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Stevie Wonder è tornato: «Celebriamo tutti assieme il funerale dell’odio»

Il grande musicista ha pubblicato due nuove canzoni, ‘Where Is Our Love Song’ e ‘Can’t Put It in the Hands of Fate’. Non lo faceva da 15 anni. «Non possiamo mettere il voto nelle mani del destino»

Stevie Wonder performs live at the "House Full of Toys 22nd Annual Benefit Concert" press conference on Tuesday, Nov. 27, 2018, in Los Angeles. (Photo by Willy Sanjuan/Invision/AP)

Negli ultimi dieci anni Stevie Wonder, complici i suoi problemi di salute, ha tenuto un profilo basso. Le cose stanno per cambiare, o almeno così pare. Il leggendario musicista ha infatti pubblicato due nuove canzoni. Sono le sue prime da 15 anni a questa parte. E non le fa uscire per l’etichetta Motown, come fa con regolarità dal 1962, ma per la sua etichetta personale distribuita dalla Republic Records.

In collegamento su Zoom dalla sua casa nella California meridionale, Wonder spiega che ha cominciato a scrivere uno dei due pezzi, Where Is Our Love Song, nel 1968, quando aveva 18 anni. L’ha riscoperto di recente e l’ha completato con un nuovo testo e una session a cui ha partecipato Gary Clark Jr. alla chitarra. Devolverà i ricavi a Feeding America che ha bisogno di un milione di dollari per venire incontro ai fabbisogni alimentari delle famiglie americane indigenti.

La seconda canzone si intitola Can’t Put It in the Hands of Fate. Wonder ci ha messo molti anni a finirla e ne è venuto a capo solo di recente. «Quando l’ho scritta parlava di un rapporto sentimentale», spiega con un tono prima scherzoso e poi serio. «Poi ho pensato allo stato del pianeta e al fatto che questa pazzia è inaccettabile. Diciamo basta. Bisogna cambiare, adesso. Non possiamo aspettare che sia il fato a pensarci. Non possiamo mettere il voto nelle mani del destino». Nel pezzo sono ospiti Busta Rhymes, Rapsody e cinque dei suoi figli.

Le canzoni escono per l’etichetta di Wonder, la So What the Fuss Records, distribuite dalla Republic Records, che fa parte del gruppo Universal (l’etichetta del musicista prende nome da una canzone di quello che è tutt’oggi l’ultimo album di Wonder, A Time to Live del 2005). I due pezzi potrebbero entrare a far parte di un EP ancora senza titolo che avrà altri featuring.

Se l’EP non dovesse diventare realtà, Wonder potrebbe includere i pezzi nell’album a cui lavora da tempo, Through the Eyes of Wonder. Non è detto che non torni in Motown per un altro disco a cui sta lavorando, un progetto gospel chiamato Gospel Inspired by Lula, dal nome della madre.

Nell’ora e passa di conferenza stampa, Wonder non cita mai Donald Trump, ma i suoi commenti sullo stato della nazione sono pieni di sdegno. «Un gruppo di persone ha pianificato il rapimento e forse l’omicidio della governatrice di uno Stato», ha detto riferendosi al piano contro la governatrice del Michigan, Gretchen Whitmer. «Come siamo arrivati a questo punto? Gente che si dice cristiana, ma come si fa?».

«Voglio che il mondo diventi un posto migliore», ha aggiunto. «Dobbiamo superare questo momento. Celebriamo tutti assieme il funerale dell’odio, ecco che cosa dovremmo fare».

Wonder ha espresso solidarietà alla stampa («I media sono fondamentali, chi dice il contrario mente a sé stesso») e ha risposto alle voci che lo vogliono malato. Ha confermato di avere fatto un trapianto di fegato in dicembre e che si sta riprendendo dall’operazione con l’aiuto di un team di medici. «Mi sento bene. La voce è buona. Ho detto a mia figlia che è come se avessi cinque anni meno di lei. È come se fossi tornato ai miei 40 anni». Ha aggiunto che la vita nel complesso privato in cui vive, Wonderland, è sicura. «Indossiamo le mascherine, ci laviamo le mani».

Wonder si è concesso anche una battuta, tipica del suo senso dell’umorismo. «Sono vivo e vegeto. Non vedo l’ora di salire un’auto a guida autonoma per poter dire di aver guidato una macchina». Ha poi messo la mani su una tastiera e ha accennato Superstition. Dopo un’ora si è congedato: «Facciamo quello che dobbiamo fare, ora. Ce la facciamo?».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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