Scienza, spiritualità, carboidrati: Stabber e Gaia raccontano ‘Fé’ | Rolling Stone Italia
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Scienza, spiritualità, carboidrati: Stabber e Gaia raccontano ‘Fé’

I due hanno pubblicato un singolo dal sapore internazionale per provare a scardinare alcune cattive abitudini dell'industria musicale: «In Italia c’è una metodologia bovina del lavoro, non si sa cosa fare con chi vuole sperimentare»

Scienza, spiritualità, carboidrati: Stabber e Gaia raccontano ‘Fé’

Stabber e Gaia

Foto: Edward Scheller

Da una parte la scienza, dall’altra la spiritualità. È questo forse il modo più semplice per raccontare due personalità così vicine ma distanti come Stabber, uno dei produttori italiani più stimati, e Gaia, popstar italo-brasiliana dall’ambizione internazionale. Assieme i due si sono trovati, pranzando e discutendo animatamente dei grandi temi della vita, in , singolo che anticipa il primo disco solista di Stabber che ad oggi però non ha ancora una data di uscita.

Li abbiamo raggiunti via Zoom, tra Italia e Brasile, per parlare di questo primo incontro. Sulla carta c’era il rischio di non aver molto da dire, se non parlare in riferimento a questo unico brano (e il bellissimo clip correlato diretto dai video-artisti Francesco D’Abbraccio e Karol Sudolski), ma la conversazione ci è esplosa tra le mani portandoci a confrontarci attivamente su temi molto delicati legati all’industria musicale. Alla fine il compito delle belle canzoni, quelle che hanno una personalità, una direzione e un’ambizione, è questo: provocare una conversazione, un pensiero, una riflessione. , nei suoi tre minuti scarsi, tra un’avvincente produzione (che intercetta una serie di contemporaneità come Rosalía, Arca, Sophie), e una grande personalità vocale al microfono, riesce proprio in questo intento.

Come nasce questa collaborazione? Come vi siete trovati?
Stabber: Sono sempre attento a ciò che esce in Italia e non è imbarazzante.
Gaia: Ci va subito giù leggero Stabberone.
Stabber: Bisogna essere onesti a un certo punto. Quando è uscito il disco di Gaia è stata una ventata di freschezza. Così le ho scritto su Instagram.
Gaia: È questo l’approccio ai giorni nostri!

E come siete passati da Instagram allo studio?
Gaia: Prima di entrare in studio siamo andati a pranzo. Ero appena tornata dal Brasile dove avevo passato due settimane in Amazzonia a far l’ayahuasca. Io sono una persona estremamente spirituale, il mio ambiente è il metafisico, mentre Stabber arriva da un background totalmente scientifico. Ci siamo così trovati a parlare di questioni esistenzialiste, una sorta di scienza vs spiritualità. Codici differenti, ma punti di vista simili. Così siamo arrivati in studio con una carica genuina, uno scambio reale a cui tengo ancora molto.
Stabber: Spero sempre di riuscire a inserire dei contenuti in quello che faccio e quel pranzo era già stato un contenuto importante. Inizialmente dovevamo fare un’altra cosa, ma poi quello che ci eravamo detti ci ha portato altrove, a dire qualcosa di vero. È venuto fuori di getto e le cose che escono di getto hanno una differente umanità.
Gaia: Il brano è stato scritto durante il pranzo, in pratica.

Leggendo il testo direi un pranzo bello intenso.
Gaia: Un’overdose di carboidrati! E nel mentre ci siamo siamo chiesti: cosa significa esistere, avere fede, pensare positivo per la propria vita? Siamo circondati da tanta merda, cibo mediatico che ha delle vibrazioni molto basse. Quindi il pezzo inizia con delle frasi un po’ forti: “Cuori giudicanti dentro le chiese / patriarcato che si sieda ancora a capo tavola / filtri che distanziano dalla reale bellezza / figli fatti nella noia della quarantena / non sono cresciuta per essere così distante da me / non sono morta per risorgere la stessa di prima / dov’è la tua fede adesso? È già caduto questo velo di Maya o sei tu che non vuoi vedere?”. Eravamo in ascolto e la canzone ha fatto il suo flusso.

STABBER, Gaia - fé

Spesso in Italia è difficile trovare un testo con un certo peso all’interno del pop. C’è come una certa riluttanza dell’industria a pensare che si possa anche far bella musica pop impegnata: non credete?
Stabber: Ogni volta che ho un artista in studio gli dico «se hai qualcosa da dire che non diresti nei tuoi dischi, questo è il momento». Di roba stereotipata in giro ce n’è fin troppa, anche di brani motivazionali.  Sta cosa che tutti devono dire che tutto è meraviglioso mi sembra retorica: la vita non è così, è abbastanza dura, non è tutto-tutto bello. Bisogna anche poter dire le cose in maniera più realistica, dritta, onesta. Come ha fatto Gaia qui con quelle frasi che sono dati di fatto inappellabili. Per me poi la musica migliore ha sempre un po’ di presa male.
Gaia: Stabber reagisce in questo modo al brano mentre io ci vedo molta positività. Rendere reali certe cose ti dà la possibilità di affrontarle. Io sono in un momento della vita dove sento la necessità di buttar fuori certe cose. In passato ho fatto alcune scelte di vita in cui mi sono infilata in contesti in cui non c’entravo un cazzo ma perché mi ha sempre un po’ incuriosito ciò che è in antitesi con me. Mi son trovata in contesti in cui non venivo propriamente capita. Ora mi sento di poter essere un attimo più esplicita anche ad affrontare emozioni per me complesse da portar in musica, come la tristezza.

Che questo brano così denso nasca dopo un pranzo, un incontro umano reale, mi fa pensare a questo: c’è una sorta di bulimia, all’interno della musica italiana, di sessioni tra autori, musicisti, producer che si incontrano solo in studio, senza rapporti umani, con il tentativo di scrivere una hit. Qual è il vostro pensiero sulla questione?
Stabber: C’è un’abitudine a lavorare a catena di montaggio, che ci può anche stare eh, ma dipende dal fine. Ci sono due blocchi e due fini: i soldi e la musica. Io ho scelto la parte musicale. Vivere facendo musica è un privilegio. Così ho imparato a relazionarmi solo con persone che hanno la mia stessa vibrazione, come direbbe Gaia. Non ho piacere ad andare a fare sessione con una persona con cui non ho mai parlato o mangiato e magari scoprire a metà lavoro che ha ideologie completamente differenti o chissà che altro. Io voglio condividere sta cosa magnifica della musica con persone che stimo. Bisogna conoscersi, so che non è l’abitudine generale, ma io preferisco così.
Gaia: Io sono un po’ differente, lavoro anche con gente che non conosco, senza problemi: a volte poi va bene, altre no. Bisogna saper portare le cose nella direzione giusta, stare  in ascolto, non avere pregiudizi.
Stabber: Ci sono persone che magari non hanno ancora raggiunto nulla e che magari si presentano in studio in sei, con due autori, un topliner, due produttori. Così diventa un meccanismo troppo complesso. Aver un rapporto diretto con le persone scardina questa struttura.
Gaia: Condivido, ma il problema non è di questi, il problema è il sistema. La musica oggi, come tutto, è troppo veloce e velocizzata, bulimica. A volte se lavori con cento persone esce una figata, a volte no. Quello che conta è l’intenzione, sempre.
Stabber: Il rischio evidente di aver troppa gente a lavorare su una singola traccia è la spersonalizzazione, un problema grosso dell’apparato industriale della musica.
Gaia: È vero, deve esserci un’idea o una personalità che guidi. Non che domini, che guidi. A volte non c’è tutta sta cura nella musica perché non è quello il fine.

Dopo questo vostro scambio mi viene facile immaginarvi a quel pranzo. Tornando a : il pezzo ha una sua personalità sonora ed estetica decisa, ma anche la scelta dell’utilizzo del portoghese va controcorrente per il mercato italiano.
Stabber: Gliel’ho proposto io perché sapevo poteva essere un modo di stare tra noi due senza tutto quel mondo di autori vari attorno: nessuno così avrebbe potuto dire la sua sul testo. E poi l’altra ragione è perché suona troppo bene, Gaia in portoghese spacca. Infine c’è la speranza che questa cosa parta da qui per andare verso l’esterno come succede in tutto il mondo. Non capisco perché gli italiani debbano per forza essere confinati e guardare al proprio mercato. In Italia c’è questa diffidenza per tutto ciò che non è in italiano e non si capisce.

E tu Gaia ritrovi questa libertà quando usi il portoghese?
Gaia: In realtà sto riapprociandomi all’italiano e mi sta gasando perché è più difficile riuscire a trovare la stessa sfacciataggine che ho con il portoghese. A me piace scrivere in una lingua differente da quella del produttore; così c’è meno giudizio e non si creano quelle dinamiche dove tutti dalla la propria opinione. Quindi scrivo in italiano con gli stranieri e in portoghese con gli italiani.

Molto bello utilizzare altre lingue, soprattutto quelle meno presenti nel nostro immaginario, ma farlo in Italia immagino non sia proprio semplice. Soprattutto ora che le classifiche sono dominate da un’estrema italianità.
Gaia: In Italia facciamo fatica ad accettare un artista. Però quando viene accettato, viene ascoltata qualsiasi cosa sua, bella o brutta. Questo è un approccio old school, noi siamo un popolo old school, lo possiamo vedere anche solo dal cambiamento politico. Dobbiamo avere una pazienza fuori dal normale qua. Negli States è facile uscire, difficile resistere, qui il contrario. Noi stiamo cercando una terza via, a metà. Essere presenti quando si ha qualcosa da dire ma avere anche il coraggio e la fermezza di sapersi prendere delle pause per poter tornare più freschi. Qui se ti fermi un anno, come ho fatto io, la gente ti scrive «ma hai smesso?».
Stabber: È l’industria ad essere costruita così. Bisogna sempre fare uscire cose nuove, come se tutto il passato non esistesse. Salmo una volta mi disse: «La gente non sa più annoiarsi». Questo è il punto. Bisognerebbe fare meno cose, ma fatte meglio; solo così potrebbero durare.

Si sta facendo molta fatica a spiegare a chi ascolta la necessità del tempo per l’artista: tempo di pensiero, di preparazione, di realizzazione.
Stabber: Bisogna ricordarsi che la musica è fatta da essere umani che hanno bisogno di tempi umani per farla.

Stabber, anticipa il tuo disco, giusto? Che ruolo hai rispetto a quello che arriverà?
Stabber: Questo brano farà parte di un disco nato sotto la spinta di tutte le persone che conosco, nella musica come nella vita (probabilmente anche il mio cane mi ha fatto pressione), che mi hanno spinto a fare questo passo. Ci lavoro da poco più di un anno. Voglio fare qualcosa di interessante, prima cosa per me, canzoni che mi piacerebbe ascoltare. Questo brano è una sorta di manifesto.

Populous, dal suo profilo personale, ha pubblicato un post su Facebook che sottoscrivo totalmente. Dopo aver elogiato il brano per la sua contemporaneità e internazionalità, conclude: «Lei dovrebbe impazzire negli uffici dei suoi capi, ribaltargli tutte le scrivanie, stendersi a terra urlando come una pazza, strappare tutti i contratti e fare SOLO cose del genere». In un certo senso la summa di quanto ci siamo detti.
Gaia: Sono d’accordo (ride). Questo ambiente, in realtà, è molto complesso e la libertà creativa è un’eterna lotta (non incattivita, ma consapevole) in cui devi far convivere le tue ispirazioni al fatto che comunque sei in un mercato e bisogna far quadrare i conti. L’intenzione è comunque tornare solo con cose sincere, in linea, che mi gasino. È l’unica cosa a cui guardo.
Stabber: Gaia ha tutti i numeri per poter fare questo. Il mercato italiano è estremamente ipocrita. Un disco come quello di Rosalía, pop libero con voglia di sperimentare e fare il cazzo che si vuole, non sarebbe potuto esistere in Italia, nessuna discografica l’avrebbe pubblicato. Ma essendo arrivato dall’estero, con tutta sta acclamazione, se la sono accollata. Qui c’è una metodologia bovina del lavoro dove per certi dischi non si sa cosa farne. 

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