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Sgalambro in motorino e la messa in latino: Angelo Privitera racconta Battiato

L'ironia, la generosità mai esibita, la voglia di sperimentare, la riservatezza: il racconto del musicista che ha collaborato per 36 anni con Battiato, che oggi avrebbe compiuto 79 anni

Foto: Giovanni Canitano, per gentile concessione di Angelo Privitera

Angelo Privitera è il musicista che vanta la più lunga collaborazione con Franco Battiato. Per ben 36 anni ha lavorato al fianco dell’artista siciliano occupandosi delle tastiere, di tutta la parte elettronica/computerizzata e della scrittura degli spartiti, dell’assistenza nella stesura dei brani, dei provini e degli arrangiamenti.

Questo intenso rapporto di lavoro che è sfociato in un’amicizia fraterna. Ha conosciuto Battiato da vicino e ne ha compreso pregi artistici e umani. Ne ha pianto la morte e si lamenta di chi specula sul suo nome. Nel frattempo si sta occupando di portare avanti il suo messaggio, nel pieno rispetto delle partiture, dei suoni e degli arrangiamenti originali.

Sei probabilmente il musicista che ha collaborato più a lungo con Battiato.
Abbiamo lavorato per quasi 36 anni e, ti dirò, la parte professionale era la ciliegina sulla torta. Condividevamo tutto, ero coinvolto in moltissimi aspetti della sua vita, nel quotidiano.

Com’è nata la collaborazione?
Ci siamo incontrati nel 1985 in occasione del 60esimo anniversario della fondazione del Liceo scientifico di Acireale che entrambi abbiamo frequentato, pur se a distanza di 20 anni. Io in quell’occasione suonavo. Ci siamo messi a parlare e abbiamo fatto amicizia. Sono andato spesso a trovarlo a Milano fino al suo ritorno in Sicilia nel 1988. Trovandosi oramai a pochi passi da dove vivevo, la collaborazione si è fatta sempre più assidua, fino a diventare quotidiana.

Venivi da studi al conservatorio?
Sì, ho studiato pianoforte e composizione e nel 1991 ho iniziato a insegnare in conservatorio, cosa che faccio tuttora. Ho alle spalle molte esibizioni con un repertorio classico, ma mi è sempre interessato tenere un piede anche nel pop. Credo che fosse questa dicotomia a interessare Franco, il fatto di conoscere bene entrambi i mondi. Chiaramente alla mia insegnante di pianoforte non potevo dire che suonavo anche musica leggera, per lei sarebbe stato un sacrilegio.

Foto per gentile concessione di Angelo Privitera

Immagino tu conoscessi la musica di Franco quando siete entrati in contatto.
Certo, credo che in una casa italiana su due sia presente una copia de La voce del padrone. Mi interessava anche il suo periodo sperimentale, il fatto che in quegli anni Franco facesse esattamente quello che voleva, fregandosene di tutto e tutti. Che lo ascoltassero in cento o in dieci a lui non interessava, suonava solo quello che gli piaceva. Raccontava spesso di quella volta in cui era stato invitato a un festival in Inghilterra e si era esibito con un armonium, a testa bassa, facendo dei vocalizzi per un quarto d’ora. Quando aveva alzato il capo se ne erano andati tutti, ma lui aveva continuato imperterrito con i suoi mantra.

Pensi che abbia cercato il successo?
Credo di sì, sapeva sempre ciò che voleva e faceva di tutto per ottenerlo. Poi ha portato delle innovazioni mai sentite prima a livello di musiche, di arrangiamenti e di testi. È riuscito a proporre canzoni che arrivavano a tutti e che, pur sembrando semplici, erano dotate di grandissima profondità.

Quale è stato il primo disco di Franco al quale hai collaborato?
Come un cammello in una grondaia, nel 1991, un album che oltre a contenere perle assolute come L’ombra della luce, presentava interpretazioni di Lieder classici splendidamente cantati da Franco.

Poi c’è stata Gilgamesh.
In quell’opera Franco ha utilizzato due pianoforti a coda Disklavier che suonavano da soli comandati da un computer, una cosa che in quegli anni non si era mai vista. La prima volta che arrivammo al Teatro dell’Opera di Roma lo presero per un extraterrestre. È sempre stato uno sperimentatore pazzesco, non dimentichiamoci che fu il primo in Italia ad usare un sintetizzatore VCS3.

Come componeva?
Soprattutto al computer, scriveva le partiture come un musicista classico. Del resto aveva studiato pianoforte, violino e composizione. Conosceva l’orchestrazione e il contrappunto, aveva una preparazione che solitamente i musicisti pop si sognano. Che si trattasse di canzoni o di opere, lui adottava un metodo di composizione classico. Siccome ci svegliavamo entrambi prestissimo, già alle 7.30 del mattino eravamo pronti a lavorare fianco a fianco, con la tecnologia che man mano che avanzava, facilitava e offriva sempre nuovi spunti per i brani.

Era molto attento alla tecnologia musicale?
Doveva essere sempre il primo, appena usciva qualcosa di nuovo lui immediatamente lo comprava, vedi il Disklavier, o il sistema Pro Tools per registrare. All’epoca avevamo un ingegnere del suono, Benedict Fenner, che ci segnalava le innovazioni fresche dall’Inghilterra, molto prima che arrivassero in Italia.

Hai anche assistito all’incontro tra Franco e Manlio Sgalambro.
Si conobbero nel 1994 durante la presentazione di un libro del poeta Angelo Scandurra. Questi conosceva sia Battiato che Sgalambro, da lì nacque la forte amicizia tra i due che portò anzitutto alla scrittura del libretto de Il cavaliere dell’intelletto, l’unica opera di Franco che non è stata pubblicata. Rispetto

Come mai?
È stato più un caso che altro, Il cavaliere dell’intelletto rispetto ad altre opere che si sono fermate alla prima, ha avuto la possibilità di essere portata in tour. Questo perché non c’erano grandi apparati scenici. Una volta terminato il tour Franco venne assorbito da altri progetti e perse interesse, oramai era una cosa fatta e finita e con la mente lui era già oltre, come spesso succedeva.

Anche la Messa Arcaica ebbe un bel numero di repliche.
Tantissime. In luoghi che spesso non erano stati concessi a nessuno come il monastero di Santa Chiara o Santa Croce a Firenze. Eppure era un lavoro tutt’altro che semplice. Ancora oggi mi stupisce il fatto che la prima, presentata nel 1993 nella basilica di San Francesco ad Assisi, venne trasmessa in diretta da Videomusic, un’emittente legata al pop che trasmetteva una messa in latino, cosa impensabile oggi.

Si dice che Franco nel privato fosse molto diverso da come appariva in pubblico, più ironico e scherzoso: confermi?
Assolutamente, era una persona di grande ironia. Sul palco però aveva diverse modalità: in certi tour non diceva una parola durante il concerto, in altri invece si lanciava a raccontare aneddoti e barzellette, sempre con la battuta pronta. Ti racconto questa: io ho una certa manualità e un giorno non arrivava più acqua potabile in casa di Franco. Gli dico: «Smontiamo l’allaccio esterno in strada e vediamo se il filtro si è otturato», e così facemmo, io e lui. Mentre facciamo fuoruscire tanta acqua passa Lucio Dalla, che avendo casa accanto a Franco era solito venire a trovarlo. Lucio: «Ma che state facendo?». Franco: «La doccia!».

Hai conosciuto anche sua madre, alla quale Battiato era molto legato?
Una persona splendida. Lei viveva in casa di Franco insieme alla sorella, la zia Clementina, mi voleva un gran bene e, nonostante non uscisse spesso, nel 1993 venne al mio matrimonio mentre Franco mi fece da testimone. Nel momento della dipartita della mamma, nel 1994, ricordo che eravamo in partenza per Cagliari; ci chiamarono con l’altoparlante e ci diedero la notizia in privato. Franco nutriva un grande amore per lei, ma credeva fermamente nella reincarnazione e questo lo aiutò a superare quel momento difficile.

Un’altra cosa che esce spesso fuori quando si parla di Franco è la sua generosità.
Non hai idea della sua gentilezza e disponibilità. Tante cose poi le faceva in silenzio, andava spessissimo a trovare persone in difficoltà e io lo accompagnavo. Ricordo ad esempio che ci contattò l’amica della mamma di un ragazzo che a soli 23 anni era gravemente malato. Franco gli fece una sorpresa e andò a trovarlo in ospedale. Io gestivo il sito e ci arrivavano tantissime richieste, chiaramente non potevamo esaudirle tutte, però ogni volta che era possibile si andava in diversi luoghi, in tanti ospedali, e poi tornavamo a casa. Tutto in segreto, senza far sapere nulla.

È vero che non vendeva i suoi quadri, ma li regalava?
Certo, preferiva donarli agli amici. Una volta una persona gli diede un assegno in bianco per l’acquisto della tela con la rosa di Fleur, la somma avrebbe dovuta aggiungerla Franco, quella che voleva. Lui rifiutò, non gli interessava.

Cosa hai pensato quando decise di affidare i testi a Manlio Sgalambro?
Fu una sua scelta che chiaramente rispettai, dico però una cosa: i testi scritti da Franco a mio avviso sono inarrivabili. L’ombra della luce e E ti vengo a cercare, prendendone solo due a caso, sono cose che vanno oltre la poesia e l’immaginazione. Detto questo Sgalambro era geniale, e anche lui molto ironico. Un giorno ci trovavamo in Marocco, a Marrakech, per un concerto, e in giro per la città Sgalambro si stancò. Franco serenamente fermò un tizio col motorino, fece salire il filosofo dietro, come una volta facevano le donne sulle lambrette, per farlo accompagnare in hotel. Manlio non si scompose.

Franco amava anche contornarsi di giovani musicisti, ricordo gli FSC o le MAB.
Eccome, gli piaceva dare spazio a dei suoni nuovi, a qualcosa di fresco che solo giovani musicisti avrebbero potuto portare. Creava un amalgama tra l’irruenza giovanile, il piano, l’orchestra e la mia parte elettronica. Poi questi ragazzi hanno fatto le loro belle strade, come Davide Ferrario degli FSC che ha avuto modo di mettere a disposizione la sua bravura come chitarrista per tanti artisti italiani.

Foto per gentile concessione di Angelo Privitera

Alcune canzoni di Apriti Sesamo nel 2012 sembrano un commiato dal mondo prima del tempo, cosa ne pensi?
Sinceramente non ho avuto questa impressione. Poi è chiaro che le sue canzoni si prestano a diverse interpretazioni, quindi ci sta anche che qualcuno ci abbia visto le cose che tu dici.

A un certo punto succede qualcosa, dalla caduta sul palco a Bari Franco non è più lo stesso.
In realtà si era ripreso bene da quell’incidente, abbiamo continuato con i tour, tra cui quello con la Royal Philharmonic Orchestra e diversi concerti in Spagna. Purtroppo nel 2017 c’è stata la seconda caduta a casa, e quella sì ha dato una sferzata negativa alla sua salute. In tutto questo gli sono sempre rimasto vicino – è proprio il caso di dirlo: fino all’ultimo respiro – fino a quel mattino del 18 maggio 2021, il giorno della sua dipartita fisica.

I fan a un certo punto erano disorientati, non si sapeva più nulla del suo stato di salute, alcuni addirittura si sono organizzati per trovarsi fuori dalla sua abitazione di Milo per pregarlo di farsi vedere.
In certi casi bisognerebbe avere rispetto, un rispetto che sempre più si sta perdendo. Se vuoi bene a una persona devi comprenderla, anche il fan più accanito avrebbe dovuto capirlo. Solo io e coloro che gli sono stati vicino possono sapere ciò che abbiamo provato, le lacrime versate. Non puoi immaginare il dolore, è stato come perdere un fratello, tra noi c’era un’unione che andava oltre la collaborazione artistica, eravamo una famiglia. Lui, tra l’altro, era molto affezionato anche a mia madre, impazziva per la sua pizza.

Dopo la sua morte non hai parlato, eppure di cose da dire ne avresti avute.
È ancora una volta questione di rispetto. Sono state rilasciate tante, troppe dichiarazioni, tanto, troppo è stato detto. Ho preferito vivere il mio dolore in assoluto silenzio. Ci ho passato mezza vita a stretto contatto, so bene quanto abbiamo vissuto insieme e non sentivo il bisogno di aggiungere altro, volevo rimanere solo con un dolore che non scomparirà mai, che mi porterò per sempre dentro.

Chiaramente hai suonato al concerto-tributo di Verona. Tra gli artisti invitati c’era Fabio Cinti con il quale giri i teatri riproponendo i brani di Battiato.
Ecco, ascoltando Fabio capisci che lui ha compreso nel profondo il messaggio artistico e spirituale di Franco. Se chiudi gli occhi ti sembra di sentire lui, ma non perché sia la sua copia ma perché è entrato dentro quelle canzoni facendole proprie e allo stesso tempo rispettandone in pieno lo spirito. Ci vuole tanta bravura e la giusta sensibilità.

Da dove nasce l’idea di questo spettacolo e dove condurrà?
Sono state alcune persone vicine a Franco e a me, come anche la mia compagna Orietta, che mi hanno spronato a metterlo in piedi per continuare a portare a conoscenza della gente la sua arte. Così ho superato la mia ritrosia e in punta di piedi mi sono rimesso a girare presentando i brani con i suoni e gli arrangiamenti originali. Il tutto insieme a Fabio Cinti e al Nuovo Quartetto Italiano, anche loro protagonisti di tanti tour. Non vogliamo assolutamente aggiungere o togliere una nota da quegli arrangiamenti, con umiltà continuiamo a portare avanti il messaggio di Franco con il linguaggio originario. Il prossimo progetto sarà la riproposizione integrale di Caffè de la Paix, a 30 anni dalla sua pubblicazione, un disco che solo a nominare certi brani come Sui giardini della preesistenza, Haiku o Delenda Carthago mi vengono i brividi. Sarà presentato in anteprima a Catania a maggio.

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