della donna nella nostra società; attraverso la metafora del circo le dodici canzoni dell’album facevano e fanno tuttora luce su temi sociali storici e inesauriti della questione femminile e umana: dall’aborto al femminicidio passando per le diseguaglianze di genere non solo in senso quotidiano, pratico, ma anche nella loro accezione e manifestazione più privata e appunto intima, cercando di soffermarsi sul vissuto femminile, sulle esigenze e sulle relazioni con la società e il piacere a partire proprio dal privato.

Raggiunta al telefono nella sua casa a pochi chilometri da Parigi, Gianfranca Montedoro, all’anagrafe Giulia Zannini Montedoro, mi racconta che il progetto è nato in modo molto semplice. Paola Pallottino, autrice di tutti i testi, era un’amica del marito, le due si erano conosciute al matrimonio di Montedoro nel 1964 ed erano diventate amiche, ognuna immersa nel proprio percorso, da una parte il jazz e la musica e dall’altra l’arte e la scrittura, fino a quando a un certo punto proprio Pallottino pensò di scrivere alcune poesie immaginando il lavoro sulla musica che Montedoro avrebbe potuto comporvi poi, pensando specialmente al discorso femminile, fatto delle gioie e dei dolori della vita quotidiana di una donna che le due giovani portavano avanti anche nella loro quotidiana conversazione da amiche. Montedoro resta folgorata dalla lettura delle poesie: «Erano grandiose e quel che è drammatico è che dopo 47 anni sono ancora molto attuali. L’idea del concept è del 1973, un periodo in cui questa struttura per i dischi era molto in auge, io ho seguito Paola: ho cercato di muovermi sui suoi testi al punto che non ho neppure fatto fare gli assoli ai musicisti perché mi parevano, proprio rispetto al lavoro sul testo, delle inutili perdite di tempo, doveva esserci la possibilità di offrire a chi avrebbe ascoltato, un ascolto attento alla parola, fare una musica che non allontanasse dalla scrittura».

Il disco è nobilmente pop, ci sono brani molto corti, incisivi. «Esatto, sottolinea Montedoro, è stato scientemente scelto così, avrei potuto tagliare, andare indietro, ricominciare, ma mi pareva di forzare le cose. Dentro però ho voluto e ho cercato di metterci tutta la mia esperienza musicale. Ho scritto Donna Circo al pianoforte, mi sono messa seduta e ho cominciato a tirare fuori cose, piano piano sono arrivate tutte in modo naturale, non ci ho messo neppure tanto devo dire. Per me la cosa più interessante era lavorare con l’italiano perché avevo sempre cantato cose in inglese e francese e per la composizione musicale pensare al cantato in un’altra lingua cambia molto le regole. Le mie prime melodie di sempre erano costruite sulle liriche di Allen Ginsberg e le avevo scritte per il progetto Living Music, erano delle session a casa mia, molto libere, libertà che in forma diversa poi è rimasta tutta anche in Donna Circo».

Le copertine della versione originale del 1974 di ‘Donna Circo’ e del remake del 2021

Il disco è suonato interamente da uomini, ma tutti diretti da lei, la donna a capo di tutto il progetto: «Sì. abbiamo registrato sull’Appia, pensa, nella sala di registrazione di Bobby Solo! Io ai musicisti cantavo le melodie, erano tutti bravi eh, erano i componenti dei Murple, band progressive che aveva firmato proprio con la BASF. Un giorno in studio venne mio marito, si mise accanto a me e notai che se fino a quel momento avevano seguito le mie indicazioni con grande precisione, in quel momento hanno cominciato a rivolgersi solo a lui, a guardare lui e non più me, così ho dovuto domandargli di allontanarsi, di uscire dalla sala».

A generare il discorso che viene portato avanti nell’album era la riflessione comune sul ruolo femminile intimo e sociale nell’Italia degli anni ’70. «Sia io sia Paola eravamo due donne sulla trentina, io cantavo e lavoravo in uno studio di registrazione, proprio in società con mio marito, avevamo già figli entrambe».

Paola Pallottino, già autrice di testi del giovane Lucio Dalla (sua è anche, tra le altre, 4/3/1943) ma pure di Branduardi e Roberto Brivio, sottolinea la natura del lavoro svolto per Donna Circo: «Gianfranca veniva dal jazz e cantava molto bene, fece queste musiche pazzesche su qualcosa che era una storia del nostro tempo, ma che viene da piangere a pensare che sia ancora di questo tempo in cui noi due stiamo parlando… Mi ritengo pessima paroliera, all’epoca poi pensavo che uno scrivesse una poesia e la desse ai musicisti per musicarla ma invece il lavoro va fatto insieme, sia nel caso di Gianfranca che in quello di Dalla o di Branduardi nessuno mi ha cambiato mai una virgola; io ero malata di metrica, davo testi musicali e rendevo le cose complicate ai musicisti che dovevano metterci poi la loro vera musica: solo anni dopo ho capito quanto fossi stata fortunata con tutti loro».

Quando l’album non venne distribuito, mi dicono entrambe le autrici, «fu una mazzata terrificante, ci vennero date le copie e poi arrivò una comunicazione sulla BASF in cui si diceva che che si sarebbe subito ritirata dal mercato italiano per cui non avrebbe distribuito più niente». «Io andai a questo incontro con un dirigente della BASF in un prestigioso albergo di via Giulia a Roma», aggiunge Montedoro, «e lui non dico che mi mandò a quel paese ma quasi, disse che a lui non interessava minimamente del disco, che non si sarebbe fatto punto e basta. Il produttore, peraltro, non fece nulla, non si occupò affatto della vicenda e quindi alla fine lasciai perdere. Tuttavia, ho poi cercato di andare in giro e portarlo con me, non ebbi grandi risposte, addirittura andai a farlo ascoltare alla Maddalena, alle femministe romane, mi portai un registratore Revox della Rai pesantissimo, ma mentre lo facevo sentire loro parlavano d’altro sopra, mostrando disinteresse totale proprio come quel maschio dirigente. Al teatro delle femministe feci un mini concerto con le basi pagando sala, elettricista e tutto e non venne nessuno. Il disco fu snobbato. Io ne ho sofferto molto e pure Paola, quello per me fu un periodo terribile».

Paola Pallottino, che da sempre presta grande attenzione al lavoro delle donne nell’illustrazione, il suo campo lavorativo d’elezione pur nel grande e rigoroso eclettismo, racconta così la scelta della metafora del circo: «Quest’idea del circo venne dal fatto che da bambina lo amavo molto, mio marito è figlio di un grande scenografo che amava molto il circo e che lo ha raffigurato in molti modi. All’inizio degli anni ’60 ricordo bene l’arrivo alla stazione di San Giovanni, a Roma, degli animali che vennero portati a fare un giro per le strade della città. Poi conoscemmo la famiglia Orfei: io sto disperatamente cercando l’indirizzo di Liliana Orfei, infatti, per dirle quanto la conoscernza dei personaggi del circo mi sia servita, vorrei farle avere anche una copia del disco. Da lì, nel ’73, mi venne in mente che questa del circo, con i suoi personaggi e i suoi momenti di spettacolo, potesse funzionare come metafora».

Entrambe concordano sulla questione di partenza. «Non è cambiato niente per le donne rispetto a quello che c’è in questi miei testi, se è cambiato, è cambiato impercettibilmente, allora non contavamo i morti, non lo chiamavamo femminicidio, ma le cose non erano diverse e soprattutto, quel che è gravissimo, non sono diverse oggi, io sotto metafora ho credo anticipato diversi temi che, purtroppo, lo vediamo ora, sarebbero stati temi caldi anche per i cinquanta anni successivi», conclude Pallottino.

A Susanna La Polla il merito di aver sapientemente recuperato finalmente questa grande opera: la versione rivisita vede la partecipazione di una band composta, questa volta, tutta da donne: Chiara Antonozzi (basso), Irene Elena (chitarra) e la stessa Vittoria Burattini (batteria).

Donna Circo è un disco caldo, un album vivo, un lavoro musicale e di scrittura riflessivo, curato e partecipato, un LP dove alla precisione riflessiva del testo corrisponde una grande riflessione in forma di partitura sul ruolo dell’arrangiamento nella forma canzone, un disco che credo vada portato in teatro non appena possibile, reso oggetto di riflessione comune, punto di partenza per nuove considerazioni sulla vita della donna che abita il mondo, ancora questo mondo.

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