Max Pezzali: «Con le canzoni degli 883 non pensavamo al pop» | Rolling Stone Italia
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Max Pezzali: «Con le canzoni degli 883 non pensavamo al pop»

Ha iniziato la sua carriera 25 anni fa, diventando un fenomeno di massa quasi per caso. Oggi festeggia con 'Le canzoni alla radio' e pensa a un concept album. Senza paura del futuro

Max Pezzali

Nel 1992 avevo otto anni, e come tutti i bambini di terza elementare dell’epoca ero in fissa con gli 883, freschi di debutto con Hanno ucciso l’Uomo Ragno. Un disco con un linguaggio senza compromessi, concepito per un pubblico di ventenni ribelli, che però piaceva proprio a tutti, infanti compresi.

Per preservare l’innocenza delle mie giovani orecchie, mia mamma mi concesse di duplicare la cassetta, ma solo a condizione che eliminassi le canzoni con le parolacce: nacque così la prima clean version casalinga della storia. «Pensa che oggi mi pongo lo stesso problema con mio figlio Hilo, che ha otto anni», ride Max Pezzali. «Quando canto canzoni tipo Rotta per casa di Dio mi viene da autocensurarmi, perché sennò giustamente mi chiede perché io posso dire ‘fanculo’ e lui no. Forse è vero che si nasce incendiari e si muore pompieri».

Universalmente considerato una bandiera nazionalpopolare – quest’anno festeggia 25 anni di carriera, che coincidono con il suo 50° compleanno – quando parla della sua ascesa, Max lo fa ancora con il tono sorpreso di chi in fondo non se l’aspettava. «Eravamo molto naif: ci chiudevamo in cantina a scrivere e registrare, e per noi finiva lì. E anche quando suonavamo in giro, era quasi “per vedere di nascosto l’effetto che fa”», ricorda. «Tutti dicevano che gli 883 erano goffi sul palco, ma è normale: noi al palco non ci avevamo ancora pensato. Non credevamo che le nostre canzoni potessero essere considerate pop. Mi sembravano lontanissime dal gusto delle masse. Pensa a S’inkazza, Non me la menare, Con un deca… Era impensabile che arrivassero a tutti».

A un quarto di secolo di distanza Max è ancora molto affezionato ai primi brani che ha scritto, tanto che nel suo ultimo album Le canzoni alla radio, uscito il 17 novembre, ha incluso anche trenta suoi grandi successi, oltre a sette brani inediti (tra cui la title track, in cui collabora con Nile Rodgers, e Duri da battere con Francesco Renga e Nek, con cui a gennaio partirà in tour). «Sapevo che se fossi uscito con un album nel 2017 tutti mi avrebbero chiesto di parlare dei 25 anni di carriera, perciò ho deciso di anticiparli!», scherza. «Non sono uno di quelli che odiano le proprie vecchie cose, anzi. È bello vedere che la gente sa ancora a memoria perfino pezzi che io ho sempre considerato minori».

Stessa cosa dicasi, ovviamente, per le sue canzoni d’amore, tra le più gettonate per matrimoni e dediche romantiche: buffo, se si pensa che agli inizi non avrebbe neppure voluto inserirle nei suoi album. «Come mai doveva essere già in Hanno ucciso l’Uomo Ragno, ma alla fine l’abbiamo scartata. Mi sentivo a disagio: non volevo passare per melenso. È stato Cecchetto a convincerci a metterla in Nord Sud Ovest Est: “Se andasse male, mi prenderò io la responsabilità di questa scelta”, ha detto. Aveva ragione, è andata benissimo. Ma ancora oggi mi sento un po’ a disagio a cantare dei miei sentimenti davanti agli altri: mi sembra di stare nudo sul palco».

Le canzoni alla radio è la storia di una crescita lenta ma costante, ma anche di un cambiamento generazionale. «Ho voluto intitolarlo così perché ascoltare la radio mi ha cambiato la vita; quella di una volta, quando lo speaker arrivava in studio con la sua collezione di dischi per farti sentire quanto erano fighi», spiega. «Oggi, invece, le grandi emittenti inseguono i gusti del pubblico. Ci vorrebbe più coraggio, il pubblico spesso non sa cosa vuole e cosa potrebbe piacergli. Se vent’anni fa ci avessero chiesto di disegnare il cellulare dei nostri sogni, saremmo rimasti per sempre al telefono a conchiglia e nessuno avrebbe mai provato a sviluppare l’iPhone».

Il Max Pezzali di oggi non ha paura del domani e delle novità, neanche in campo musicale: «Ascolto di tutto», ammette. «Ai tempi di Internet, però, questa fame di scoperte diventa quasi una malattia, perché per ogni artista ne scopro altri dieci. Ora sono nel periodo trap: vado a scovarmi anche i più misconosciuti produttori di Atlanta per capire come hanno usato le 808, gli effetti, gli hi-hat raddoppiati… Adoro il fatto che riescano a produrre pezzi lenti che, grazie a un sapiente gioco sul tempo, sembrano veloci». Non ha intenzione di far concorrenza a Ghali e Sfera, però: «Come dire, non basta essere appassionati di basket per poter giocare, se sei alto 140 cm: il fatto che mi piaccia qualcosa non vuol dire che io possa farla!».

I suoi buoni propositi per i prossimi 25 anni sono ben altri: «Vorrei togliermi uno sfizio e fare dei concept album basati sugli stati d’animo. Tipo un album di sole canzoni tristi, con una copertina triste e dei video tristi, e poi tre mesi dopo un album di sole canzoni allegre, con una copertina allegra e video allegri. Non credo che me lo lasceranno mai fare, ma vorrei davvero provarci!». Per vedere di nascosto l’effetto che fa.

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