Se vi piacciono Robert Glasper e Makaya McCraven, apprezzerete gli Studio Murena | Rolling Stone Italia
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Se vi piacciono Robert Glasper e Makaya McCraven, apprezzerete gli Studio Murena

Una buona notizia: in Italia c'è chi mescola jazz e rap ispirandosi agli innovatori americani, alla scena britannica, all'elettronica della Warp. «Viviamo per suonare», dicono loro. È un ottimo inizio

Se vi piacciono Robert Glasper e Makaya McCraven, apprezzerete gli Studio Murena

Studio Murena

Foto: Maltese/Pompilli/Paoli

Ormai il rap è tutto uguale, il jazz è morto, le band non sopravvivranno alla pandemia. Mentre c’è chi passa il tempo ad azzardare previsioni funeste, il mondo della musica va avanti e sforna anche novità interessanti. Una di queste risponde al nome di Studio Murena, gruppo formato da cinque musicisti tra i 24 e i 27 anni provenienti dal Conservatorio di Milano – Amedeo Nan (chitarra elettrica), Maurizio Gazzola (basso elettrico), Matteo Castiglioni (tastiere e synth), Marco Falcon (batteria), Giovanni Ferrazzi (elettronica, sampler) –, e da Carma, MC già nella NH3 Crew, gruppo di amici che ha iniziato a rappare nel piazzale dell’Esselunga di San Donato Milanese.

Questa la formazione attuale, che segna un cambio di rotta rispetto alla direzione presa dal gruppo nel 2018 con il primo album Crunchy Bites. Se là il discorso era maggiormente incentrato sull’elettronica e le tracce erano tutte strumentali, nel 2020 l’ingresso in line-up di tre nuovi componenti e di Carma si è tradotto nell’apertura a uno spettro più variegato di suoni e nella pubblicazione di quattro singoli – tra cui Eclissi, uscito oggi – che tracciano una strada originale nell’ambito del panorama italiano: sintetizzando, si potrebbe dire che gli Studio Murena fanno jazz-rap, ma è un jazz-rap ricco di contaminazioni fusion, funk, prog rock e altro ancora.

«Veniamo dal conservatorio, ma alcuni di noi si sono specializzati in jazz, altri in elettronica», spiega Castiglioni. «È lì che abbiamo cominciato a scrivere musica, mentre il coinvolgimento di Carma è avvenuto tramite gli ambienti del LUMe – Laboratorio Universitario Metropolitano (collettivo che dal 2015 occupa uno stabile in vicolo Santa Caterina a Milano, nda) e i Deaf Kaki Chumpy, big band con cui lui collaborava. Alla base di tutto l’idea di una proposta strumentale elaborata, non necessariamente complessa, ma fatta di arrangiamenti particolari e sonorità ricercate, arricchita dalla voce di un MC e da testi conscious». Ossia le barre di Lorenzo Carminati alias Carma, rapper che si rifà alla vecchia scuola di Colle der Fomento e Sangue Misto, pur non rinunciando alle rime spezzate della trap di oggi, «perché un pizzico di freschezza ci vuole e noi non ci scagliamo contro nessun genere, ci preme solo sperimentare e creare ambienti sonori diversi». Di qui l’alternarsi di ritmi energici e atmosfere più morbide, di testi che tratteggiano scenari urbani e altri in cui si narrano vicende personali e sentimentali, vedi il racconto intimo messo in scena da Marmo o la descrizione, in Password, di quest’epoca tecnologica come “era dell’ipnosi” in cui l’apparenza vince sulla sostanza.

«Marmo si ispira a una poesia racchiusa in A Love Supreme di John Coltrane legata al periodo in cui era appena uscito da una fase buia di tossicodipendenza», precisano gli Studio Murena. «Mentre per il nuovo singolo Eclissi, che è un featuring col sassofonista Riccardo Sala, siamo partiti dal concetto di frase ellittica con l’intento di portare nel testo un’idea musicale, una sorta di loop. La canzone è essenzialmente una presa di coscienza del fatto che siamo immersi in una realtà ciclica, con un inizio e una fine, di cui non viviamo che un momento: l’eclisse è un accadimento che si ripete all’interno di un ciclo, ma che in realtà, avvenendo sempre in momenti diversi, non è mai uguale a se stesso».

La traccia è d’impatto e farà parte di un disco che la band milanese pubblicherà il prossimo gennaio per Costello’s Records (distribuzione The Orchard) e di cui si potrà sentire un’anticipazione sabato 24 ottobre nell’ambito del festival JazzMi. «Conterrà undici tracce e uscirà in più formati, inclusi cassetta e vinile», dice Matteo. «Con Federico Protti stiamo studiando una grafica che abbia un senso compiuto, una composizione di frame selezionati da un suo progetto fotografico realizzato girando per luoghi abbandonati a caccia di archivi di materiali». E se le piattaforme di streaming impongono un lavoro promozionale che passa innanzitutto dai singoli, l’obiettivo finale è quello di un album da ascoltare nella sua interezza, come una storia in musica. Tradotto: parliamo di una band giovane, ma intenzionata a sfuggire alle dinamiche scatenate dalla digitalizzazione spinta degli ultimi anni e che ambisce a tenere alta l’asticella, stimolata da ascolti non scontati.

Foto: Maltese/Pompilli/Paoli

«Ci rifacciamo al filone americano di musica strumentale fusa con l’hip hop che vede in Robert Glasper un capostipite; lui ha collaborato anche con Mos Def, rapper che già negli anni ’90 impreziosiva i suoi dischi con molte parti strumentali. In più seguiamo sia la scena jazz britannica e quindi i gruppi della Brownswood Recording, Alfa Mist, Kamaal Williams, Black Focus, sia quella di Chicago, da Makaya McCraven a Jeff Parker. Poi c’è Giovanni, che si occupa della parte elettronica ed è legato alla Warp Records e a nomi come Aphex Twin e Autechre. Mentre poliritmie e suggestioni etniche arrivano da Marco, il nostro batterista peruviano, che ha suonato nell’Orchestra dei Popoli con musicisti da tutto il mondo».

A breve i sei, che si sono già conquistati la stima di Ghemon e di Alessio Bertallot, caricheranno su Spotify delle playlist individuali per condividere i propri gusti, un modo per far conoscere i vari componenti di un collettivo musicale che aspira a dare una scossa al mondo del jazz italiano. «Che non è un mondo chiuso come si pensa, il materiale per dar vita a un filone contemporaneo c’è, magari con gente come Tommaso Cappellato e Stefano Zambon». Sotto questo profilo il nome Studio Murena, benché enigmatico, è di per sé un programma: «Ci affascina che la murena sia un animale predatore che vive nascosto osservando ciò che lo circonda in attesa di attaccare nel momento migliore», afferma Castiglioni. E pazienza se la pandemia renderà l’impresa più ardua: «Viviamo per suonare».

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