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Shawn Mendes, confessioni di un nevrotico teen idol

Album al numero uno, schiere di fan in tutto il mondo. Ma il suo vero desiderio sarebbe solo uno. Rilassarsi, finalmente
Shawn Mendes è nato nel 1998. L'anno scorso ha pubblicato il suo terzo album in studio

Shawn Mendes è nato nel 1998. L'anno scorso ha pubblicato il suo terzo album in studio

Qualche sera fa Shawn Mendes è rimasto sveglio fino a tardi a scorrere delle foto in rete nella sua stanza d’hotel. Continuava a vedere le quaranta celebrità più famose al mondo con i loro partner – per esempio Dua Lipa e il suo compagno o Justin Bieber con la fidanzata modella – e iniziava a essere un po’ geloso. «Ho avuto questo pensiero: “Devo farmi paparazzare con qualcuno. Con chi? Non è importante”» ricorda Mendes. Ma ha subito rinunciato all’idea. «Mi sono detto: “Bah, razza di idiota. Perché mai ti è venuto in mente?”».
Mendes pensa spesso a questo genere di cose. Cresciuto in un sobborgo canadese, è diventato famoso poco tempo dopo aver preso in mano la chitarra per la prima volta, conquistando mezzo miliardo di visualizzazioni sulla defunta app di Vine suonando cover di sei secondi di Bieber e Ed Sheeran. Oggi è il tipico bello hollywoodiano, con addominali scolpiti e un profumo personalizzato in vendita a 8,98 dollari da Walmart. È facile mostrarsi scettici sul suo successo – provate a chiedere direttamente a lui, che si definisce un ventenne «estremamente nevrotico» che passa gran parte del tempo a rimuginare sulle scelte della sua carriera. «È letteralmente la paura più grande che ho, svegliarmi domani e a nessuno frega niente» dice.

Non che adesso abbia nulla di cui preoccuparsi. Tutti i suoi tre album sono finiti al numero uno della classifica delle vendite e per il prossimo anno ha novantacinque palazzetti esauriti, con gli stadi che spuntano all’orizzonte. I suoi singoli sono orecchiabili, successi pop-rock ben congegnati come Stitches del 2015 e Treat You Better del 2016, dove viene fuori come un ragazzo sincero in cerca di qualcosa di più di un’avventura: il tipo capace di volare fino in Giappone per convincerti a dargli una possibilità.
Eppure, tenere la testa a posto mentre cerchi di costruirti una carriera a lungo termine alla Ed Sheeran o alla Taylor Swift, comporta un’enorme pressione per uno che ha compiuto da poco 20 anni. Trova conforto nelle regole severe che si è dato per restare sulla buona strada. Regola numero uno: andare in palestra ogni giorno. Regola numero due: non dire mai no a un selfie. Il che significa che ogni hotel in cui alloggia diventa di fatto un evento pubblico, con la possibilità che all’esterno si accalchino dalle poche decine alle migliaia di fan.

È letteralmente la paura più grande che ho, svegliarmi domani e a nessuno frega niente

Quando esce dalla lobby del Tivoli Hotel di Lagos, Portogallo, ci sono già alcune ragazzine in attesa davanti all’entrata. «Aspettatemi», dice al suo staff. «Devo fare qualche foto». Dopo uno o due minuti di chiacchiere scrupolose – «Sei fantastico» gli urla un’ammiratrice prima che la sua guardia del corpo lo porti via velocemente – si fa strada fino al van. I suoi due manager sono in costume da bagno, mentre lui indossa jeans aderenti e stivali, i capelli perfettamente scompigliati per l’esibizione di questa sera al festival. «Vuoi sederti in mezzo?» mi chiede. «No, scherzo. Mi stringo io».

Il padre, Manny, si siede davanti e inizia a conversare in portoghese con l’autista. Quarantaquattro anni, i capelli ingellati, il pizzetto, indossa una polo e occhiali da sole: tra il serio e il faceto, lo staff del figlio lo definisce «la vera rock star della famiglia». In Ontario possiede un bar e una società di attrezzature per ristoranti, ma la sua famiglia è di qua, e a vent’anni ha lavorato nel locale dove ci stiamo dirigendo adesso, di proprietà del cugino.
I Mendes – Manny, la moglie Karen, Shawn e la sorellina Aaliyah – sono venuti in Portogallo l’ultima volta sei anni fa. «Noleggiammo un furgone» racconta il padre. «Ci incastravamo ovunque perché le cavolo di strade erano strettissime». In quel viaggio successe qualcos’altro: mentre stavano facendo shopping nella piazza centrale della città, Shawn si era arrampicato accanto a una statua di un re e aveva cantato in pubblico per la prima volta.
«Mi sentivo stranamente ispirato» dice lui. «Loro erano entrati un negozio e ricordo che il mio cuore andava a mille all’ora. La canzone era Grenade di Bruno Mars». Comincia a urlare le parole: “Easy come, easy go!”.

Mentre ci avviciniamo al litorale di Lagos, Manny indica la strada sterrata che conduce alla casa di sua nonna, dove ha trascorso diverse estati da bambino. Mentre parla delle mura medievali costruite per difendersi dai pirati, gli occhi del figlio vagano altrove: tre ragazze in bikini che tornano a piedi dalla spiaggia. «Ci sono davvero un sacco di belle ragazze qua» dice. Ma non aspettatevi che vada a parlarci. «Non ci so fare, amico» aggiunge. Manny racconta che da giovane era come lui, suggerendo che anche il bell’aspetto della famiglia in realtà rema contro.
«Dobbiamo impegnarci di meno grazie ai nostri splendidi capelli» concorda il figlio. «Siamo già dieci passi avanti. Ma essere di bell’aspetto non significa che ci sappiamo fare».
Justin Stirling, il venticinquenne a capo del marketing di Shawn, commenta: «L’unica cosa che deve fare è aprire i suoi messaggi diretti su Instagram, vedere le spunte blu e scegliere. Ma non succede spesso».
Ci avviciniamo al Café Do Mar, un posto pittoresco affacciato su un tratto di costa pieno di tavole da surf, dove un gruppone di parenti – tutti abbronzati e super amichevoli, proprio come lui – sta aspettando il suo arrivo. Dopo gli abbracci e i saluti di rito, si siede a un tavolino di servizio per la nostra intervista. Gli domando se preferisce fare due chiacchiere con la prozia e lo zio, ma dice che va bene così: «Non parlano inglese, e quindi sarebbe molto difficile».
Ordina del pollo e mi racconta di aver passato la mattinata a fare del suo meglio per rilassarsi: è andato in palestra e poi si è sdraiato al sole ad ascoltare qualche hit soft pop su Spotify. A quel punto dice qualcosa di un po’ più sorprendente. Pochi giorni fa era ad Amsterdam con alcuni compagni delle superiori per festeggiare il suo ventesimo compleanno. Non aveva avuto la possibilità di darsi alla pazza gioia, perché doveva preservare la sua voce, ma avevano esplorato i canali per ore con un battello noleggiato e avevano fatto una puntata nei coffee shop più noti della città.

«Adoro l’erba» mi dice con un sorrisetto. «Non lo twitterei – o almeno non ancora – ma mi piace molto. Quando sarò a casa, la fumerò e poi suonerò la chitarra per sette ore». (Ad Amsterdam vendevano anche dei funghi allucinogeni, ma ha deciso di non provarli. «Avrei davvero voluto. Penso che potrebbe essermi di grande aiuto»).
Finora ha tenuto duro sulla sua immagine candida, restando lontano dai giornali scandalistici, anche se qualche cambiamento comincia a intravedersi. Qualche mese fa, lui e Hailey Baldwin hanno conquistato le prime pagine presentandosi mano nella mano al Met Gala. Nonostante abbiano dichiarato a tutti di essere solo amici, le foto di loro due abbracciati in un parco di Toronto vicino a casa di Shawn non quadravano con la loro versione. Adesso ammette che erano più che amici, ma è ancora riluttante a definirla una relazione: «Non voglio nemmeno appiccicarci un’etichetta. Penso che fosse più una zona di limbo».

Ma appena un mese dopo la loro uscita al Met Gala, lei si è fidanzata con Bieber, con cui aveva già avuto una storia. Hailey ha smesso subito di seguirlo su Instagram, e a peggiorare le cose, nel singolo con Dj Khaled, sembrava che Bieber ce l’avesse con lui: «Non è difficile scegliere tra lui e me/non scherziamo, tesoro, non è complicato».
Sui social media alcuni lo hanno dipinto come un fesso che si è fatto prendere in giro dalla Baldwin, ma lui giura di non nutrire alcun risentimento. «Ho capito, sai» mi dice. «Le ho scritto un messaggio in cui mi congratulavo con lei e le dicevo che ero felice per loro. Continua a essere una delle persone più belle che abbia ma incontrato – non solo esteticamente, e ha un cuore bellissimo». Sembra che possa essere sul punto di raccontare qualcosa di più su come sia finita, ma si ferma. «Penso di essere un idiota a non, sai… Ma non è possibile controllare il proprio cuore».
Ammette che le attenzioni sulla sua vita privata gli hanno provocato un enorme stress. «Vorrei poter affermare che non mi importa, ma non sarebbe vero». Il che ci conduce a una questione più spinosa con cui è stato costretto a confrontarsi: «Quelle infinite voci sulla mia omosessualità».
Gli esempi si trovano dappertutto su Twitter e YouTube. Immagini e meme di Mendes insieme a battute sul suo presunto segreto e video che analizzano ogni suo gesto. In rete, rivelare la sua omosessualità è diventato uno sport popolare. Mendes si ritrova spesso a guardare le proprie interviste, per esaminarsi la voce e il linguaggio del corpo. Tira fuori il telefono per mostrarmi il suo account Twitter – nella cronologia, l’unica ricerca recente è il suo nome. «Inconsciamente sento che ho bisogno di farmi vedere in pubblico con qualcuno – una ragazza – per dimostrare alla gente che non sono gay. Anche se dentro di me so che non è una brutta cosa, c’è una parte di me che continua a pensarlo. Ed è una parte che odio».

Forse ho un lato un po’ più femminile – ma è così. Ecco perché sono diventato come sono

Il Natale scorso stava leggendo dei commenti su YouTube sulla sua omosessualità quando a un certo punto ha deciso che ne aveva abbastanza. «Ho pensato: “Razza di stronzi, siete così fortunati che non sia davvero un gay terrorizzato di fare coming out”» ricorda. «È una cosa che manda fuori di testa le persone, ed è un argomento delicato. Vi piacciono le mie canzoni? Io vi piaccio? E allora, chi se ne frega se sono gay?».
Così ha postato una story su Snapchat. «Mi sono accorto che un sacco di gente sostiene che trasmetto vibrazioni “gay”» ha detto ai suoi milioni di follower, dando l’idea di avere un po’ la voce strozzata mentre fissava con gli occhi spalancati la videocamera. «Prima di tutto non sono gay. E secondo, che lo sia o meno non dovrebbe fare alcuna differenza».
Ma il video non ha fatto che fomentare le voci. Mendes menziona un messaggio ricevuto l’altro giorno da Taylor Swift. I due sono amici da quando lei lo aveva voluto con sé durante il suo tour per 1989, quando lui aveva sedici anni. Ricorda quei concerti con affetto – il modo in cui lei gli aveva mostrato come esibirsi in palazzetti e stadi, come parcheggiare a rombo i suoi camion e organizzare all’interno gigantesche grigliate, partite di calcio e sfide di bevute. («Io non bevevo. Per me solo acqua».)
La Swift gli ha mandato un video di loro due, per sapere se poteva postarlo – un breve filmato in cui cazzeggiano nel backstage del suo tour per Reputation e lei gli trucca il viso con il suo ombretto sfavillante. Lui le ha risposto di sì senza pensarci, ma poi la sera stessa si è svegliato con i sudori freddi. «Mi sono sentito male» spiega. «Mi sono detto: “Cazzo, perché glielo hai lasciato fare?”. Avevo appena gettato altra benzina sul fuoco».

Alla fine, dice, gli piace il lato di se stesso mostrato nel post di Swift. Da bambino, si metteva i brillantini sugli occhi per far ridere i genitori. È cresciuto con quindici cugine, «intrecciando capelli e pitturando unghie. Forse ho un lato un po’ più femminile – ma è così. Ecco perché sono diventato come sono».
Sta iniziando ad apprezzare il fatto di abbassare la guardia anche nella musica. In My Blood – la più grande hit del nuovo album, con oltre trecento milioni di ascolti su Spotify – si distingue per le chitarre spacca-arene e il ritornello in stile King of Leon, ma anche per il suo testo disperato:”Disteso sul pavimento del bagno, non sento nulla/Sono sopraffatto e insicuro, datemi qualcosa/Che possa prendere per placare lentamente la mia testa./Bevi qualcosa e ti sentirai meglio./Portala a casa e ti sentirai meglio./Continua a dirmi che va meglio./Succederà mai?”

Quando a marzo è uscita la canzone, Mendes era al cinema a vedere Tuo, Simon – una commedia drammatica su un adolescente introverso la cui identità sessuale viene scoperta dai compagni di classe. Durante la proiezione ha avuto un attacco di panico ed è dovuto uscire prima. Poi è andato su Twitter e ha trovato messaggi di gente che si immedesimava nel suo pezzo, dagli amici fino a una donna che l’aveva fatta ascoltare alla figlia in ospedale. È rimasto in piedi fino alle tre del mattino per leggere i commenti. «Sono crollato nella mia camera d’albergo» racconta. «Ho iniziato a piangere, e il mio pensiero era: “Ecco perché parli di cose che sono vere. E non chiederti mai più se è il caso di scrivere cose vere”».

Da qualche parte sopra l’Europa centrale, a bordo dell’Embraer 650E c’è un po’ di trambusto. Dalla toilette arriva una sequela di urla e rumori sordi. Una hostess bussa alla porta per vedere cosa sta succedendo, ma non è nulla di allarmante: è Mendes, rinchiusosi in bagno con la chitarra acustica per cercare di scrivere un pezzo. Lui recepisce il segnale e va a rilassarsi nel salottino del jet da quattordici passeggeri. «C’è una grande influenza di Taylor Swift» mi dice degli ultimi brani a cui sta lavorando. «Ne registro una versione grezza col telefono, e se mi ritrovo ad ascoltarla per più di una settimana allora significa che è buono».
Il jet privato è una novità per lui. Di solito viaggia con voli di linea, ma la sua etichetta ha speso migliaia di dollari per fargli toccare diversi paesi – Danimarca, Portogallo, Ungheria, Regno Unito, Canada, Stati Uniti e Giappone – per una serie di esibizioni in festival e programmi televisivi. Intanto, il suo staff se la sta godendo: Stirling, il responsabile del marketing, sta assaggiando il piatto di pesce, mentre Mendes e altri discutono su chi vincerebbe una sfida uno contro uno tra Michael Jordan e LeBron James. (Mendes sta con LeBron.)
Pochi anni fa, era il 2014, Mendes ha fatto il suo primo viaggio di lavoro, per un evento itinerante chiamato MAGCON, che permetteva ad adolescenti con un largo seguito sui social di incontrare i loro fan. Mendes ricorda l’invito ricevuto da una di quelle star, Cameron Dallas, un ragazzino fotogenico famoso per fare scherzi ai suoi famigliari: «Mi ha detto, ehi fratello, ti daremo duecento dollari per incontrare cinquecento ragazze».

All’epoca Mendes stava cominciando a guadagnare popolarità su Vine. Aveva tentato di caricare della musica su YouTube, con scarso successo, ma ora stava attirando decine di migliaia di like al giorno facendo cover di pezzi come As Long as You Love Me di Bieber, Hello di Adele e Don’t di Sheeran. I suoi video duravano soltanto sei secondi, sebbene alcuni fossero stati realizzati in sei ore. «Era una faticaccia, ma ne valeva davvero la pena» ricorda. «Le suonavo, e poi continuavo a rifarle finché non avevo sensazioni positive, che fosse per come sorridevo verso la videocamera o per il tono della mia voce».

Al primo evento di MAGCON, a Dallas, insieme al padre avevano incontrato tipi come Nash Grier, diventato famoso su Vine vandalizzando supermercati e ricoprendosi il volto di farina. La maggior parte delle celebrità dei social intratteneva i fan saltando dai trampolini o ballando molto male. Il fatto che Mendes suonasse la chitarra in maniera accettabile, era un notevole plus. «Eravamo degli animali da zoo. I fan ci fissavano e scattavano foto insieme a noi. Facevamo qualunque cosa ci chiedessero».
Mendes ritiene che al suo primo spettacolo ci fossero 500 persone. Nella città successiva erano 800, e in quella dopo 1300. Andrew Gertler, un giovane responsabile del marketing al Warner Music Group, chiese alla famiglia di permettergli di occuparsi di Shawn dopo aver assistito a una di quelle esibizioni. A distanza di pochi mesi, gli organizzò un incontro con David Massey, che dieci anni prima aveva scoperto i Jonas Brothers e che all’epoca era un dirigente della Universal. Nell’estate dopo la seconda superiore, Mendes era in tour con la Swift. «Ero andato solo a un paio di feste, e poi avevo smesso di andare a scuola» dice. «La festa successiva a cui ho partecipato è stata quella di Taylor Swift, e cazzo, c’erano Beyoncé e Jay-Z».

Nel 2016 Vine ha annunciato la chiusura della piattaforma, ma ormai Mendes aveva voltato pagina. «Quando ho cominciato a parlare con Shawn, una delle prime cose che gli ho detto è che avrebbe dovuto costruire qualcosa per sé» racconta Gertler. «Guardo al rapporto tra John Landau e Bruce Springsteen. Saremo capaci di fare tournée per oltre quarant’anni?». Si sono subito trovati d’accordo sul fatto che Mendes avrebbe avuto sempre con sé la chitarra, evidenziando che era lui a scrivere le sue canzoni.
Anche la sua personalità socievole e aperta che aveva fatto centro a MAGCON è stata d’aiuto. «Avrebbe potuto comportarsi da stronzetto, perché giovane e famoso» spiega Sheeran, diventato nel frattempo un amico e una figura di riferimento per Mendes. «Invece, è davvero uno dei tipi più affabili dell’industria musicale».
Il jet atterra a Budapest, e il telefono della sua guardia del corpo suona quasi all’istante. «Ci sono dei fan» dice. Shawn fa passare i suoi bagagli dai controlli della sicurezza e si esamina subito allo specchio, pettinandosi all’indietro con la mano. «You got the look» canta con un falsetto alla Prince. Dal parcheggio si alza un’ondata di grida. Centinaia di ragazzine con il telefono pronto, che scandiscono il suo nome e urlano: «Ti amo!».

Quando sono giù mi metto davanti allo specchio e comincio a scuotere la testa, tiro fuori la lingua e mi immagino in uno stadio pieno di gente che mi ama

Si fa immortalare con ognuna di loro, il sorriso stampato sul volto. Dopo essere riuscito a farsi largo, manda un ultimo bacio da lontano e sale su un altro van. «Ma qui sono tutte così belle?» dice. «Mi sono imbattuto nel paese più meraviglioso del mondo, o cosa? Hanno tutte splendidi occhi azzurri». Si infila gli auricolari e chiude gli occhi mentre passiamo davanti a edifici gotici di pietra. «È davvero bello qui» dice prima di tornare silenzioso per un po’.

Il giorno dopo, Mendes è seduto sul bracciolo di un divano giallo dentro una roulotte al Sziget Festival, e discute delle sue capacità culinarie. Eventi come questo – una festa di una settimana su un’isola in mezzo al Danubio, una sorta di Burning Man dell’Europa dell’Est – sono una priorità per lui se vuole allargare il suo pubblico, e questo include rapide interviste con la stampa locale che vuole sapere quali siano il suo attore preferito (Jake Gyllenhal), i suoi hobby («Adoro il fitness») e la sua soluzione al problema della povertà nel mondo.
In questo momento Mendes non è dell’umore giusto. Ha passato tutta la notte sentendosi depresso e stamattina la sua voce non era al massimo, e in più il reporter ungherese continua a tempestarlo con domande assurde. «In realtà, sono un pessimo cuoco» risponde. «È un’informazione non veritiera quella che ha».
E quindi cosa cucina? «Uova strapazzate. Non sono bravo a cucinare, l’ho appena detto».
Il cronista insiste. Come ti trovi a essere definito il nuovo Justin Bieber? «Adoro Justin» risponde con voce piatta.

Quando due ore più tardi comincia il suo show, è di nuovo al massimo del suo fascino. «Cantate!» grida mentre sale sul palco con una tenuta alla Springsteen, maglietta bianca e jeans stretti. In seguito, durante Youth – un inno accorato scritto dopo l’attentato al concerto di Ariana Grande a Manchester dello scorso anno – china la testa e strimpella una sola corda della sua chitarra acustica. Rimane su quella corda per un lungo momento, toccandola in maniera sempre più intensa. Sembra che si stia togliendo un peso.
Dopo il concerto, Mendes resta nella lounge del backstage sotto un albero adornato con luci natalizie. Mi dice di sentirsi giù, che il caldo e il viaggio lo hanno sfinito. «Hai presente quando ti trovi uno stato di infelicità e non avresti nessun motivo per esserlo? È una cosa che odio». Ha un trucco per quando si sente così: «Lo so, può sembrare ridicolo, ma è dimostrato che funzioni per scacciare la depressione. Mi metto davanti allo specchio vestito così, e comincio a scuotere la testa, tiro fuori la lingua e mi immagino in uno stadio pieno di gente che mi ama».

La sua voce viene sovrastata dal suono di un gruppo di persone che canta Tanti auguri a te a qualcuno nel backstage. Per un qualche motivo, la canzone lo tira su di morale. Osserva il mio registratore. «Puoi mandarmelo?» mi chiede. «Anche se il pezzo era brevissimo, perché penso fosse molto bello. Voglio inserirlo in una canzone. Tranquillo, il merito poi lo do a te!».
Arriva uno del suo staff con un vassoio di bicchierini di liquore ungherese per noi. «È forte?» domanda dopo averne preso uno. «Tipico da parte mia – “È forte?”». Se lo scola, prima di farlo scendere con una birra. «È forte». La band ritorna all’hotel, ma lui decide di restare nei paraggi. Kygo, il ventisettenne dj norvegese di tropical-house, è nella roulotte accanto. Stringono amicizia, e poco dopo si avventurano fuori dall’area del backstage e finiscono in un gigantesco tendone per i Vip, dove Mendes si mette dietro al bancone e inizia a servire drink, entrando subito nel personaggio: «Vodka Red bull? Arriva subito, fratello!» dice al primo cliente.

Non è un barista impeccabile – devono dirgli di mettere del ghiaccio in un vodka soda, e prepara una birra alla spina composta al 90% da schiuma, ordinando al tizio di berla in fretta prima che si dissolva. A un certo punto, si ferma per sfidare a braccio di ferro Kygo, che vince. Ma lì si fa una nuova amica: un’avvenente barista locale che interviene per mostrargli i trucchi del mestiere. Nel corso dell’ora successiva si scambiano occhiate e si avvicinano sempre di più, e a un certo punto è l’una del mattino e stanno correndo attraverso il pubblico per assistere all’esibizione dance dell’australiano Chet Faker. Salgono due rampe verso la console che domina il gigantesco palco illuminato, e poi ondeggiano seguendo la musica.

Intorno alle tre è ora di andare – Mendes e il suo gruppo hanno un volo alle nove del mattino. Immagino che tornerò a casa con lui, ma inaspettatamente una delle sue guardie del corpo mi scorta a un altro van, che parte a tutta velocità. Quando arrivo all’hotel, lui e la barista scendono da due vetture diverse e salgono nella sua camera.
Poche settimane dopo lo incontro a uno shooting fotografico per la copertina di Rolling Stone. Mi racconta che la mattina successiva a Budapest è stata dura – il liquore ungherese è diventato un tormentone tra il suo staff. «Non lo facevo da un bel po’» spiega con un sorriso. Alcuni fan hanno persino fatto speculazioni sulla barista, perché quella notte lui ha cominciato a seguirla su Instagram. In realtà, ci tiene ad aggiungere, non è andata così. Perché in realtà a farlo è stata lei stessa, appropriandosi del suo cellulare mentre lui era in bagno. Scuote la testa. «Una bella mossa, bisogna ammetterlo».

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