Rolling Stone Italia

Sono tornati i vecchi, nuovi Pixies

«Lavorando a 'Doggerel' ci siamo ricordati chi siamo». Intervista a David Lovering e Paz Lenchantin: il nuovo album, la stima di Bowie, l'effetto nostalgia (da evitare a ogni costo)

Foto: Tom Oxley

Incontro David Lovering e Paz Lenchantin dei Pixies in un caldissimo pomeriggio di fine giugno, pochi giorni dopo la splendida esibizione a Imola in apertura dei Pearl Jam e appena prima del loro debutto a Roma, città incredibilmente mai visitata prima dalla band di Black Francis. Hanno appena terminato le registrazioni del nuovo album Doggerel e l’eccitazione è palpabile. Non solo per essere riusciti a dare un successore a Beneath the Eyrie, ma soprattutto perché la sensazione è che questa manciata di canzoni sia la cosa migliore fatta dalla band dopo la reunion di qualche anno fa. Insomma, al di là delle classiche dichiarazioni di rito, è bello ritrovare qualche certezza ogni tanto, insieme alla splendida sensazione di sentirsi di nuovo a casa dopo tanto tempo. Ma non parlate loro di nostalgia, potrebbero prenderla male.

Vi ho visti a Imola prima dei Pearl Jam e ho pensato: in un mondo giusto, dovrebbero essere i Pearl Jam ad aprire per loro. Credo la pensino così anche loro.
David Lovering: Non lo so. Credo che a parlare sia la storia di una band. E se guardiamo alla storia dei Pearl Jam, il discorso dovrebbe chiudersi qui. Capisco benissimo il tuo punto di vista, ma onestamente credo che le cose vadano semplicemente come devono andare. C’è mai stato un momento in cui avremmo potuto salire sul carrozzone del mainstream? Certo, ma abbiamo deciso di non farlo e ne siamo felici. Per alcuni, la coerenza vale più di tutto il resto. Pensa ai R.E.M.. Detto ciò, la risposta del pubblico è stata eccezionale.

Eppure siete considerati la band che ha influenzato di più i Nirvana e che, in qualche modo, è stata capace di ridare ispirazione a David Bowie dopo anni difficilissimi. Due nomi da niente.
Lovering: Entrambe le cose sono state dichiarate dai diretti interessati, due delle persone più corrette, umili e gentili dell’intero music business. Ci fa piacere, ma lascia il tempo che trova. Come quando ci chiedono dell’impatto di Fight Club sulla popolarità di Where Is My Mind. Sono cose che non hanno influito sul nostro modo di comporre musica. Poi è chiaro che quando due delle persone più importanti della storia della musica ti riconoscono un’influenza non puoi che esserne grato, ma non possiamo credere di essere parte fondamentale della loro storia. In particolare di quella di Bowie.

Parlando ancora di Bowie, state iniziando spesso i vostri concerti con Cactus, di cui Bowie fece una cover nei primi anni 2000. Cosa significò per voi quel gesto?
Lovering: Ho voluto vedere quella cover come un gesto di stima e di gratitudine, un po’ come quelli che aveva fatto per Lou Reed o Iggy Pop negli anni precedenti. Solo che noi siamo arrivati in un momento diverso, mentre Iggy e Lou Reed hanno forgiato il carattere di Bowie e gli hanno indicato la via da seguire. David avrebbe riguadagnato autostima comunque prima o poi, anche senza di noi. Quando ho letto che nella tracklist di Heathen c’era Cactus balzai sulla sedia. L’ha fatto quando noi non eravamo nemmeno più una band, quindi il gesto ha un valore ancora superiore.

Tornando al presente, credo che Doggerel sia la cosa migliore che avete prodotto negli ultimi anni. Forse perché suona in assoluto come il disco più Pixies dai tempi dello scioglimento.
Paz Lenchantin: In parte sono d’accordo con te, tant’è che ci eravamo immaginati frasi del tipo: i Pixies sono tornati a fare quello che sanno. Però, se lo ascolti con attenzione, ci puoi sentire tutto il percorso degli anni 2000. Forse nel disco precedente siamo riusciti a incapsulare il secondo tempo della nostra esistenza. Per questo motivo Doggerel è decisamente un album più famigliare per chi ci conosce da sempre. Pensa alla title track: non suona come niente che abbiamo fatto in precedenza, ma di fatto ci puoi sentire tutta la nostra storia. È come se dal 2014 a oggi ci fossimo mossi lungo una strada che ci ha riportati dove eravamo rimasti, senza però perdere la voglia di sperimentare.

Quindi nessuna nostalgia?
Lovering: Non siamo mai stati una band nostalgica, nemmeno quando avremmo potuto esserlo senza che nessuno potesse avere niente da ridire. Come tutte le band con alle spalle tanti anni di vita, dobbiamo per forza fare i conti col passato. E lo facciamo senza prese di posizione idiote. Se siamo qui è per il nostro passato. Ma il futuro non è scritto e, di fatto, parlando degli album precedenti a questo nessuno ha parlato di nostalgia.
Lenchantin: Anzi, per molti non eravamo nemmeno più noi. Sei stato fortunato a non averlo chiesto al nostro cantante (ride).

Pare che per tirare fuori le 12 tracce del disco ne abbiate composte una quarantina. Com’è stato possibile dare un senso a tutto quel materiale?
Lenchantin: Charles (Frank Black, nda) ha sempre scritto molto di più di quello che poi finisce su disco. La pandemia, in questo senso, è stato un periodo molto florido per le sue idee e il suo songwriting, vista l’impossibilità di fare altro. Abbiamo messo assieme tutto quel materiale pensando al concetto di coerenza.
Lovering: La verità è che quando ci siamo ritrovati è bastato pochissimo per sentire di non esserci mai lasciati, ma allo stesso tempo, musicalmente, non avevamo più idea di chi fossimo. La cosa principale di Doggerel è proprio questa, ci ha fatto ritrovare chi eravamo. Per questo credo che non passerà molto tempo prima di un nuovo album.

Iscriviti