Sesso, droga e jazz’n’roll: intervista a Richard Sinclair | Rolling Stone Italia
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Sesso, droga e jazz’n’roll: intervista a Richard Sinclair

Dall’ukulele di plastica a 4 anni al trullo in cui vive oggi in Puglia, passando per certe ragazze in minigonna e le palline di fumo nascoste sotto le assi del pavimento, le avventure del musicista della scena di Canterbury, tra Wilde Flowers, Caravan, Hatfield and the North, Camel

Sesso, droga e jazz’n’roll: intervista a Richard Sinclair

I Caravan nel 1970. Da sinistra, Richard Coughlan, Richard Sinclair, Pye Hastings, Dave Sinclair

Foto: TPLP/Getty Images

Di Richard Sinclair è inevitabile ricordare le superbe abilità bassistiche, ma sopratutto la voce, vero marchio di fabbrica (insieme a quella di Robert Wyatt) di quella frangia della musica rock detta Canterbury sound. È una voce profonda, calda, malinconica, sottilmente ironica, inglese fino al midollo, perfettamente aderente al suono dai colori pastello che caratterizza molti album della scuola di Canterbury. La sua inconfondibile impronta sonora è bene udibile nei lavori dei Caravan, degli Hatfield and the North e dei Camel, in autentici capisaldi quali In The Land of Grey and Pink e The Rotters’ Club.

Vive da anni anni in Italia. Lo abbiamo raggiunto via Zoom in Puglia per farci raccontare un po’ di storie che lo riguardano.

Qual è stato il tuo primo approccio alla musica?
Mio padre Dick era un noto musicista di Canterbury che conosceva e interpretava a meraviglia tutte le canzoni popolari. Sapeva suonare di tutto: contrabbasso, batteria, ukulele, chitarra, banjo. Fin dal primo momento in cui sono arrivato sul pianeta Terra sono stato circondato dalla musica. Il mio primo strumento è stato un ukulele di plastica, un regalo per Natale quando avevo 4 anni.

Cosa ti piaceva ascoltare?
Musica pop, quando ero più grandicello il mio gruppo preferito erano i Beatles. Impazzivo per loro, al punto che nel 1964 decisi di formare una mia band.

I Wilde Flowers, fondamentali per la scena di Canterbury.
Eccome. Io ero il bambino della band, di quattro anni più giovane di Robert Wyatt, Kevin Ayers, Hugh e Brian Hopper. Era come essere un primino con un gruppo di beatnik del quinto anno che avevano molte amiche interessanti (ride).

Come mai non avete pubblicato un album?
Abbiamo fatto il primo concerto al Bear and Key Pub di Whistable, era pieno di ragazze in minigonna. Da lì molti altri, insieme alla registrazione di alcune canzoni in uno studio locale. Ma eravamo degli sconosciuti, nessuna casa discografica era interessata e ciò significava nessun album. Il bello è venuto dopo, quando noi Wilde Flowers abbiamo preso strade diverse formando Soft Machine, Caravan, eccetera.

Nei Wilde Flowers suonavi la chitarra, come sei passato al basso?
I Soft Machine avevano fatto il loro primo album ed erano partiti in tour negli Stati Uniti con Jimi Hendrix, lasciando a casa parte della loro strumentazione. Il basso di Hugh mi attraeva.

Da lì ai Caravan il passo è breve.
Ho affidato il ruolo di chitarrista ritmico a Pye Hastings, che avevo incontrato a un nostro concerto. Sua sorella Jane era la ragazza di Kevin, una bellissima top model di Mayfair. Pye e io abbiamo fondato i Caravan con mio cugino Dave Sinclair e Richard Coughlan. Ci siamo trasferiti in una villetta a schiera nella cittadina balneare di Whitstable, a pochi chilometri da Canterbury e ci siamo lanciati in sei mesi di musica divertente. Nel frattempo un amico di Londra era stato arrestato e abbiamo nascosto la sua enorme scorta di palline marocchine e nepalesi sotto le assi del pavimento. Chiaramente le abbiamo usate per realizzare il primo album, una fantasia stravagante di Canterbury con anelli di fumo (ride).

Come vi dividevate le parti vocali tu e Pye nei Caravan?
Semplice, ognuno cantava le sue canzoni e ogni tanto armonizzavamo insieme. Ed era bello, perché dava più spessore ai brani.

Le vostre canzoni erano spesso legate insieme a formare delle suite.
Ci piaceva fare questi collage, un po’ come i Beatles nella seconda facciata di Abbey Road.

Chi era il Richard a cui avete dedicato For Richard su If I Could Do It All Over Again, I’d Do It All Over You?
Ero io. Il pezzo era basato su un mio riff che poi abbiamo incluso in una composizione di Dave.

A fine anni ’60 seguivi la scena prog che stava emergendo?
Ascoltavo molte band, una per tutte i Beatles, come ti ho già detto. Ma nessuno dei gruppi era conosciuto come progressive all’epoca, il termine è arrivato molto più tardi. In ogni caso i miei musicisti preferiti sono sempre stati gli amici con cui ho suonato. Grazie a Pye ho ascoltato molti grandi artisti jazz. Aveva un registratore Ferrograph a bobina e abbiamo passato molte ore insieme ad ascoltare musica meravigliosa.

È corretto dire che i Caravan facevano una sorta di pop “esteso”?
Credo di sì, nelle nostre canzoni trovavano posto soprattutto influenze jazz, ma erano pur sempre canzoni.

Avete anticipato uno stile tra pop e jazz.
Il jazz ci piaceva tantissimo, così come si piaceva il pop. Abbiamo fatto in modo di mettere nelle canzoni degli accordi di derivazione jazz. È sempre una buona idea puntare in alto.

Nine Feet Underground (Medley)

In the Land of Grey and Pink contiene la lunga suite Nine Feet Underground, da molti considerata il vostro capolavoro assoluto. Se non sbaglio, è stata composta da tuo cugino David.
Sì, l’aveva composta molto tempo prima che la registrassimo. Le nostre canzoni contenevano un sacco di idee, ma c’era un limite: la durata del lato di un vinile. Nine Feet Underground copriva tutta una facciata, ma sarebbe potuta anche essere più lunga se avessimo avuto più minuti a disposizione, tante erano le idee.

Di quel disco io adoro Winter Wine.
Quella parla del mio sogno di viaggiare nel tempo.

Cos’è la terra del grigio e del rosa?
Rappresentava i colori magici del cielo sopra il luogo in cui provavamo, una chiesa nella campagna vicino a Canterbury.

Nonostante il buon momento che stavate vivendo, dopo Waterloo Lily hai lasciato i Caravan. Perché?
All’epoca dell’uscita di In the Land of Grey And Pink la band non trascorreva più molto tempo insieme come nei primi giorni. Pye e io avevamo messo su famiglia, vivevamo intorno a Canterbury in case separate. Dave lasciò il gruppo per suonare con il suo amico chitarrista John Murphy e noi avevamo bisogno di un tastierista. Ogni tanto mi divertivo a suonare jazz a Londra, lì ho conosciuto i fratelli Miller, il chitarrista Phil e il pianista Steve il cui stile ci è sembrato perfetto per noi. Lo abbiamo invitato a unirsi ai Caravan, abbiamo fatto alcuni concerti in Europa e inciso Waterloo Lily nel quale abbiamo invitato anche Phil Miller e il sassofonista Lol Coxhill. Trovarmi a suonare con musicisti come loro mi ha fatto venire voglia di esplorare nuovi territori, così ho deciso di lasciare i Caravan per formare gli Hatfield and the North con Phil, Steve e il batterista Pip Pyle.

Un bel coraggio, la nave Caravan stava veleggiando bene.
Avevo voglia di sperimentare. Mi sono trasferito da Canterbury a Londra con la famiglia per vivere con Pip in un grande appartamento su Circular Road, a South London.

Che ricordi hai degli Hatfield?
Progressive romantico, sesso, droga e jazz’n’roll. Una famiglia di amici che facevano musica con birra, vino e qualche viaggio con l’LSD. Quando Steve Miller se n’è andato ho proposto a mio cugino di entrare nella band. Durante i tre mesi di prove con lui abbiamo invitato Richard Branson della Virgin ad ascoltarci e ciò ha portato al contratto. In quel periodo abbiamo anche fatto uno show televisivo francese con Robert Wyatt, ma purtroppo Dave a un certo punto ci ha lasciati, così Pip Pyle ha chiesto all’organista degli Egg Dave Stewart se fosse interessato a un’audizione. Dave si è presentato con molte delle musiche che avremmo utilizzato nei nostri due dischi, scritte in due giorni. Chiaramente non potevamo non tirarlo dentro.

The Rotters’ Club è per me il capolavoro massimo della scuola di Canterbury.
Il titolo è stato usato anche per un famoso libro del mio amico Jonathan Coe (in italiano La banda dei brocchi, nda), una storia dei suoi giorni di scuola, quando ascoltava gli inizi di quello che oggi è conosciuto come prog. Il libro è stato tradotto in 26 lingue e ovviamente non posso che consigliarne caldamente la lettura (ride).

Nel 1974 hai suonato su Rock Bottom di Robert Wyatt, altro album fondamentale.
È stata una grande esperienza in studio. Nonostante Robert fosse da poco tempo sulla sedia a rotelle l’atmosfera era rilassata e creativa ai massimi livelli. C’era anche Nick Mason che ha prodotto questo meraviglioso collage di magia musicale. Io ho passato due giorni a suonare il basso sovraincidendo su tre tracce già registrate. Ricordo ancora Little Red Riding Hood Hit the Road che a un certo punto cominciava ad andare all’indietro.

Che opinione hai di Robert?
Per me è il Miles Davis della scena di Canterbury. Per Rock Bottom si è preso la libertà di coinvolgere tutti i suoi musicisti preferiti. Non ti dava particolari indicazioni su cosa suonare, metteva il pezzo e diceva «just play».

Come mai l’avventura Hatfield and the North è finita solo dopo due album?
Dopo Rotters’ Club ho lasciato la band. Troppa musica scritta su pezzi di carta piuttosto che composta insieme. E poi non c’era abbastanza supporto da parte della Virgin, niente soldi per sostenere i bisogni della mia famiglia. Quindi sono partito con nuove iniziative, come quella di andare in Spagna per realizzare un album solista che purtroppo non è mai uscito. La maggior parte delle canzoni le ho usate nei miei album dei primi anni ’90, Richard Sinclair’s Caravan of Dreams e R.S.V.P.

Dopo i Caravan e gli Hatflied arriva il tuo coinvolgimento con i Camel.
Nel 1976 mi chiesero di diventare cantante e bassista per il loro album Rain Dances e il successivo tour. Sono rimasto con loro fino al ’79 dopo aver fatto ulteriori tournée in Europa, Stati Uniti e Giappone. Ma non mi divertivo più, Andy Latimer era molto concentrato sulle cose che faceva e noi dovevamo seguirlo, un modus operandi che non faceva per me.

Nel tempo hai sentito echi della scena di Canterbury in qualche artista pop degli ultimi anni?
Credo che Prefab Sprout, They Might Be Giants e Blur abbiano ascoltato i nostri dischi.

Cosa aveva di così caratteristico il vostro suono?
Quando abbiamo iniziato non ci piacevano tutti quei ragazzi inglesi che cercavano di cantare come gli americani. Volevamo essere noi stessi, dire qualcosa di nostro, di personale. Robert Wyatt, ad esempio, è molto bravo a usare l’inglese puro, senza alcuna inflessione americana. Poi c’è sempre stato molto humor nella nostra e nella sua musica. Definirei il suo senso dell’umorismo una forma di sarcasmo umanitario.

Come mai da qualche anno ti sei trasferito in Italia?
Mi sono innamorato dell’Italia fin dalla mia prima visita e ho avuto occasione di stabilirmi qui a seguito di un tour nel 1992 con i Caravan of Dreams, con i quali ho realizzato un album dal vivo intitolato An Evening of Magic. Ero stato invitato in Puglia e una volta lì ho capito che quello era il posto dove volevo stare. Ora vivo in un trullo nella campagna vicino a Martina Franca. Finalmente pace, bel tempo, buon cibo e vino. Cosa chiedere di meglio?

Ha collaborato Antonio De Sarno.