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Shirley Manson: «Patti Smith mi ha insegnato a essere autentica»

La cantante dei Garbage racconta del patriarcato del mondo della musica, dell'A&R che si masturbava guardando le sue foto, della volta in cui ha comprato stivali da 5000 euro. Si sente ancora in colpa

Illustrazione: Mark Summers per Rolling Stone US

Shirley Manson ha capito quanto il patriarcato dominasse l’industria musicale nel 1995, subito dopo il boom del debutto dei Garbage. Lei era il cuore del gruppo – cantava canzoni electro-rock su superare la depressione (Only Happy When it Rains) e vivere con orgoglio la non conformità (Queer) – ma era comunque una donna in una band di uomini, tra cui Butch Vig, il produttore di Nevermind dei Nirvana. E perciò il suo ruolo era svilito: non dai compagni della band, ma dall’esterno.

«Da quel che la stampa musicale scriveva di me ho capito quanto venissi sminuita o, in alcuni casi, completamente sradicata dalla storia della band, e solo perché ero donna», dice ora. «Gli avvocati mi impedivano di parlare, i manager mi ignoravano. La lista è lunga. È un discorso noioso, non ha senso che me ne lamenti adesso, ma mi ha fatto capire tante cose».

Quella rivelazione l’ha portata a parlare apertamente di uguaglianza. È così che è diventata un’icona femminista e ha usato la sua visibilità per sensibilizzare le persone su diritti umani, salute mentale e crisi dell’AIDS. Nel frattempo, ha scritto hit inclusive su androgina e sesso (Sex Is Not the Enemy). Nel nuovo splendido album dei Garbage, No God No Masters, affronta le ingiustizie razziali, il cambiamento climatico, il patriarcato e la sua autostima. Nonostante siano temi pesanti da affrontare, affronta le canzoni in modo unico e positivo.

«Non credo che sia un disco tanto serio», dice la cantante, 54 anni, al telefono. «Credo sia piuttosto un disco indignato. E l’indignazione può accompagnarsi a umorismo, gentilezza, leggerezza e amore. Pensavo che dire cose diverse da quelle di cui parlo ogni giorno con amici e famigliari sarebbe stato poco autentico. Invecchiando, gli artisti devono affrontare la sfida di essere autentici. È l’unica storia che posso raccontare. In un’industria che trabocca di idee, opinioni, melodie e così via, non puoi fare altro che essere te stessa. Tutto il resto non dura».

L’autenticità e l’onestà sono le qualità che hanno reso Manson ciò che è. Sono anche i sentimenti che sembrano guidarla in questa intervista, in cui parla di patriarcato, libri e lezioni di vita.

Quali sono le regole più importanti della tua vita? 


Ho 54 anni, nella musica di oggi significa venire dall’antichità. In questo momento della mia carriera penso che se una cosa non è divertente, allora non mi interessa. Se qualcuno mi tratta male, vado via. La vita è maledettamente breve e io sono già a tre quarti della mia. Voglio vivere una bella vita, piena di gioia.

Chi sono i tuoi eroi e perché?
Patti Smith, per un sacco di motivi. Soprattutto perché è una donna che ha esplorato la sua creatività meravigliosamente, con integrità e autenticità. Ha dimostrato che una donna, un’artista, non deve per forza seguire le regole dell’industria musicale. È raro vedere donne che lavorano a più di 70 anni di età. È entusiasmante, mi ispira, mi dà speranza. Quando mi capita di avere a che fare con il sessismo e la misoginia della nostra cultura, cerco sempre di pensare a lei. È come se mi dicesse: «Rispetta le tue regole. Crea la tua vita. Sii l’architetta di te stessa. Così facendo, puoi essere un’artista per tutta la vita». È così che si vive pienamente.

Anche tu sei un modello per gli altri. Come gestisci la responsabilità?
È una cosa che mi lascia senza parole. Ho avuto una lunga carriera e perciò la gente ne è ispirata di default. Credo che quando un’artista, chiunque sia, durare a lungo, chi la osserva ne trae dell’entusiasmo, è come se dicesse: «Anche tu puoi alzarti quando pensi di aver fallito, puoi ritentare». Continuando a lavorare puoi aiutare gli altri a fare lo stesso, a realizzarsi in modi che non pensavano fossero possibili.

Io cerco solo di essere una brava persona. Faccio errori. Mando la gente affanculo. Dico stronzate. Non sono onniscente. In tante cose sono ignorante, ma cerco di fare del mio meglio. Non posso pretendere altro da me stessa.

Il modo in cui mi vedono gli altri è fuori dal mio controllo. Ci sarà sempre qualcuno convinto che io sia una stronza, è normale per chi lavora sotto gli occhi del pubblico. Qualcuno mi odierà, ma cerco di non pensarci troppo, di non esserne assorbita. Sono arrivata a un punto in cui riesco a dire: «Sai che c’è? Fanculo. Non puoi convincerli tutti».

Hai detto che l’idea di eredità è un costrutto maschile in cui non credi. Lo pensi ancora?
Sì, ne sono ancora convinta. Conosco tanti artisti maschi ossessionati dalla loro eredità. Non voglio dire che sbagliano, ma a me non interessa. Sarò morta e incapace di vivere quella che chiamano la mia eredità. Voglio divertirmi. Voglio vivere adesso. Voglio mangiare bene e fare del gran sesso, chi se ne frega di quel che accadrà dopo che sarò morta. Voglio usare il mio tempo con saggezza, ed è questo che mi preoccupa.

Perché l’eredità è un costrutto maschile?
Perdonami che faccio psicologia da quattro soldi, ma credo che abbia a che fare col fatto che le donne hanno un utero e possono fare figli. Credo sia una cosa profonda. È uno dei pochi doni che mancano agli uomini: la possibilità di creare qualcosa col tuo corpo e il tuo sangue. Forse è per questo che non si sentono tante donne preoccupate della loro eredità. Per loro l’eredità è un figlio.

Sei scozzese. Qual è la cosa più scozzese della tua personalità oggi? 

Ho un sacco di grinta, mi ha aiutato molto nella carriera. Credo sia una cosa molto scozzese. Siamo un popolo tosto, ma con un grande senso dell’umorismo. Quindi direi grinta e umorismo.

Mentre ascoltavo la tua risposta, ho pensato che molte tue canzoni parlano di sopravvivenza, di andare avanti. Vale sia per Stupid Girl che per Only Happy When It Rains. Parlano di perseveranza… 

(Fa una pausa) È curioso, perché potresti avere ragione. Credo che la perseveranza sia un tema importante per me. Le cose possono andare bene per un po’, ma non per sempre. Tutte le vite devono superare qualche sfida. Tutti dobbiamo riconfigurare noi stessi per superare degli ostacoli, per avere la vita che desideriamo. La tua riflessione mi ha un po’ scioccata. Sono entusiasta. Finalmente ho un tema. Wow, è eccitante.

Waiting for God è una delle mie canzoni preferite del nuovo album, soprattutto per come affronti il tema del razzismo. Come possiamo combattere l’indifferenza dei bianchi? 


È una bella domanda. È interessante che tu abbia usato l’espressione “indifferenza dei bianchi”, perché una delle cose che mi colpiscono di più è proprio l’ambivalenza e l’apatia dei bianchi di tutto il mondo, delle persone che vedono quello che succede in tv e su internet e non hanno la forza morale per alzare la voce. La cosa più importante che possiamo fare è alzare il tappeto e far vedere la polvere che c’è sotto, così da iniziare a fare pulizia.

Ridurre la brutalità della polizia verso le persone di colore sarebbe un buon inizio. Credo che ci vorranno decenni prima che la nostra società diventi equa, soprattutto mentre tutti si godono la ricchezza dell’Occidente a discapito dei Paesi in via di sviluppo. È necessario aiutare i Paesi meno ricchi e potenti. Sarebbe positivo per tutti. Nessuno perderà nulla, tutti hanno da guadagnarci.

Ma se avessi una risposta farei politica, non musica. So quello che mi sembra giusto, e faccio del mio meglio per usare la mia voce e incoraggiare i miei amici, il mio piccolo ecosistema, a prestare attenzione e supportare le voci nere, i talenti neri.

Qual è il tuo libro preferito? 


Ne ho tantissimi. Mi viene in mente Pastorale americana di Philip Roth. Amo Cavalli selvaggi di Cormac McCarthy, The Collected Works of Billy the Kid di Michael Ondaatje, Winnie the Pooh e Cime tempestose. Ci sono classici che mi sono rimasti dentro.

Il più recente che ho letto è Dancer di Coum McCann. Parla del ballerino russo Nureyev. Mi ha incantato. È stata una lettura fantastica, è un autore straordinario. L’anno scorso ha pubblicato Apeirogon, che parla dei problemi tra Israele e Palestina. Parla di questioni incredibilmente complicate con chiarezza, dolcezza e generosità. È incredibile che se ne sia parlato così poco. Sembra che sia rimasto sepolto dagli altri libri, e ovviamente dal Covid.

Che consiglio daresti alla te stessa più giovane?
«Prenditi il tuo spazio». Quando ero più giovane, essere una ragazza significava minimizzare lo spazio: chiudi le gambe, parla piano, sorridi, sii carina, sii attraente. Mi è venuto spontaneo rifiutarmi di farlo. Ero una ragazza ribelle, non volevo stare nell’angolo in silenzio. Non sono una così. Comunque, guardando indietro, rivedo momenti in cui mi sono conformata. Non mi odio per questo, ma vorrei poter dire a me stessa: «Prendi il tuo posto. Se non c’è, trascina una sedia e piazzati lì».

Sono consapevole del sessismo e della misoginia che ho combattuto per tutta la carriera. Non voglio piangermi addosso, perché è andata bene, non mi hanno colpito abbastanza da fermarmi. Ma penso a tutte le donne diverse da me, che non hanno la mia personalità, determinazione, educazione o capacità di esprimersi. Voglio che tutte abbiano questa possibilità, voglio che tutte smettano di cercare di piacere agli altri, che accettino che non succederà con tutti e va bene così. Non piacere a tutti è ok.

A proposito di temi di genere, mi viene in mente la tua canzone Godhead, dove ti chiedi se ti tratterebbero diversamente se solo «avessi il cazzo».
Quel pezzo m’inorgoglisce perché è seria e assieme divertente. Parla dell’onnipresenza del patriarcato. Quand’ero più giovane ero così impegnata a farcela da non accorgermene. Solo da adulta mi sono guardata indietro e ho pensato: «Oh, wow, quando quel tipo dell’A&R ha detto che si masturbava sulle mie foto… non era per niente giusto». All’epoca, però, ci ridevo su e andavo avanti.

Ero inconsapevole. In quel pezzo parlo di come il patriarcato influenzi praticamente tutto, soprattutto nelle religioni organizzate. Dio è un uomo, comanderà per sempre e nessuno si fa delle domande. Non è assurdo? Quando un uomo è in una posizione di potere, tutti pensano che abbia le palle. In realtà, sono spesso più piccole delle mie (ride).

Dopo un po’ diventa quasi comico. Vedi uomini che proteggono altri uomini con l’unico obiettivo di salvare il patriarcato. Sono pochi gli uomini disposti a parlare di quella cultura, di come mettere in discussione il comportamento delle persone con cui sono associate. La riluttanza di certi uomini ad affrontare l’assalto ai corpi altrui è sconvolgente, terrificante, deprimente e patetica.

Nel 1996, il tuo compagno di band Butch Vig ha detto: «Tanti cantanti gridavano per trasmettere intensità, lei faceva il contrario, ma ti mandava fuori di testa». Come hai trovato il tuo stile?
Non lo so. Quando la gente mi parla piano mi sento più minacciata, sono molto a mio agio col conflitto. Ci sguazzo dentro. Mi eccita, è divertente. Se mi gridano addosso non mi sento minacciata. Non mi spaventano i tipi aggressivi. Quando la gente è più silenziosa, invece, so che sono molto seri, perché controllano la propria rabbia e sono più pericolosi.

La mia ultima domanda è un po’ superficiale.
Adoro essere superficiale.



Qual è l’acquisto più indulgente che hai fatto in vita tua? 


Al picco del successo, ho assunto una persona per fare shopping al posto mio. Spediva gli acquisti al mio albergo. Sceglievo quel che mi piaceva e restituivo il resto. Un giorno è arrivato un paio di splendidi stivali italiani. Ne indossavo un paio simili nel video di Stupid Girl, pensavo fossero perfetti per me. Quando siamo tornati dal tour, ho scoperto che costavano 5000 dollari. Non riesco neanche a riderci su. Mi manda fuori di testa. Li ho ancora. Vorrei liberarmene, così da non doverli più guardare. Ma sono lì per ricordarmi ogni singolo giorno la mia avidità.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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