Serena Menarini ci racconta la colonna sonora di ‘Shukran’ | Rolling Stone Italia
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Serena Menarini ci racconta la colonna sonora di ‘Shukran’

La musicista ci spiega come ha lavorato alla colonna sonora dell'opera prima di Pietro Malegori tra intonazione a 432 Hz e minimalismo espressivo

Serena Menarini ci racconta la colonna sonora di ‘Shukran’

Alessandro Branca, Pietro Malegori e Serena Menarini

Foto: Lodovico Colli di Felizzano Photography

Shukran, opera prima di Pietro Malegori tratta dal romanzo del giornalista Giovanni Terzi, è un film che invita ad osservare, a non giudicare i suoi silenzi, i suoi avvenimenti, le scelte che vengono percorse. Taher, interpretato dall’attore iraniano Shahab Hosseini, è un medico che per un destino nefasto si troverà a salvare il figlio di colui che ha ucciso suo fratello durante un attentato, così da rispettare le ultime volontà del fratello. In questa scia di dramma ellenico, in cui il destino detta la realtà, non sappiamo se ciò porterà ugualmente Mohamed a continuare il suo percorso di radicalizzazione, ma nonostante tutto il fine di salvarlo sarà sempre messo al primo posto.

Abbiamo avuto il piacere di parlarne con la sua compositrice e musicista Serena Menarini che alla sua prima opera come compositrice per il cinema crea una linea musicale onomatopeica che si fonde con l’emotività degli avvenimenti risuonando con la stessa potenza dell’equilibrio dell’universo.

Come nasce il tuo connubio artistico con Pietro Malegori? Siete entrambi alla vostra opera prima, quali sono stati gli elementi che vi hanno avvicinato per portare una scena un film così ricco di simbolismi e con un chiaro e deciso messaggio?
All’incirca quattro anni fa ho conosciuto casualmente in Sardegna una giovane ragazza che si stava avvicinando al mondo del cinema come produttrice, Guia Invernizzi, e ho sentito sin da subito una forte affinità con lei soprattutto per il contesto formativo che entrambe avevamo frequentato. Per questo qualche mese dopo ci siamo incontrate a Milano e mi ha fatto leggere la prima sceneggiatura di Shukran. In quel momento ero alla ricerca di un film che potesse effettivamente rappresentare la mia essenza musicale e farlo in un lungometraggio fortemente d’autore, basato su una storia vera, era qualcosa che sentivo mio. Leggendo la sceneggiatura me ne sono completamente innamorata tanto da autoimpormi nel progetto (ride). Sino a quel momento non avevo ancora conosciuto Pietro Malegori, quindi quando ci siamo incontrati per la prima volta abbiamo cercato subito di studiarci. È stato sicuramente un processo molto complesso in quanto avevo davanti un regista con un talento veramente estremo. La mia prima proposta si strutturava in 5 composizioni di cui ne sono state selezionate 3, e successivamente mi sono recata sul set per respirare il sapore della direzione del film. Arrivati nella fase del montaggio l’idea del regista era quella di avere una colonna sonora asettica, quindi legata più ai silenzi, ai suoni circostanti, rispetto a quanto effettivamente volevo realizzare. Ma posso dire nel che tempo siamo riusciti a trovare la giusta alchimia, un punto di congiunzione.

Infatti ho notato che sia un film che si basa molto su i silenzi dei suoi protagonisti legato prettamente alla condizione politica e sociale della Siria. Com’è stato misurarti in qualcosa di totalmente nuovo per te?
Hai centrato il punto. Dovevamo trovare una visone sonora che unisse la mia idea compositiva con la sua cifra stilistica, e questo “conflitto” ha fatto si che arrivassimo al giusto compromesso. Non volevamo creare una musica che fosse didascalica, di matrice orientale, ma doveva avere un sapore ben preciso. Quindi utilizzare più linguaggi così da arrivare ad una commistione sonora tra elementi orientali e classici. Sono fondamenti che ritroviamo perfettamente in composizioni come Carnation, presente nell’ultima sequenza del film che simula letteralmente il battito del cuore di Mohamed nel momento in cui viene operato, così come nell’unico brano cantato all’interno del film interpretato dalla protagonista Camélia Giordana. La canzone è un inno siriano per la libertà, selezionato da Pietro Malegori, che abbiamo scelto di inserire appositamente in un momento tragico come un attacco chimico, proprio per sensibilizzare qualcosa che non dovrebbe mai accadere nel mondo. La nostra scelta sin dall’inizio, come ti dicevo, è stata quella di non legarci strettamente al linguaggio orientale, questo perché non volevamo schierarci rispetto ad una visione più o meno giusta o sbagliata della realtà islamica, ma raccontare una storia che potesse ricordare a tutti gli spettatori che siamo tutti essere umani aldilà della religione.

In V13 di Emmanuel Carrère viene raccontato dettagliatamente il processo del Bataclan dando spazio a tutte le voci che componevano la vicenda, i familiari delle vittime così come coloro che avevano compiuto e organizzato gli attentati di Parigi. Credo che allo stesso tempo Shukran mostrando come Mohamed proseguirà il suo percorso di radicalizzazione dopo essere stato salvato da Taher non voglia effettivamente giudicare ma rapportarsi a ciò che la realtà rappresenta.
Assolutamente. Pensa che inizialmente c’era l’intenzione di eliminare la sequenza finale, ma ci siamo battuti sino alla fine per mantenere integro il film così come l’avevamo pensato, proprio perché stavamo raccontando una storia vera. È qualcosa che è avvenuto realmente ed è bene che la verità non si manipoli. Secondo me non dovremmo troppo giudicare ciò che non conosciamo ma riflettere sulla realtà che ci circonda. Il problema è che abbiamo scelto di scandire la nostra esistenza attraverso il tempo e le informazioni che oggi ci arrivano ci fanno ricordare qualcosa di fondamentalmente sbagliato o modificato. Il padre nostro, ad esempio, era scritto in aramaico ed aveva valenza per tutte le religioni in quanto erano unite da una sola voce e l’ho musicato rendendolo un canto quasi primordiale che fa i conti con le vibrazioni dell’anima. Il tempo fuori dalla terra non esiste. Attraverso la musica che compongo cerco di raccontare proprio questo.

Da qualche anno insieme all’equipe di scienziati del CNR di Bologna sto portando avanti uno studio basato specificatamente sull’utilizzo delle frequenze, in particolar modo sul valore sonoro che si raggiunge a 432 Hz, il suono dell’universo, e la musica che ho composto per questo film si basa prettamente su questo studi, sul raggiungere la perfetta armonia tra composizione e animo umano. Tutto quello che noi viviamo è energia, anche quella che non riusciamo a vedere ma possiamo unicamente percepire; quindi poter intonare il tutto a 432 Hz ti permette di dare equilibrio a ciò che componi, perché si tratta dell’equilibrio della terra. Non a caso è la stessa frequenza che si ritrova all’interno degli spazi naturali. Grazie alla tecnologia data dalla telecamera quantistica si può vedere ad occhio nudo come ogni elemento del paesaggio naturale abbia una propria vibrazione e sia connesso attraverso una determinata scia energetica e con la musica che compongo cerco di raggiungere lo stesso obbiettivo, codificando un’unica frequenza all’interno di coloro che ascoltano. Lo stesso Mozart se pur inconsapevolmente componeva a 432 Hz, proprio perché sentiva un equilibrio armonioso unico, fuori dal comune.

Penso che basandoti su questa linea musicale sia la tua visione che quella del regista fosse proprio quella di non giudicare, ma di guidare lo spettatore a farsi la propria idea rispetto a quello che vede e osserva.
Volevamo appositamente lasciare un senso di speranza. L’evoluzione dell’essere umano è sbagliare e capire, e conseguentemente migliorare e migliorarsi, e se non approfondisci tutto ciò è inutile vivere. L’energia scaturita dal perenne scontro tra il bene e il male crea conseguentemente vita. Nella sequenza finale vediamo appositamente che nonostante Mohamed sia stato salvato continua il suo processo di integralismo ma allo stesso tempo ciò non esclude che in futuro lui possa ricordare cosa gli sia successo e salvare conseguentemente un’altra persona. Questo è il senso, pensare sempre di fare del bene senza utilizzare il proprio ego. Noi stiamo cercando solo di raccontare una storia per dare speranza, per portare lo spettatore a comprendere che Mohamed è stato salvato a prescindere da tutto, e che c’è sempre una conseguenza che può portare ad un risultato, al destino che spetta ad ognuno di noi. Il nostro mezzo all’interno del film è stato proprio quello di cercare di sensibilizzare il pubblico facendolo entrare direttamente in quella situazione e di comprenderla senza preconcetti.

C’è un leitmotiv che congiunge sin dal principio Taher e Mohamed in questo nefasto destino che li attende?
Ho cercato di trovare un motivo sonoro che potesse evolversi anche in base alle immagini che venivano narrate, prendendo spunto anche da come lo stesso Morricone lavorava in merito all’utilizzo del leitmotiv. Sia all’inizio che alla fine del film ascolti la stessa composizione che si conforma in base allo stato emotivo delle immagini. Ci tenevo che fosse una musica che accompagnasse l’immagine e non che si sovrapponesse, quindi è stato un lavoro prettamente progressivo. Nella scena del funerale del fratello di Taher, ad esempio, c’è un’unica composizione che segue pedissequamente l’evolversi dello stato emotivo, quasi come un mantra. È un crescente emotivo, non strumentale, proprio perché volevo solamente affidarmi alle immagini.

In che modo la tua composizione entra nella sfera privata di Taher? Nel mostrare effettivamente la sua backstory.
Volevo ridare attraverso un lavoro di sottrazione musicale, quindi principalmente minimale, la sensazione emotiva che il protagonista sta effettivamente vivendo. Taher è un uomo che comunica unicamente attraverso i suoi occhi e la musica si comporta allo stesso modo. Volevo essere alla sua altezza. Quello che tu vedi è il sacrifico di una persona che dedica la sua vita nel salvare gli altri nonostante la situazione che vive, durante la guerra civile in Siria. È una persona dilaniata dal dolore. Ha vissuto dei traumi nel suo passato che hanno accentuato ancor di più oggi le sue scelte. Il modo in cui i suoi movimenti sono scanditi dall’utilizzo di un violino tremante, tendono a mettere in risalto come la vita possa sfuggire via ineluttabilmente. C’è una forte unione tra la drammaticità della musica e la condizione di un uomo che ha in mano la vita di molte persone. È un uomo che sente il dolore quotidianamente.

Penso che la figura di Taher sia fortemente attuale anche oggi considerando lo stato di molti medici che a Gaza devono operare in situazioni di forte difficoltà e sono costretti a scegliere chi salvare.
Infatti ho chiesto che questo film possa essere visionato anche nelle scuole proprio per il suo fine. Non è un film didascalico, raccontiamo unicamente la verità di ciò che accade portando lo spettatore a farsi una sua idea. Spero che questo verrà premiato. Sono veramente onorata di aver lavorato ad un progetto così importante insieme al mio compagno artistico di sempre Alessandro Branca difendendo le nostre idee e il modo in cui volevamo raccontare una storia così forte. Quello che volevo era proprio questo, riuscire a realizzare un grande lavoro in un contesto molto stimolante e soprattutto con un regista che secondo me nei prossimi anni diventerà veramente uno dei più grandi.

Pensi che la tua idea di composizione sarà sempre più in linea ad una composizione minimale oppure andrai verso un’orchestrazione imponente?
Credo che non si tratti prettamente di composizione, ma di realizzare qualcosa che sia idoneo al progetto. Sicuramente mi piacerebbe produrre qualcosa che sia legato molto di più al modo epico che sento fortemente mio, come ad esempio Il Trono di Spade, ma alla fine quello che per me più conta è comporre musica per progetti che hanno un certo tipo di portata, ma non di business o notorietà ma di anima, progetti che toccano l’animo delle persone come in questo caso. Provenendo dal mondo delle pubblicità, amo comporre musica di ogni genere senza preconcentti, quello che è importante è comprendere la musica più idonea al progetto e al fine per cui si viene coinvolti. Quello che sicuramente spero è che la mia musica venga ascoltato e compresa, e soprattutto che sia composta con il cuore, legando la tua anima al progetto.

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