Se fossero tutti come Mudimbi, i produttori sarebbero disoccupati | Rolling Stone Italia
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Se fossero tutti come Mudimbi, i produttori sarebbero disoccupati

Le basi se le fa da solo, con la voce. E i testi pieni d'ironia e sarcasmo lo rendono diverso dagli altri rapper italiani. Qui racconta il secondo album 'Miguel' e regala l'anteprima del video di 'Parlami'

Se fossero tutti come Mudimbi, i produttori sarebbero disoccupati

Mudimbi

Foto: Roberto Graziano Moro

Era il 2018 quando Mudimbi, dopo aver passato le selezioni di Sarà Sanremo, partecipava alla 68ª edizione del festival, nella categoria Nuove Proposte, aggiudicandosi il terzo posto. Un ottimo risultato, specie se si considera che fino al 2016 Mudimbi lavorava in officina per mantenersi e la musica era solo un hobby. Dopo gli esordi nel 2012 e i primi sprazzi di visibilità nel 2013 grazie al singolo Supercalifrigida, è il 2017 l’anno in cui la sua carriera svolta: palchi importanti, come quello dell’Alcatraz di Milano, in apertura a Samuel; la partecipazione al Redbull Culture Clash, sempre a Milano; l’uscita di Michel, il suo album d’esordio. L’artista, nato a San Benedetto e di origini congolesi, sembrava sulla rampa di lancio per raggiungere il successo nazionalpopolare. Dal 2018 ad oggi, però, il nulla.

La ristampa di Michel successiva al Festival di Sanremo è l’ultimo progetto discografico firmato Mudimbi a vedere la luce. Seguono due anni di silenzio assoluto in cui è lontano dalla scena e dal pubblico. Il 2020 è l’anno del ritorno: un singolo alla volta prende forma Miguel, il suo secondo album, pubblicato oggi, 6 novembre. «Sono fermo da così tanto che quasi non ricordo più come ci si sente a pubblicare un album in un periodo normale ed è quasi una fortuna, visto il momento storico in cui sta uscendo questo nuovo disco. Il periodo di stop in sé l’ho vissuto da dio, non mi preoccupavo di come sarebbe stato cercare di rimettermi in gioco con la musica, perché ero proprio concentrato su altro», racconta, parlando dei mesi in cui nessuno, a parte i suoi amici più stretti, sapeva cosa stesse facendo. «Non è stata una pausa del tipo “aspetto che mi torni l’ispirazione”, ero proprio intrigato da altro, ad esempio il mondo della radio o da altri mille progetti, ma con mia grande sorpresa, alla fine mi sono ritrovato a scrivere di nuovo».

Puoi togliere Mudimbi dalla musica, quindi, ma non la musica da Mudimbi. Non è così facile, però, rientrare nei meccanismi dell’industria, soprattutto in un periodo frenetico come quello attuale; anche con la pandemia in corso, la mole di uscite continua infatti ad essere piuttosto sostenuta. «Nel momento in cui ho ripreso, ho percepito lo stacco, e mi sono reso conto che questi due anni forse sono come gli anni dei cani, ogni anno di stop vale sette, sembra sia stato fermo una vita; non solo per l’industria, ma anche per i miei stessi fan», racconta sorridendo. «È un rischio che ho corso consapevolmente però, non avevo alternative, avevo proprio bisogno di staccare»: nessun rimpianto quindi, anzi. «Staccandomi da tutto e da tutti ho ritrovato la mia isola felice nella scrittura, nella musica, nel rap».

Foto: Roberto Graziano Moro

È proprio in quell’isola felice che è nato Miguel. Un progetto di 8 tracce dalla spiccata personalità, difficile da catalogare, creato in assoluta libertà. «Fare musica senza pressioni e aspettative è molto liberatorio. Realizzare Miguel mi ha riportato alle stesse sensazioni che provavo quando facevo musica per passione, perché per lavoro facevo altro. Questa spensieratezza si sta un po’ perdendo ed è un peccato, perché l’ispirazione non arriva a comando», aggiunge, non senza un filo di amarezza.

Fare musica senza aspettative non significa, però, fare musica senza impegno, senza ricerca stilistica, senza sperimentazione. Il processo creativo di Miguel si caratterizza per un aspetto molto particolare: tutte le strumentali del disco sono nate dalla voce di Mudimbi, che ha creato i suoni sui quali si è poi trovato a cantare. «Quando provi a spiegare la tua idea per una traccia ad un produttore, c’è sempre il rischio di venire in parte fraintesi, oltre alla naturale voglia del produttore stesso di intervenire sull’idea. Volevo evitare tutto questo, ecco perché ho lavorato con la mia voce. È anche una questione di rapidità: volevo poter buttar giù la bozza di una canzone nel momento stesso in cui mi veniva l’idea, com’è successo con Je suis désolé, che è nata dopo 3 o 4 ore».

È un approccio fai da te che ricorda un po’ quello di un esordiente, di chi è costretto a fare di necessità virtù, creando tutto da solo; in questo caso, però, si tratta di una precisa scelta artistica. In un secondo momento, Mudimbi ha coinvolto i Fire Flowerz, produttori con cui risuonare e riarrangiare tutti i provini e le bozze. Con sua grande sorpresa, «i ragazzi mi hanno detto “teniamo il 100% della tua voce, andremo solo a integrare con altri elementi”». Il risultato è un disco che spazia fra moltissimi generi e influenze, con un sound difficile da inquadrare, che muta più volte all’interno delle singole tracce. I cambi di stile non riguardano solo le strumentali, ma anche i testi che si muovono su più livelli. C’è l’ironia, c’è il sarcasmo, c’è la provocazione (come nell’apertura di Ballo); ci sono le riflessioni personali e introspettive, come in Parlami (qui sotto l’anteprima del video prodotto da Banana, la casa di produzione video di Mudimbi); c’è l’emotività schietta e genuina di O.M.P., una lettera scritta da Mudimbi a un figlio immaginario. «Il disco segue quello che può essere l’andamento dell’umore in una giornata qualunque, a volte sale e a volte scende: lo trovo indispensabile, soprattutto in un disco così compatto, dove non ci sono riempitivi».

È difficile definire Miguel un disco rap, così come definire Mudimbi un rapper. «Ovviamente uso il rap, le rime, le metriche, gli incastri… ma mi sento anche altro, sia a livelli di contenuti che di background; un po’ come Caparezza, con tutte le differenze del caso». Non si tratta, però, di un rifiuto nei confronti del genere o dei suoi esponenti. «Il mio rapporto con la scena rap si è un po’ perso, ma perché questi due anni per me sono stati proprio d’isolamento. Ci sono però molte persone che stimo, che ho avuto modo di conoscere e con cui mi trovo bene, come ad esempio Ernia». E non è detto che in futuro non arrivino collaborazioni con questo mondo, o più in generale con altri artisti. Se Miguel è privo di featuring perché «sentivo l’esigenza di dar vita alla mia idea nella maniera più pura possibile», oggi «mi sta intrigando l’idea del confronto con un altro artista, me ne sto rendendo conto grazie al lavoro da autore».

«Non mi pento di nulla, cerco di guardare al presente e al futuro con uno spirito diverso, uno spirito formato anche e soprattutto dalle scelte fatte in passato». Mudimbi non ha rimpianti. Anzi, è convinto di aver fatto le scelte giuste, perché «chiunque, in un momento della propria vita in cui compie una scelta, la compie perché è la ritiene giusta». E per Mudimbi la scelta giusta, nel 2020, si chiama Miguel. Un album che è una scommessa, ma anche un nuovo capitolo da affrontare con una rinnovata consapevolezza, quella di voler continuare a fare musica.

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