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Stephen Malkmus: «Suonare nei Pavement mi stava consumando»

Il musicista racconta il suo nuovo album folk, la reunion dei Pavement, la passione per Bernie Sanders e come ha reagito alla scomparsa di Neil Pearl e Kobe Bryant

Foto: Getty Images

Stephen Malkmus sta vivendo una vera esplosione creativa, ultimamente. Nel 2018 ha pubblicato Sparkle Hard, uno dei migliori album registrati con la sua band, i Jicks, e l’anno scorso ha sperimentato con il synth-pop in Groove Denied. Adesso sta per pubblicare un nuovo progetto solista, un album folk intitolato Traditional Techniques in cui suona la chitarra a 12 corde. Nonostante sia musica diversa dal solito, a volte evoca influenze pastorali anni ’60 che sembra abbiano fatto parte del suo suono da anni, o atmosfere West Coast che danno l’impressione che Malkmus sia tornato a tre decenni fa, quando era il frontman dei Pavement. «Suppongo che volessi cantare musica su un registro più basso e tranquillo», dice.

Malkmus si sta anche preparando per il primo concerto dei Pavement dopo 10 anni, al Primavera Sound di Barcellona. In questa intervista abbiamo parlato del suo nuovo album, della sua vecchia band, del suo amore per Bernie e del suo odio per le “boomer rock star”.

Quali sono le circostanze che ti hanno portato a scrivere un disco folk?
Beh, c’era Chris Funk, il produttore dei Decemberist, come saprai già. L’ho conosciuto mentre facevo Sparkle Hard, il nostro leggendario album del 2017 o di chissà quando. In quel periodo stavo imparando a conoscere Chris e la sua situazione. Gli piace tutta la musica ma è un tipo alla Fahey, cura una cosa al Newport Folk Festival. In ogni caso, gli stavo parlando, e mi ha detto: “Vorrei fare una cosa del genere con te”. Forse mi aveva sentito suonare distrattamente il banjo, qualcosa del genere. L’idea mi è rimasta in testa. In più, ho una chitarra a 12 corde che ho comprato qui a Portland, l’avrò pagata 700 dollari. Ho cercato di rivenderla in un negozio, ma mi hanno detto: “Questa è sfondata, posso darti 300 dollari”. Ho risposto: “Non hai rispetto per questa chitarra! Ti dimostrerò cosa può fare”.

È una cosa che volevi fare da un po’?
È sempre stato un po’ rischioso suonare in modo così naturale. E poi non volevo fosse “unplugged”, capisci? Certo, mi piace Unplugged dei Nirvana. Ma volevo fare musica acustica che non fosse unplugged. Ho avuto bisogno di coinvolgere persone che non conoscevo, come un contrabbassista e altri turnisti che suonano in giro, e Chris è interessato alle slide guitar e altre cose che non so fare da solo. Non so se è una cosa che volevo fare da sempre, ma quando ho iniziato mi sono chiesto: “Come facciamo a suonare come alcuni di quei dischi?” C’è un po’ di cosplay delle registrazioni anni ’60 e ’70. Tutti quei significanti boomer, come le take dal vivo e le cassette. Capisci cosa voglio dire? Ho deciso di abbracciare quel mondo e vedere dove mi avrebbe portato.

Hai imparato a suonare nuovi strumenti?
Solo la 12 corde, e non so davvero come suonarla. Non so se sei un chitarrista, ma è uno strumento difficile da maneggiare. Non mi sento sempre comodo. Sono un po’ come il tizio preso dalla strada perché ha le canzoni giuste. La musica è popolare, ma nessuno sa perché o se lo sarà ancora, sanno solo che Bob Dylan ha venduto dei dischi. Poi trovano questo tizio. È rozzo, forse suona in spiaggia a Malibu, ma Dennis Wilson l’ha visto. Si siedono tutti attorno a lui, piace anche alle ragazze sexy. Allora gli mettono dietro grandi musicisti e un produttore, e fanno un disco in quattro giorni. Questo è il concept, più o meno. Avere un concept a cui aggrapparti rende le cose più semplici.

Sparkle Hard, il tuo ultimo LP con i Jicks, è uscito nel 2018, e l’anno scorso hai pubblicato un disco pieno di sintetizzatori, Groove Denied. Insomma, con questo disco hai cambiato tre generi in pochissimo tempo. Ti sembra di vivere un momento particolarmente produttivo, musicalmente parlando?
Se guardi ai fatti, ai dati, ed è quello che stiamo facendo, è così. Sono uno della generazione X che ha fatto tre dischi velocemente e che non sono live o ristampe. Sono relativamente differenti e hanno anche un po’ di tiro concettuale. Non sono tutti uguali. Quello elettronico è sempre stato nei miei piani, perché mi sono appassionato a quello stile mentre facevo la colonna sonora di una serie tv, Flaked. E volevo fare un disco con i Jicks perché mi sembrava che dopo il disco precedente ci fossero rimaste cose da dire. Il disco folk è il jolly che mi fa sembrare super produttivo.

Hai altri concept che vorresti realizzare in futuro?
Ci sono alcune idee di cui non voglio parlare perché non so se sono ancora in grado di possederle, capisci cosa voglio dire? Non ho ancora fatto le demo, e voglio andarci cauto, non voglio fare il musicista che annuncia questo o quel progetto. Quelli che dicono: “Posso fare qualsiasi cosa e andrà benissimo, sarà meglio di come fanno quelli che fanno questa roba di solito”. Comunque, credo che per gente come me sia importante essere aperti alle nuove collaborazioni. Amo tutto quello che ho fatto, ma a volte mi sembra di aver detto tutto quello che potevo, almeno in un certo stile.

Sei sempre stato piuttosto produttivo. Hai mai sofferto del blocco dello scrittore?
Sì, mi succede con i testi. Non posso dire lo stesso dei riff. Certo guardando onestamente la mia carriera, non è andato tutto bene (Ride). Scrivo e ascolto com’è andata, e a volte penso: “Potevo fare meglio”. Nel bene e nel male, porto a termine tutto. Se invece vuoi qualche esempio specifico, ricordo album come Terror Twilight dei Pavement, in quel periodo non sapevo cosa dire. C’era anche un po’ d’ansia all’idea di suonare davanti a Nigel Godrich, il produttore, perché a lui piace fare le cose correttamente, senza errori. Adesso si usa più ProTools, quindi puoi aggiustare tutto, ma quella era un’epoca precedente. Dovevi suonare bene.

Quest’anno suonerai con i Pavement al Primavera Sound di Barcellona. Non fate un concerto dal 2010, perché avete deciso di riformare il gruppo?
Nel mondo dei Pavement se ne parla da un bel po’, ed è passato un decennio dall’ultima volta. Diciamo che alcune cose si sono aggiustate. Poi questi tizi del Prima, che conosco grazie ai tour, ai concerti a Barcellona e alcune feste… ci hanno proposto un piano, e io ho detto: “Vabbé, ok”. È passato tanto tempo, e gli altri del gruppo sono fichi. Va bene?

Va benissimo. Hai parlato di ansia da prestazione. Negli anni ’90 c’erano parecchie aspettative verso i Pavement, poi nel 2010 sembrava tutto sparito. Sembrava che vi divertiste di più. Era così?
Sì, è stato divertente. Non so se ai fan dei Pavement interessi sapere come sia stato dalla prospettiva del cantante… se vi siete divertiti, grandioso, ma per me non è stato divertente interpretare quelle canzoni, è stato divertente dal punto di vista del materiale. Siamo stati molto fluidi. È stato molto confortevole rispetto a quello che ricordavo dei Pavement, ecco. All’epoca viaggiavamo ai limiti del budget, ed era faticoso. Sembrava che la band non avesse mai fine. Vivere in una band infinita mi stava consumando. Quella volta, invece, era come se ci fossimo detti: “Suoneremo queste cazzo di canzoni insieme, ci vogliamo bene, sarà tutto familiare”.

Credi che ci saranno altri concerti? Ci sono tanti bei festival in posti fantastici, e pagano bene.
Non ne abbiamo parlato, sinceramente. Per come la metti tu suona bene. Davvero. Lavori per gli altri della band? (Ride)

Sì, la Mark Ibold Foundation mi paga per dirti queste cose.
Non vogliamo tirarcela addosso annunciando di altri concerti. Ripeto, non ho parlato con nessuno. Guarda online, non ci sono concerti programmati e non ci sono rumor. Dovrai vedere come vanno le cose con i tuoi occhi. Sto già immaginando i titoli dei giornali che dicono: “Pavement: Stephen dice che si può fare”, o qualcosa del genere (Ride).

Il titolo di questo articolo sarà: “La reunion dei Pavement è inevitabile”
È già successo. Ho fatto un’intervista con NME e il titolo diceva: “Non ci saranno nuove canzoni dei Pavement”. L’avrò visto 40 volte. Avrei dovuto mettere un cartello con scritto “Questo non è l’ultimo concerto dei Pavement”. Non ci eravamo mai detti: “Facciamo questo concerto e poi basta”.

L’hanno scorso hai suonato con David Crosby. Dopo, su Twitter, qualcuno gli ha chiesto: “Com’è stato suonare con Malkmus?”. Lui ha risposto: “Chi è Malkmus?”. Ti ha dato fastidio?
Che ti aspetti da lui? È un super narcisista! Pensavo mi conoscesse perché siamo andati allo stesso liceo di Santa Barbara, da cui siamo stati entrambi cacciati. Abbiamo cose in comune, io e lui, anche se non conosce la mia musica. I miei genitori amavano CSNY. Tutto qui. Non ho visto quel documentario (Remember My Name). Credo sia divertente che lui e Roger McGuinn parlino via Twitter, che la loro relazione sia su quella piattaforma. Mi fa morire.

La sua resilienza è incredibile.
Sì, e la sua voce suona ancora bene. Sta usando il suo secondo fegato. Durante quel concerto suonava benissimo. Non credo che la mia musica gli piacerebbe, perché è disordinata e un po’ stonata. Credo sia un po’ un boomer. Ovviamente.

C’è qualcun altro con cui ti piacerebbe collaborare?
Warren Ellis della band di Nick Cave. Lo adoro. Credo che abbia molto talento. A essere sincero, ho pensato di chiamarlo per questo disco. Sono aperto all’idea di chiedere ad altri di suonare insieme, in futuro, ma non voglio che sia solo per far sì che la gente ne parli – è per questo che tutti fanno le collaborazioni –, voglio che funzioni. Se ho una canzone a cui qualcuno potrebbe dire sì, potrei chiedere, per esempio, al chitarrista dei Blur, Graham Coxon. Ma non contatterò Aphex Twin o Squarepusher. Loro mi piacciono, ma non succederà. Diciamo che sono limitato dalla realtà.

Inoltre, non ho più incontrato vecchie rockstar. E non dicono mai niente di bello sulla mia musica. Vedo sempre articoli su gente tipo i Greta Van Fleet, e hanno già l’endorsement di Elton John o Paul Simon. Non credo sia come il bacio della morte, come un endorsement di Hillary Clinton. Pensavo che almeno una volta uno di loro avrebbe detto qualcosa sulla mia musica, ma no. Almeno che io sappia.

È come se gli fossi sfuggito. Non sanno che esisti.
Sono a metà tra chi è “Extremely Online” e quelli che vengono dall’era pre-internet. Sono consapevole di tutto, più o meno. Non ci sono tante cose di cui non ho sentito parlare, anche se si tratta di un oscuro cantante country. Se sono un po’ conosciuti, allora ne ho sentito parlare. E non mi sforzo neanche troppo. Forse sono più un fan.

Come scopri nuova musica?
La gente mi consiglia sempre cose nuove, oppure sono su Internet e sento qualcosa su cui c’è relativamente hype. Poi compro il disco o lo ascolto su YouTube. O dico a mia figlia di metterlo sulla sua playlist.

Scopri musica anche grazie a lei?
Mi piace sapere cosa ascolta. In generale, no. Forse una singola canzone di Drake o roba del genere. Oppure mi fa ascoltare un pezzo di Kanye che non consideravo tra i migliori, ma lo ascolto attraverso le sue orecchie. Ma quando si tratta di nuovi artisti… il modo in cui scopre le cose, al di là dei classici e di quello che le consiglio, è legato a quello che gli algoritmi le gettano addosso o a Instagram. È un’appassionata di musica, e non vede l’ora di andare al Coachella, ha 14 anni e vuole sentire Frank Ocean e Lana Del Rey. Mi dirà: “Ti piace, papà?” E io risponderò: “In realtà sì”. Oppure sarà una cosa hip hop, e le dirò: “Non preferisci Young Thug?”, perché a me piace Young Thug.

Hai nominato Hillary Clinton. So che supporti Bernie. Cosa ti piace di lui?
Credo che la proposta di estendere Medicare a tutti dovrebbe mettere d’accordo chiunque. È umano, ed è una delle sue proposte principale. Anche se verrà annacquata durante la legislatura, è una cosa che durerebbe nel futuro. Per quanto riguarda la politica estera, beh, non è perfetta al 100%, ma vuole davvero che le nostre truppe tornino a casa e che non facciano colpi di stato in stile CIA. Credo sia il migliore in queste cose.

Hai detto che ascolti Chapo Trap House, un podcast che qualcuno ha accusato di essere troppo retorico. Credi che ci sia un lato oscuro tra i supporter di Bernie?
Non penso ci siano lati oscuri. Se uno come Bernie dovesse vincere… sarebbe il frutto di uno sforzo monumentale. Bisognerà coinvolgere anche l’opposizione, metaforicamente parlando. Non solo i libertari e gli indipendenti, ma anche quelli di centro che hanno paura di cambiare e della parola con la s (“Socialista”). Ci sono anche tanti motivi per sentirsi indignati e arrabbiati. Non sono felice che Pete (Buttigieg) non farà niente con il complesso industriale militare. Sono parecchio incazzato.

Hai sempre votato? Non hai mai perso un’elezione?
Credo di sì. Di sicuro ne ho persa una negli anni ’90. Sinceramente, come molti della mia generazione, sono più interessato alle elezioni di quest’anno, più che in passato. Sarà colpa di Twitter, ma finisci per appassionarti, e hai un accesso rapido alle parole di chi sa spiegare un concetto, beh, in cinque frasi. Negli anni ’90 era tutto vago, e ogni volta finivo per votare il candidato di sinistra più ragionevole.

Sei un grande fan dell’NBA, e hai parlato dei Rush in una canzone dei Pavement. Quale morte ti ha fatto più male, Kobe o Neil Peart?
Probabilmente Neil Peart. Kobe… nel basket era un mio “nemico”. Tifavo contro di lui. Quando si parla di Kobe dobbiamo ricordare che nell’incidente è morta sua figlia e molte altre persone, ed è stata pura sfortuna, una cosa terribile. Ho sempre pensato che fosse un ambasciatore fantastico di questo sport, un grande giocatore della golden age, ma credo fosse anche un po’ sopravvalutato. Ma era un tizio interessante. Sto parlando più di lui che di Neil Peart. Devo ritrattare. Non voglio che i fan di Kobe mi uccidano.

Neil era una persona davvero gentile. Quando penso a lui, penso a un amico del liceo che aveva la batteria gigante. Era un batterista davvero introverso, e lo ricordo con gioia. Ricordo alcuni dei fan dei Rush. Erano sempre persone gentili e riservate. Non dico che i fan di Kobe non lo siano. Non so, ho solo dei ricordi. I Rush non attiravano lo stesso pubblico dei Judas Priest. I Judas Priest avevano fan davvero tamarri, e anche i ricconi sociopatici in stile American Psycho. Quella gente mi spaventa. I Rush non avevano un pubblico così. Erano dolci.

Cosa farai dopo Traditional Techniques? Un disco rock con i Jicks o un’altra cosa concettuale?
Non lo so. Sto aspettando che qualcosa prenda forma. Siamo al lavoro su questo tour acustico, e i due concerti dei Pavement… non so come mi sentirò dopo. Mi fa sentire bene avere cose da fare per i prossimi quattro mesi, suonerò la mia musica e nel frattempo cercherò di essere un marito e un padre. C’è un sacco di altra merda a cui pensare, roba che dobbiamo fare tutti, davvero noiosa…

Cioè?
Pagare le bollette, badare ai figli… Ma a Rolling Stone non interessa.

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