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Shaun Ryder: «Ho cominciato a drogarmi a causa del disturbo da deficit dell’attenzione»

«Ero un diverso e mi sentivo normale quando prendevo droghe», racconta il cantante di Happy Mondays e Black Grape. È tornato con 'Visits From Future Technology', un album "ritrovato" dopo dieci anni

Foto: Elspeth Moore

In pista da quarant’anni, tanti ne sono passati dalla fondazione degli Happy Mondays, Shaun Ryder è titolare di una produzione musicale tutto sommato contenuta. Cinque album in studio con la sua prima band, tre con i Black Grape e due da solista, compreso il nuovo Visits From Future Technology. Il motivo di questi numeri va ricercato anche nella sua intensa attività televisiva, iniziata nel 2010 con la partecipazione alla versione britannica dell’Isola dei famosi.

Cinquantanove anni, sei figli, di cui le ultime due nate dal matrimonio con l’attuale moglie Joanne, sposata nel 2010, nella sua autobiografia racconta di aver preso Lsd tutti i giorni per un anno, ecstasy a colazione e di aver fumato eroina per due giorni di fila prima di un live a Glastonbury. Del resto il suo album più famoso si intitola Pills ‘n’ Thrills and Bellyaches (Pillole, brividi e mal di pancia). Ma sarebbe sbagliato, come spesso è accaduto, ridurlo allo stereotipo del personaggio fuori, perché Shaun William George Ryder vive di un sincero amore per la musica, la propria e quella di chi lo ha ispirato. La sua voce, animata da una nota di entusiasmo, ci arriva dalla sua casa di Salford, l’agglomerato urbano della città metropolitana di Manchester dove a suo tempo si sono formati gli Happy Mondays.

È vero che il CD con le canzoni del tuo nuovo album era stato abbandonato per anni nella piega di uno dei cuscini del divano di casa tua e l’hai trovato facendo le pulizie durante il primo lockdown?
No, no: era uno scherzo. Non è andata così. Solo che John Robb, il giornalista che ha fondato il sito Louder Than War, si è inventato questa cosa che poi è stata inserita nel comunicato stampa e adesso tutti pensano che sia vera. Ma era solo una battuta: io le pulizie non le faccio.

E quindi come sono andate le cose?
In realtà il disco l’ho registrato dieci anni fa. Solo che poi ho partecipato all’Isola dei famosi, mi sono piazzato secondo e il mio manager di allora mi ha suggerito, una volta tornato a casa, di puntare sulla costruzione di un personaggio che andasse oltre il mio essere un cantante. Ho fatto quindi molta televisione, ho scritto Twisting My Melon, la mia autobiografia, e di musica mi sono occupato poco. Durante il lockdown Alan McGee, che ora è il mio manager, mi ha consigliato di recuperare le canzoni che avevo inciso. Ho riregistrato alcune cose con l’aiuto di Sunny Levine, con cui avevo lavorato per Uncle Dysfunktional, l’ultimo album degli Happy Mondays, e ora il disco è uscito. Lui è uno che ci sa fare. Figurati che ha fatto il ragazzo di bottega durante le registrazioni di Thriller, perché Quincy Jones è suo nonno. A proposito di album di un certo rilievo, prima che tu me lo chieda: nel comunicato c’è scritto anche che Visits From Future Technology è il mio Sgt. Pepper’s ma anche questa è una trovata di John Robb. L’unica cosa che ha in comune con Sgt. Pepper’s è che ci sono canzoni molto diverse tra loro, ma non mi pare sufficiente per dire che è il mio Sgt. Pepper’s.

A me sembra più una collezione di singoli. Che ne dici? Può andare come definizione?
Senz’altro non c’è un tema che lega le varie canzoni. Scrivo sempre di quello che mi incuriosisce al momento e, non avendo scritto questi brani nello stesso periodo, ci sono un sacco di sapori diversi. Mi piace pensare che siano come strisce di fumetti: ognuna ha un argomento diverso, oltre a personaggi e dialoghi diversi. Capisco che faccia un po’ impressione pensare che è un album registrato dieci anni fa, ma quando si invecchia il tempo vola. Cinque anni di scuola, quando ero un ragazzo, mi sembravano un’eternità. Adesso invece passano in un lampo, e devo dire che non sento affatto lontane da me le cose che ho scritto dieci anni fa.

Stai anche per pubblicare un nuovo libro, intitolato How to Be a Rockstar, come diventare rockstar. Non ti ci vedo a scrivere un manuale. Di cosa parla veramente?
Non sono una rockstar. Vengo dall’indie, ci mancherebbe altro. È solo un bel titolo, che ci siamo inventati prendendo spunto dal libro di Peter Crouch, che ha giocato nel Liverpool, nel Tottenham e in diverse altre squadre. Il suo libro si chiamava How to Be a Footballer e ovviamente non era un manuale su come diventare un calciatore, ma un libro divertentissimo sulle cose più assurde che ti possono succedere se vivi in quel mondo. Ecco, io ho cercato di fare un po’ la stessa cosa con il mondo della musica.

Quali sono le vere rockstar che ti hanno entusiasmato di più?
Sono quelle degli anni ’70, quelle di quand’ero un ragazzino. I primi che mi vengono in mente sono i Kinks, che quando ho iniziato a seguirli erano già in attività da un bel po’. La stessa cosa si può dire dei Doors e dei Led Zeppelin, ma se devo pensare a una singola immagine di rockstar allora ti dico David Bowie, che in quegli anni è stato più rockstar che mai.

C’è stata una band che ti piaceva così tanto da spingerti a formare la tua band?
Senz’altro i Joy Division. Peter Hook e Bernard Sumner erano di Salford, Ian Curtis e Stephen Morris di Macclesfield. Insomma, non erano solo una grande band, ma vedere che gente di queste parti faceva quei dischi pazzeschi è stato un bello stimolo. E poi incidevano per una casa discografica di Manchester, la Factory, che non a caso è stata anche quella degli Happy Mondays. Nella prima metà degli anni ’80 ci sono stati altri gruppi che mi hanno ispirato moltissimo: gli Echo and The Bunnymen, gli Orange Juice, i Prefab Sprout…

Davvero? Mi riesce difficile immaginare un gruppo più lontano dagli Happy Mondays dei Prefab Sprout. Eppure anche Tim Burgess dei Charlatans è un loro grande fan, e gli ha dedicato uno dei suoi listening parties su Twitter.
Beh, tutta la musica che ho fatto è molto diversa da quella dei Prefab Sprout. Però erano una band davvero cool, e Steve McQueen è un disco fantastico.

In questo momento sei in tour con i Black Grape per il venticinquesimo anniversario, diventato il ventiseiesimo a causa della pandemia, di It’s Great When You’re Straight… Yeah. Tra Black Grape, Happy Mondays e gli album solisti non corri certo il rischio di rimanere senza fare concerti. Quali sono i tuoi progetti per l’immediato futuro?
Con i Black Grape abbiamo date fino alla fine di settembre, e già due festival in programma per la prossima estate: il Creation Day a Wolverhampton e l’Heal Festival a Shrewsbury. Il primo è stato organizzato da Alan McGee (con i gruppi di cui è il manager e con altre band molto apprezzate come Echo and The Bunnymen, Ash, Sleeper e Wedding Present, nda). Ci saranno anche gli Happy Mondays, quindi per me sarà un doppio impegno, ma sono ovviamente contento, anche perché per quattro anni gli Happy Mondays saranno in letargo, quindi per un po’ di tempo sarà una delle ultime occasioni di vederli live. Abbiamo deciso così perché nei prossimi anni vorrei fare un nuovo album dei Black Grape e, se ci sarà lo spazio, magari dei concerti con il mio materiale da solista.

Nello scorso agosto hai anche cantato con i Gorillaz alla O2 di Londra.
Non ci credevo! Era da molto tempo che non suonavo con loro. I Gorillaz sono una grande famiglia, composta da tutti quelli che hanno partecipato ai loro album. Quando è morto Ike Turner, per esempio, mi è dispiaciuto molto. Damon Albarn è un genio! Da quello che ha fatto con i Blur ai The Good, The Bad And The Queen, agli album solisti… tira sempre fuori canzoni che mi piacciono.

Foto: Paul Husband

Hai fondato due band amate e popolari e hai appena pubblicato il tuo secondo album a tuo nome. Qual è stato finora il momento più bello della tua carriera?
Questo! È vero che tutti dicono così, quando fanno le interviste per il loro nuovo album. Ma sono sincero. In passato mi piaceva molto stare in tour, girare il mondo. Però adesso sono contento della vita che faccio. Ovviamente non posso decidere da solo con quale band suonare, dove e per quanto tempo stare in tour, però le cose si possono un minimo programmare e mi piace stare un po’ in giro e poi tornare a casa. Il lockdown è stato brutto per tutti, soprattutto per chi vive in un condominio e non aveva la possibilità di stare un po’ all’aperto, ma per me è stato un po’ come una vacanza: negli ultimi vent’anni non ero mai stato a casa per così tanto tempo.

Sei fra i pochi personaggi pubblici che non hanno paura di parlare dei propri problemi mentali. Di recente ne hanno parlato Caterina Barbieri dei Cat SFX e Mike Patton, che ha appena annullato i concerti di Faith No More e Mr. Bungle, citando esplicitamente ragioni di salute mentale. Anche tu sei stato molto chiaro riguardo a ciò di cui soffri: il disturbo da deficit dell’attenzione, che causa iperattività e difficoltà di attenzione e concentrazione e di controllo degli impulsi…
Mi è stato diagnosticato solo lo scorso anno e la stessa diagnosi è stata fatta a tre delle mie figlie. Direi che è una cosa ereditaria, no? Beh, se fossero cose di cui si parla di più, con l’intenzione di affrontare il problema, forse la diagnosi sarebbe arrivata prima. Il disturbo da deficit dell’attenzione spiega, tra le tante cose, il motivo per il quale ho iniziato a prendere droghe quando ero ancora molto giovane. Ecco, adesso ovviamente ci tengo tantissimo che le mie figlie vengano seguite bene da questo punto di vista, anche perché, per esempio, uno dei sintomi di questa sindrome è l’estrema fatica nel ricordare le cose. E come fai a farti un’istruzione se non ti ricordi niente? Io infatti un’istruzione non ce l’ho avuta. Ero diverso da tutti gli altri e mi sentivo normale quando prendevo droghe, non vorrei mai che la stessa cosa accadesse alle mie figlie.

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