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Saturnino: «Milano è l’ombelico del mondo»

L'incontro con Jovanotti sui Navigli, in auto con Lou Reed a Lambrate, 'Bella ciao' con Beppe Sala, il singolo 'Milano' e la basilica, che non è il Duomo, ma il Forum: il bassista racconta la sua città adottiva

Foto: Settimio Benedusi

Ha intitolato il primo singolo estratto dal suo nuovo EP Milano, l’idea stessa del progetto è nata in un locale milanese, il 25 aprile 2020 in piena pandemia ha suonato e cantato Bella ciao dal balcone di Palazzo Marino insieme al sindaco Beppe Sala, ha dedicato una canzone al Milan insieme ad Emis Killa, è stato testimonial per Expo e di recente ha suonato nel Forum di Assago deserto nell’ambito dell’iniziativa #IlRumoreDelSilenzio di Bauli in Piazza per portare l’attenzione sulla drammatica situazione dei lavoratori dello spettacolo.

Dopo circa 20 anni di silenzio discografico Saturnino Celani, originario di Ascoli Piceno, è tornato con nuova musica e l’ha fatto senza dimenticarsi di citare la città che ormai da tempo chiama casa, la città che – racconta citando Gente della notte di Jovanotti, al fianco del quale suona da anni – l’ha adottato e gli ha dato un lavoro e che il musicista marchigiano celebra a modo suo nel singolo di punta di Satelliti.

Sul groove di Milano spiccano le uniche quattro parole presenti nella traccia: “Milano, la moda, design, l’architettura”. Sembrano quasi uno scherzo. È una presa in giro o un omaggio?
Una punta d’ironia in effetti c’è, ho usato le parole pronunciate da chi si riversa a Milano anche se forse non ne capisce il vero significato. Quelle parole in realtà nascono come un prova microfono perché quando Davide (Ferrario, produttore artistico dell’EP, nda) in studio ha aperto il microfono su quella base invece di fare “1, 2, 3 prova” ho iniziato a parlare e le prime parole che mi sono venute sono state “Milano, la moda, il design, l’architettura”, probabilmente anche perché avevo in testa il pensiero che avrei presentato quel disco durante una festa organizzata per il Salone, cioè quando ci sono anche tutti gli amici che arrivano dall’estero, e che volevo organizzare all’Apollo. Poi c’è il discorso che alla fine quelle tre parole rendono questa città straordinaria: per due volte l’anno Milano diventa l’ombelico del mondo, diventa quasi come Firenze ai tempi del Rinascimento, si incontra un genio a ogni angolo. C’è chi disegnando una valigia o un divano guadagna quanto una popstar che incide una canzone che va prima in classifica. Avendo la fortuna di poter frequentare queste persone e sentire i racconti di come nascono certi progetti ti rendi conto che è un mondo molto vicino alla musica.

Ecco, la musica. Milano per te ha rappresentato anche la città in cui, come spesso racconti, i tuoi progetti sono diventati realtà e questo anche grazie ad alcuni luoghi o ad alcuni incontri significativi. Qui hai conosciuto, ad esempio, Jovanotti…
Ho conosciuto Lorenzo in uno studio di registrazione milanese, molto vicino ai Navigli, in Via Pestalozzi, ed è stato meraviglioso. Lo studio era stato aperto da una persona di Roma, c’erano una persona di Milano, Lorenzo arrivava da Cortona, Claudio Cecchetto da Ceggia e ci siamo incontrati lì e da lì è nato tutto. Già quello straordinario se ci pensi. Tutti i più grandi artisti vengono a performare a Milano, solo questo è incredibile, no? A me è capitato di incontrare in un ristorante in Corso Sempione Lenny Kravitz, è una figata. Pensa che una volta ho portato Lou Reed in macchina. Sono andato a prenderlo in hotel per portarlo a Lambrate perché era curioso di conoscere le persone che avevano fatto uno strumento che gli era stato regalato.

Il 25 aprile 2020 sei uscito sul balcone di Palazzo Marino, hai imbracciato il basso e insieme al sindaco Beppe Sala hai cantato nella piazza vuota Bella ciao. Che rapporto hai con Sala e come hai fronteggiato le critiche che, puntualissime, ti sono piovute addosso?
Il mio rapporto con Beppe Sala nasce prima addirittura dell’Expo. Ci si incontra come succede e poi ci si relaziona come essere umani. Sono cresciuto in una famiglia dove non c’era un’ideologia politica, c’era un’ideologia basata sul lavoro, sull’imprenditoria. Beppe Sala l’ho sempre trovato una persona molto chiara con me, molto gentile e quindi il fatto che sia diventato sindaco mi fa solo piacere. Gli ho fatto anche sentire il singolo prima che uscisse semplicemente perché me l’ha chiesto. Quando ha visto che s’intitolava Milano mi ha detto: «Ma non me lo fai sentire?». Anche quando mi ha chiesto di andare a fare Bella ciao dal balcone io ho subito risposto sì, non ho problemi. Non me ne frega un cazzo se mi dicono «però è il sindaco di Milano, però vai in Comune, però quella cosa ti esporrà». Per me è come se me l’avesse chiesto un amico, me l’ha chiesto una persona che conosco. Ti rendi conto che su certe cose c’è la stessa visione, c’è affinità. Per me ad esempio incontrare Beppe Sala al concerto di Herbie Hancock al Conservatorio è un segno, capito? Fare politica è una questione di come ti rapporti con le persone che stanno intorno a te, quindi se due persone le metti d’accordo invece di farle litigare già secondo me hai fatto una grande opera considerando che le persone non riescono a relazionarsi neanche durante una riunione di condominio. Anche nel caso di Expo ho ricevuto delle critiche e ricevo critiche continuamente, come quando abbiamo fatto Bella ciao. Ma io sono un uomo prima di essere gente e in base a questo porto avanti la mia esistenza.

Quando hai suonato sul balcone di Palazzo Marino la città stava per tirare un primo sospiro di sollievo dopo le settimane più drammatiche dell’emergenza Covid. Tu come hai vissuto Milano durante la pandemia?
L’ho vissuta benissimo, ero da solo con il cane in casa, avevo tutto a 100 metri in linea d’aria. Avevo un tetto e non avendo delle emergenze perché i miei genitori erano al sicuro ancora autosufficienti nonostante l’età ero felice, stavo con il cane senza nessun problema. Poi io con me stesso da solo sto bene. Mi è mancata però la musica condivisa, l’andare nei locali come l’Apollo o il Plastic, andare a vedere concerti, al cinema, a teatro. Cose che io faccio sempre durante la settimana.

La musica condivisa tanto da fruitore quanto da protagonista, immagino…
Milano è una città che è abituata a una programmazione intensa quindi c’è grande energia e c’è anche un po’ di contraddizione. C’è il comitato anti rumore di San Siro, ad esempio, che è una cosa strana, veramente strana. I concerti che ho fatto io a Milano sono stati in gran parte al Forum e a San Siro e sono sempre stati una meraviglia. È sempre un evento straordinario. Come quando le persone sono arrivate da Linate e sono andate via da Linate per il Jova Beach Party. È stato fichissimo: quella sera a Milano c’erano in contemporanea tre eventi pazzeschi perché c’erano anche una partita importante e la settimana della moda. Milano viveva tre cose belle e tutto è andato per il meglio.

A questo proposito, lo scorso mese di aprile hai preso parte all’iniziativa di Bauli in Piazza #IlRumoreDelSilenzio suonando in un Forum vuoto The Sound of Silence di Simon & Garfunkel. L’evento, a più di un anno dall’inizio della pandemia, voleva dare ancora una volta voce ai lavoratori dello spettacolo, una delle categorie che più ha sofferto delle chiusure.
Quel live è stato un pugno nello stomaco. Così vuoto il Forum di solito lo vedi durante il soundcheck. Sapere che ancora non si sa quando si tornerà a condividere quel tipo di emozione fa male, fa male per tutti. È un piccolo tempio della musica mondiale perché lì si sono esibiti tutti. Per me rappresenta l’emozione di quando Lorenzo diceva «oh ragazzi non possiamo fare il Rolling Stone, dobbiamo andare al Forum di Assago perché c’è una grande richiesta di biglietti». Io lì ci avevo visto da Paul McCartney ai Dire Straits quindi capisci che è stato come dir messa in Vaticano, è stata la prima volta da protagonista. Ogni volta che ci passo con la macchina do uno sguardo e faccio come quando si passa davanti a una basilica. Invece di farmi il segno della croce, saluto e ringrazio.

Un altro luogo importante simbolo della vita musicale della città è l’Apollo, il club di Via Borsi dove al party di compleanno di Pierpaolo Peroni è nata l’idea di Satelliti che hai pubblicato con l’etichetta del locale, la Rollover Milano. Come ti sei trovato a lavorare con loro?
È stata una gran figata perché con le grandi multinazionali prima che becchi una persona che ti segue se non sei una top priority… E poi non c’è ansia da prestazione. L’aspetto interessante dell’Apollo è che è davvero una realtà internazionale, hanno gravitato dj e produttori da tutto il mondo. Mi sono visto recensire il disco da una radio di Brighton e da un club giapponese, arrivi alle persone giuste, che è quello che ho sempre desiderato nella vita. Alla mia età mi sento un po’ come il protagonista de La grande bellezza, Jep Gambardella: voglio stare con le persone con cui sto bene.

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