Venticinque anni fa, Andrew Choi ha avuto una piccola rivelazione. Era al funerale della madre di un catechista e in quanto violinista e studente della Juilliard gli era stato chiesto di esibirsi. Vista l’occasione, Choi aveva scelto un adagio di Bach. «La musica più deprimente che potessi scegliere», dice ora. Mentre suonava, però, si è accorto che nonostante avesse appena perso la madre, l’insegnante sorrideva.
«Ero sconvolto», dice Choi, 41 anni, che ora incide col nome St. Lenox. «Il che è strano, perché ovviamente essere cristiani significa proprio questo, credere che dopo la morte si vada in un posto migliore. Non doveva sconvolgermi, ma è successo».
Cresciuto in una famiglia religiosa, frequentando varie chiese luterane e metodiste del Midwest, da adulto Choi si è allontanato dalla fede. Nel 2013, pensava a tutte queste cose: religione, morte, l’aldilà. Ha iniziato a scrivere una canzone che mettesse insieme diversi momenti della sua vita, compreso il funerale a cui aveva suonato più di un decennio prima.
Quel pezzo si intitola Arthur Is at a Shiva, una delle storie evocative e ricche d’immaginazione del suo quarto album, Ten Songs of Worship and Praise for our Tumultuous Times. Nel ritornello, Choi prova a consolare un collega che ha appena perso un amico. «Qualcuno ha detto che suona come se cercassi di confortare Arthur, ma non so perché l’abbia scritta in quel modo», dice. «Credo che il ritornello parli più a me stesso».
L’album è la perfetta introduzione al peculiare mondo musicale di St. Lenox, che nell’ultimo decennio ha pubblicato una serie di dischi cult composti da brani narrativi, autobiografici e basati sul pianoforte. St. Lenox interpreta quelle storie con un timbro ruvido, quasi parlato, che evoca cantanti come John Darnielle dei Mountain Goats, che una volta l’ha definito «un autore di testi di prim’ordine».
È il suo disco più commovente, nato da un decennio di canzoni vagamente legate alla religione, sia alla fede che gli è rimasta, sia a quella che ha perduto. Per esprimere il tema al meglio, Choi ha giocato con elementi sonori che gli ricordano le messe luterane della sua infanzia. Ha utilizzato l’organo da chiesa e giocato con la cadenza tipica dei pastori.
L’ascolto del disco ha steso Joe Steinhard, il leader dell’etichetta punk del New Jersey Don Giovanni Records. «È un enorme passo avanti rispetto ai suoi dischi precedenti, che erano comunque notevoli», dice. «È cresciuto parecchio come autore».
Choi dice che ha esitato prima di pubblicare un disco che parlasse così esplicitamente di religione. «È un decennio che non vado molto spesso in chiesa, così l’idea di pubblicare un album così esplicitamente cristiano mi intimidiva. Chi si identifica in quella fede l’avrebbe ascoltato e cosa avrebbe pensato?. Allo stesso tempo, c’è tanta gente che trova respingenti le opere a carattere religioso. Ho scritto comunque il disco perché sono convinto che esistano tante persone nella mia stessa posizione: gente che era molto religiosa, non lo è più formalmente ma sente ancora quel tipo di sentimento».
In Bethesda, uno dei brani del disco, Choi racconta la sua infanzia religiosa. Il pezzo è una collezione evocativa di ricordi legati alle messe della chiesa luterana di Ames, Iowa, dove andava da ragazzo. Figlio di immigrati coreani, da bambino si è spostato in tutto il Midwest: da Columbia, Missouri, ad Ames e poi a Cincinnati e ancora ad Ames, con piccole pause a Toronto e New York, dove nei fine settimana studiava violino alla Juilliard. «Adesso sembra così lontano nel tempo», dice del periodo in cui studiava musica classica.
Dopo essersi laureato in filosofia, Choi è tornato a New York per studiare legge, e ha iniziato una carriera da avvocato in uno studio. Nel 2014 ha pubblicato il debutto col nome St. Lenox, Ten Songs About Memory and Hope, e da allora ha continuato a raccontare le epifanie che incontrava nella sua vita da colletto bianco di Manhattan in canzoni come Thurgod Marshall (2016) e Hashtag Brooklyn Karaoke Party (2018). Il secondo album, Ten Hymns From My American Gothic, raccontava la sua storia di figlio di immigrati, mentre il seguito del 2018, Ten Fables of Young Ambition and Passionate Love, parlava di tematiche tipiche dell’indie come la noia della mezza età e l’inquietudine.
Tutti questi dischi fanno parte di un progetto più ampio, che ha a che fare con l’espansione della definizione di cosa può raccontare un cantautore americano. «Il problema con l’Americana è che considera la musica solo in termini di storia», dice. «Ma farlo taglia fuori gli immigrati o chi è qui solo di recente. A prescindere da quanto la gente sia disposta ad ammetterlo, l’implicazione è questa: “Se non hai una storia in America, non puoi far parte del genere”. Credo valga la pena ragionarci su. Per come la vedo io, l’Americana è musica sull’America fatta dagli americani, e credo che la definizione abbracci tanti artisti».
La sua prospettiva è evidente nel nuovo disco, che contiene un mix di ambientazioni peculiare per le sue storie. Choi canta di tutto, da cosa si prova a entrare in un supermarket in piena notte (Kroger at Twilight) ai laboratori di neutrini (Superkamiokande).
Nella traccia d’apertura, Deliverance, ragiona su temi tipici del rock con grazia e senso dell’umorismo. “Ora ho quarant’anni, nel mezzo della mia vita / Parlo di cose come le tasse e l’eredità”, canta. “Temi seri per un giovane avvocato / che non ha studiato la vera poesia o la religione”.
Uno dei brani migliori del disco è Teenage Eyes, guidato da un pianoforte cupo nello stile dei National. Nel brano, Choi usa un campionamento di un discorso di Eisenhower del 1956 e racconta i rimpianti nostalgici di un cantante diventato businessman, un uomo che ha incontrato una sera in un karaoke bar. La canzone, dice, parla «di morte e di chi pensa di ritrovare la giovinezza». È chiaro che, tramite il protagonista della canzone, Choi cerca di capire meglio se stesso.
«È una canzone strana per me, perché ora sono in una posizione… non mi piace dirlo, ma sono un uomo di mezza età e faccio l’avvocato», dice. «Ma insomma, sono anche immerso nella musica».
Fa una pausa prima di continuare. «Potrei mollare il lavoro e fare solo il musicista, ma non succederà. Ho troppi debiti universitari da pagare».
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.