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See You Soon Maestro, e grazie per tutta la musica: Antonio Pappano saluta l’Italia

Questa sera a Spoleto va in scena l'ultimo concerto di uno dei più grandi direttori al mondo alla guida dell'orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Nel suo futuro c'è Londra. Chiacchierata con un gigante

Foto: Fabio Lovino/Contrasto

Domenica 9 luglio, in piazza Duomo a Spoleto, all’ora in cui il sole indora la chiesa e il tramonto scintilla sugli strumenti, va in scena l’ultimo concerto di Antonio Pappano, da 18 anni direttore dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

I quattro Lieder di Gustav Malher risuoneranno nella conduzione del Maestro anglo-italiano, sannito-londinese, ma anche americano del Connecticut e futuro direttore della London Symphony Orchestra.
Un addio che Tony Pappano preferisce considerare un keep in touch per gli 80 orchestrali che ha guidato dal 2005 e che lo amano come un padre, lo conoscono come un fratello ormai e sanno già quante camicie dovrà cambiare durante il concerto, per la passione che trasuda col corpo, col gesto e con un’anima che girovaga dalla nascita intorno al mondo. Quella di un artista vagabondo, migrante, il musicista globetrotter Tony Pappano.

Pensateci quando lo ascoltate: Tony è nato a Epping, nella contea di Essex, UK, il 30 dicembre 1959. I suoi genitori, Carmela Maria e Pasquale, migrati da Castelfranco in Miscano, patria del caciocavallo, alla Gran Bretagna, lavoravano presso una famiglia ricca: la madre cuoca, il padre cameriere.

«Sono arrivati lì senza sapere una sola parola d’inglese, hanno lavorato duro e mi hanno insegnato questo: mai risparmiarsi, l’etica del lavoro viene prima di tutto. Io sono figlio di migranti, questo lo porto addosso con grande fierezza».

Il padre Pasquale era – appunto – cameriere e cuoco, ma anche tenore. I soldi gli servivano per la famiglia e per studiare canto e, appena è stato possibile, per insegnare a ragazzini inglesi, mentre il suo primogenito imparava a suonare il pianoforte da autodidatta, per accompagnarlo nelle sue lezioni, dai 10 anni in poi. C’era un pianoforte a Londra, in Old Pye Street, nella casa popolare infine assegnata alla famiglia Pappano, e alle elementari «ci insegnavano le note e a mettere le mani sulla tastiera. A sei anni e mezzo ho cominciato a studiare pianoforte, non con grande trasporto. Devo confessarlo: al pianoforte preferivo il pallone».

L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Foto: Flavio Ianniello

Un ragazzo normale, non un «enfant prodige» ci tiene a sottolineare il musicista, con un fratello minore con il quale bisticciare e andare a scuola a Victoria, quando comprarono la prima casa per 7500 sterline, a Clapham, sull’altra sponda del Tamigi. Una vita da migranti, step by step, fino a quando una tragedia personale induce i genitori a spostarsi di nuovo, dall’altra parte dell’Atlantico, precisamente a Bridgeport, Connecticut.

«Partimmo il 30 giugno 1973, a seguito della morte prematura di una mia sorellina. Negli anni in cui ho vissuto a Bridgeport, dai 13 ai 21 circa, ero molto occupato con la musica: suonavo l’organo in chiesa, il pianoforte in un ristorante. Con altri strumentisti facevo recital, accompagnavo cantanti, suonavo per un coro, continuavo a lavorare con mio padre».

Musica e coraggio, questa è l’eredità che Antonio Pappano si porta in valigia sempre, insieme agli spartiti, allo studio e alle composizioni cui cominciò a dedicarsi dai 17 anni: «I miei genitori mi hanno trasmesso una grande ispirazione per il coraggio di aver scelto, 15 anni dopo, di fare un altro spostamento negli USA. Decisioni enormi, questo definisce la famiglia. Io non avrei mai avuto quel coraggio che hanno avuto loro, forse ce l’ho nella musica».

Al pianoforte, studiando canto, opera e lirica, capace di leggere qualsiasi spartito, suonando senza sosta a Bridgeport, dove gli italiani anglofoni venivano considerati “esotici”, il giovane Pappano lavora e produce, fino a farsi notare dal celebre e visionario direttore d’orchestra Daniel Barenboim, di cui diventa assistente per il Festival di Bayreuth. «Il contatto con lui è stato fondamentale per la mia crescita musicale e per passare a un altro livello di lavoro. Mi sentivo fortunato vicino a un titano del genere, e ho imparato moltissimo».

Il decollo era nell’aria, il volo continua ancora.
Pappano ha diretto le più prestigiose orchestre del mondo, dalla New York City Opera al Teatro alla Scala fino alla Royal Opera House, dove si appassiona al repertorio lirico e diventa il “boss” più giovane della storia di Covent Garden, spaziando dai classici a West Side Story, sempre con la stessa grinta, sempre con quel sorriso disponibile e quello slang cosmopolita che i suoi orchestrali italiani hanno raccolto nel “Pappabolario”.

«Pushiamo di più! Non è un balletico di danza, finishiamo a un’ora decente!», sono questi e altri neologismi anglo-sanniti, che l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il coro di voci bianche che ha ascoltato per questi 18 anni, hanno messo nella valigia da portarsi a Londra, insieme alla luce di Roma: «Mi fa impazzire, è magica. Mi mancherà».

Pensando a Santa Cecilia, il Maestro elabora il distacco ragionando su quanto ha imparato, da loro, i suoi musicisti, le sue voci: «L’investimento con Santa Cecilia è stato il primo in questo ambito sinfonico e non lirico. Ho diretto tantissima opera, quella era la mia grande esperienza in ambito sinfonico. Tante cose le ho conosciute qui per la prima volta, anche il gesto musicale. Come fare musica sinfonica, quando non c’è palco né cantanti, come spiegarla al pubblico? Questo mi chiedevo… Mi sono dovuto guardare allo specchio e scavare ancora di più per trovare quello che c’è in me e nella musica, non avendo più la stampella dello spettacolo».

Un rivoluzionario, dicono gli orchestrali, salutandolo, celebrandolo e ricordando tutte le volte che a fine tournée ha offerto cene, aperitivi, bicchierate a tutti, circa un centinaio di persone. E tutte le volte che ha salutato, chiacchierato, elogiato le maestranze del teatro, come fanno le persone perbene.
Quelle che non hanno bisogno di ricordare il proprio ruolo, per sentirselo addosso.

«Londra? Beh, ho debuttato alla London Symphony Orchestra nel 1996, ora torno da chief conductor, sono molto orgoglioso perché i musicisti inglesi vengono selezionati con moltissimi filtri e in base alla personalità artistica. Sono tutti dei fuoriclasse, ma non si comportano da star. Hanno uno scatto diverso perché sono abituati ad arrangiarsi. La vera differenza con l’Italia? I finanziamenti: in Inghilterra lo Stato non dà soldi alla cultura, in Italia sì».

Antonio Pappano all’Auditorium Parco della Musica. Foto: Musacchio & Ianniello

Al Festival dei Due Mondi di Spoleto il concerto finale è annunciato con tutti gli onori e di sicuro il Maestro, prima di salire sul palco, raccoglierà pensieri ed emozioni, aspettative e responsabilità, nel rito della vestizione. Come fa sempre: «Prima del concerto mi concentro, riesco a farlo nel rito della vestizione. È banale, ma è un rituale. Il momento in cui mi metto le scarpe e la camicia da concerto, già lì sono entrato in un patto con l’orchestra, di reciproca generosità emotiva. E poi c’è il patto molto importante con il pubblico, loro pagano il biglietto, noi ce lo dobbiamo meritare. È una cosa quasi sacra. Io penso a questo prima di un concerto. E ai tanti dettagli che mi girano in testa».

Piace a tutti Tony Pappano, proprio per questa semplice serietà nel fare le cose sempre come se fosse la prima e l’ultima volta, nel coraggio di ricordare il rispetto reciproco e nella volontà di eseguire la musica nel miglior modo possibile.
Ma piace soprattutto a sua moglie Pamela Bullock, pianista e vocal coach, con cui è sposato dal 1993 e che ascolta ancora con molta attenzione e amore: «È una donna di poche parole, io capisco le sue due parole, ne capisco il volume. Noi due generalmente dopo il concerto andiamo subito a casa. Non abbiamo figli, stiamo cercando di diventare maturi».

L’ironia di Sir Pappano va a braccetto con il suo british low profile che non ama citare il privilegio di aver condotto perfino il concerto dell’incoronazione di re Carlo all’Abbazia di Westminster, «Quella volta ho messo addirittura il frac», ma si libera di un sano entusiasmo pop ricordando la scomparsa di Tina Turner: «Tina Turner io la adoro! Lei è proprio un simbolo di tutto il bene dello show business, lei è energia travolgente e di qualità. È un motore! Io la idolizzo».

E noi idolizziamo te, Emerito Maestro Pappano.
See You Soon.

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