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Sophie Auster, tra gli errori del passato e il peso della famiglia

Figlia di uno degli scrittori più importanti nella letteratura contemporanea, la cantautrice racconta la strada verso il suo ultimo album, definitivamente lontano dalle etichette e dal papà Paul

Foto press

«In qualche modo ho sempre avvertito il peso della mia famiglia, ma era una pressione che facevo a me stessa; i miei genitori non mi hanno mai spinto verso l’arte ma mi hanno sempre spronata perché seguissi la mia strada, qualunque fosse», racconta Sophie Auster sorridendo pacata. Figlia della poetessa di fama internazionale Siri Hustvedt e di Paul Auster, una delle penne più importanti nella letteratura contemporanea, Sophie – a volte quasi schiva dietro una bellezza spiazzante – racconta degli anni di gavetta, di cui molti trascorsi a scansare l’etichetta che, logicamente, deriva da un retaggio come il suo.

Il 12 aprile è uscito Next Time, il suo terzo album in studio, lavoro in cui Sophie ha ritratto se stessa, i suoi trent’anni, i suoi rimpianti e un passato da ‘ragazza copertina’ di cui i giornali scandalistici statunitensi andavano ghiotti. «Il filo conduttore del disco è una riflessione sugli errori del passato, su chi ero primo rispetto alla donna che sono oggi», continua la cantautrice, per anni al lavoro sulla sua ultima fatica discografica. Per Next Time, infatti, Sophie Auster aveva scritto quasi un centinaio di canzoni, scremate, disossate, spogliate fino all’essenziale insieme al producer Tore Johansson – già al lavoro, tra gli altri, con New Order, Franz Ferdinand e The Cardigans – per un risultato solido e maturo.

In Next Time Sophie riesce finalmente a raccontarsi come mai prima, lontana dagli esordi, dove ‘l’ombra’ della famiglia era un nume tutelare troppo importante da esorcizzare con la musica. «Ovviamente i miei primi esperimenti li ho fatti ‘traducendo’ all’interno delle mie canzoni i poeti con cui sono stata cresciuta», aggiunge mentre ricorda ricorda i primi lavori, quando nei suoi brani le protagoniste erano le parole di Apollinaire, Éluard, Desnos e, ovviamente, le poesie del padre. «Essendo cresciuta circondata dalla letteratura credo fosse inevitabile, ma per fortuna il mio amore per la scrittura è cresciuto insieme a quello per la musica per cui ho sempre cercato di trovare parole che fossero realmente mie».

Foto press

Voce da chanteuse – sensuale, mai eccessiva – chitarre anni ’60, fiati che ricordano le ambientazioni messicane del cinema di Tarantino. Non è un caso, infatti, che il primo singolo estratto da Next Time, Mexico, sia stato scelto da John Turturro per Going places, lo spin-off de Il grande Lebowski. D’altronde il rapporto con il cinema di Sophie parte da lontano, quando ad appena 11 anni recita nel film diretto dal padre, Lulu on the Bridge: «Credo che esista un forte legame tra la recitazione e la performance da musicista: il tuo corpo diventa uno strumento, i tuoi muscoli esprimono un messaggio davanti a un pubblico, ma allo stesso tempo c’è una differenza abissale tra le due professioni».

«Quando interpreto un ruolo divento la voce per le idee e i sentimenti di qualcun altro, quando canto su un palco racconto di me, della mia personalità, del mio vissuto: sono molto più vulnerabile, soprattutto quando sono su un palco da sola con la mia chitarra». Mentre suona Sophie sembra rapita da una dimensione lontana, ma allo stesso tempo capce di avvolgere il palco dentro un racconto fuori dal tempo, scandito dalla delicatezza della sua voce e del suo sguardo, consapevole di una strada, finalmente sua.

Sophie Auster suonerà in Italia per tre date:

26 Aprile – Fontanafredda (PN) – Astroclub
27 Aprile – Varese – Cantine Coopuf
29 Aprile – Bologna – Bravo Caffé

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