Siete sicuri di aver capito cos’è il collettivo Seven 7oo? | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

Siete sicuri di aver capito cos’è il collettivo Seven 7oo?

Se pensate che quella dei rapper di San Siro di cui si fa un gran parlare sia la solita storia tutta gangsta, credibilità e strada, leggete questa intervista a Kilimoney: potrebbe mandare all'aria i vostri pregiudizi

Siete sicuri di aver capito cos’è il collettivo Seven 7oo?

Seven 7oo

Foto press

“Senti che flow hanno le case popolari”. Si presenta così la Seven 7oo nella intro del Mixtape. Niente di nuovo, verrebbe da pensare, sono più di vent’anni, dai tempi de L’odio di Kassovitz, che il cemento delle banlieue d’Europa ha colonizzato l’immaginario del rap.

Eppure questo manifesto collettivo ha qualcosa di speciale, di inedito. Sarà che le popolari in questione, quelle milanesi di Via Zamagna e Piazza Selinunte, prima di loro sono sempre state solo sulle pagine di cronaca nera. Sarà che uno dei membri della crew, Rondodasosa, è considerato la next big thing del rap game, Drake lo segue su Instagram e la collaborazione con Central Cee gli ha dato una visibilità internazionale a vent’anni da poco compiuti. Oppure sarà la loro ritrosia a concedersi alla stampa, se ci si mette googlare i loro nomi – oltre a Rondo, Saky, Vale Pain, Neima Ezza, Keta e Kilimoney con cui ho il piacere di fare due chiacchiere – compaiono spesso le parole baby gang, rissa, assembramento, carcere, daspo, ma pochissime interviste, qualche street video, di cui uno con denuncia per manifestazione senza preavviso. Insomma, si sono fatti la fama di cattivi ragazzi che parlano poco, la musica spesso è passata in secondo piano.

Peccato, ma questo disco è l’occasione per andare oltre, non solo drill incazzata ma un flow che varia dall’hip hop old school all’r&b, con variazioni inedite sui temi di scrittura, basta ascoltare Paranoia e Lunedì per misurare la lunghezza del salto.

Anche le altre intenzioni sono buone, lo dimostra la disponibilità di Kilimoney – accompagnato dal producer delle basi del disco, il lucchese Nko – ad andare oltre agli stereotipi, sfatando molti preconcetti che accompagnano Seven 7oo con un linguaggio semplice e diretto come quello della sue barre.

Molti dei pezzi fanno riferimento al vostro quartiere, alla vita di strada. È ancora molto importante per voi la famosa street credibility?
Non me ne frega niente di essere credibile, o di strada. Mi piacerebbe più essere considerato come un artista che come uno vero, di strada.

Però i testi inseguono un immaginario gangsta…
La cultura hip hop è nata in strada, nei ghetti afroamericani, noi raccontiamo cose che abbiamo vissuto ma non per fare i fighi, non è una gara.

C’è differenza tra chi le cose le vive, e le racconta, e chi le racconta e basta: questo mixtape non è una puntata di Top Boy
Sì, la differenza c’è.

Quanto è stato importante per Seven 7oo il rap italiano?
Ho scoperto il rap italiano a 8 anni con Mondo Marcio e Inoki. Mondo Marcio aveva portato quella wave americana che mancava, c’era freschezza nella musica, nei video, in come si vestiva, sembrava un americano che parlava in italiano. Poi crescendo ho ascoltato solo rap francese.

Come sono nate le collaborazioni di questo album con i francesi Gazo, Freeze Corleone, Ashe 22 o con l’inglese Central Cee?
Tutto in amicizia, ci si scrive sui sociali. Quando Rondo ha contattato Central Cee due anni fa, era più grosso di lui, aveva più follower su Instagram. Ci aveva visto lungo.

Avete l’ambizione di portare la vostra musica fuori dall’Italia?
Io in una canzone metto parole in francese, Vale Pain in spagnolo, un altro in arabo: è un mix che la gente all’estero apprezza, pensa al successo della collaborazione tra Lacrim e Sacky…

SEVEN 7oo - 7oo Story pt.1(official video)

L’intro è una sorta di statatement: “Non te lo aspettavi vero che arrivassimo insieme a tutto ciò?”. Penso vi riferiate anche a chi parla di voi solo per le accuse rapina a Neima Ezza o le proteste per il video girato in strada durante il lockdown… Quanto vi ha condizionato tutto questo?
Più che condizionato, ci ha sporcato l’immagine. Neima Ezza è stato arrestato per due collanine che non valgono niente, ma lui è un rapper e un artista pulito, come scrive lui in Italia secondo me nessuno. L’hanno infangato, ed è stato pure male, perché suo padre e sua madre leggevano i giornali e gli amici dei genitori dicevano «tuo figlio ha rubato le collanine». Si è depresso, perché non è vero. Meno male che ha avuto la forza di riprendersi.

È per via di questo pregiudizio che sono saltati una serie di concerti e festival, tra cui l’ultimo al Fabrique di Milano?
Ci vogliono escludere, mettere a cuccia, estromettere dall’industria di concerti e festival.

Perché fate paura?
Non penso che noi facciamo paura.

La vostra crew è composta da ragazzi di seconda e terza generazione, si parlano molte lingue ma nei testi non c’è mai un riferimento al razzismo…
Nel quartiere il razzismo non esiste.

Boh, gli avrete sentiti anche voi alcuni slogan leghisti o fascisti tipo «tornatevene a casa», no?
Quando Salvini festeggiava lo scudetto del Milan l’altro giorno allo stadio c’era un nero di fianco a lui… capito? È una bufala, è business. C’è la discriminazione, quella sì! Penso a quella della polizia nei nostri confronti. Ti faccio un esempio: vedono Rondo con un orologio da 20 mila euro o una collana diamantata e gli dicono di andare a lavorare, «che cosa fai dalla mattina alla sera?». Non gli va giù che un ragazzino guadagni più di un poliziotto, e allora iniziano a sfottere.

“Col questore non parliamo, solo in studio fra’ cantiamo” è una tua rima, giusto?
Sì, ti piace?

Ci sono immagini molto cupe tipo “Uno di ‘sti giorni io lo so che mi ammazzano” o “Alla fine basta uno sparo”. È una paura, quella della morte, che sembra accompagnarvi spesso…
È brutto da dire, ma queste cose ci sono. Ultimamente si è parlato di San Siro per le sparatorie. Poi, da quando abbiamo successo, sono spuntati tanti nemici, gente che ci odia senza che facciamo nulla, ma noi non possiamo stare zitti, se mi insulti ti insulto, se mi tiri un ceffone rispondo.

Tanti sono sempre i riferimenti a oggetti del desiderio come macchine, collane, brand di streetwear. È importante l’estetica rap nel vostro progetto artistico?
Non è importante, è solo ostentazione. Kendrick Lamar è fortissimo ma non ostenta. Da piccolo anche a me piacevano queste cose, ora non me ne frega nulla. Anziché spendere 50 mila euro per una collana, preferisco comprarmi casa.

“Compro casa alla mamma” come canta Ghali.
Sì, la mamma è la mamma, certo che voglio comprargli casa.

Mentre parlo con te, mi sembra che tu abbia un atteggiamento più consapevole rispetto alle barre che rappi. Ti piace esagerare?
Non è esagerare, quello che ho vissuto lo dico. Ma non sentirai mai in una mia strofa “io ho sparato, io sparo”, quelle cose non le dico.

Per i vostri video si radunano centinaia di ragazzini, molti minorenni. Ci tenete ad essere un esempio per loro, perché non finiscano in strada a fare cazzate?
Eh, ormai è tardi… Però questa cosa degli accoltellamenti e delle baby gang viene spesso associata alla nostra musica ed è sbagliato. Il nostro è solo rap, un racconto, non un esempio da seguire.

“Non fatelo a casa”, forse dovreste scriverlo sulla copertina. Cosa pensano i genitori della vostra musica?
Quando abbiamo fatto il disco di platino con il pezzo Seven 7oo, l’ho portato a mia madre e gli ho detto «Guarda, non sto più spacciando!» e lei si è messa a piangere, si è emozionata, ha detto «Bravo, meglio così che stare buttato in strada a fare i danni».

La copertina di ‘Seven 7oo Mixtape’

Se non facessi il rapper, oggi pomeriggio invece che qui sul terrazzo della Warner, dove saresti?
A spacciare.

Per fare soldi velocemente?
La gente pensa siano soldi facili ma non è cosi. Io mi svegliavo alle 7 di mattina e stavo in strada fino alle 2 di notte, guadagnavo bene ma non erano soldi facili. Non avevo vita, avevo rapporti solo con i clienti, i tossici e basta.

“La roba di Kili girava per le piazze” per usare una cit del disco. Le piazze esistono ancora? Pensavo fossero sparite alla fine degli anni ’90, con i social e gli smartphone.
Sì, sono tornate ovunque. Chiedi del fumo in piazza in qualsiasi zona e lo trovi.

Nella morale condivisa ora dovresti pentirti di aver spacciato, no? Non è una domanda trabocchetto…
Mi sono pentito di una cosa sola, di aver mollato la scuola.

Nei testi ci sono molti riferimenti alla vendita di droga ma mai al consumo.
Al massimo canne e alcol.

Tutta quella corrente del “coca rap” non fa per voi?
Per niente. Chi fa uso di queste droghe è debole di carattere. Lo fa per farsi accettare in qualche gruppo, per sentirsi figo come gli altri.

“Salvarmi su sto foglio come quando gli sbirri ci sfottono perché siamo del blocco”, lo canta Rondo. Come pensi che si riempiranno i prossimi fogli della Seven 7oo?
Non penso che in un prossimo disco si parlerà solo di strada perché stiamo vivendo un cambiamento di vita, in meglio. Ma la strada farà sempre parte di noi.

C’è un messaggio che vi piacerebbe passasse da questo disco?
Sì, per tutti i ragazzi buttati in strada che hanno una passione, un sogno: tipo, vuoi fare il meccanico? Muoviti, segui il tuo sogno e fai il meccanico veramente. Come noi abbiamo fatto con la musica.

Vorrei fare un’ultima domanda, anche se lo so che è da babbo: le pistole dei vostri video sono vere?
Sono vere, fidati.

Altre notizie su:  Neima Ezza Rondodasosa Seven 7oo