Com’è viva Venezia: intervista a Samuel | Rolling Stone Italia
Musica a livello del mare

Samuel, com’è viva Venezia

Intervista: il nuovo album ‘Maree’, il ritorno al dancefloor, la laguna festaiola e non solo turistica, il prossimo EP forse solo strumentale, il disco del 2026 dei Subsonica, la vita con e senza il gruppo

Samuel, com’è viva Venezia

Samuel

Foto: Alessandro Treves

È un Samuel abbastanza trafelato, quello che intercettiamo per questa chiacchierata su Maree, il suo terzo album da solista appena uscito per Asian Fake. Trafelato, ma come sempre cordialissimo e aperto alla conversazione. E proprio parlando capiremo come non ci sia nulla di strano nel fatto che sia di fretta, e debba comprimere questa chiacchierata tra una colazione al bar e un viaggio in macchina: si stanno sovrapponendo le cose, la macchina-Subsonica è ripartita infatti molto prima del previsto, proprio mentre c’è – o ci sarebbe – un disco solita da promuovere e far girare per bene. Un tempo questo avrebbe portato malumori. Oggi, invece, la situazione pare completamente diversa. Dopo gli ambiziosi tentativi più pop (Il codice della bellezza) e cantautorali (Brigata bianca), il ritorno al dancefloor di Maree porta una inaspettata e insospettabile serenità?

Lo stanno scrivendo un po’ tutti, d’altro canto è indicato chiaramente nel comunicato stampa che accompagna l’uscita di Maree: per te questo album è, come forma e come attitudine, un ritorno al club, al dancefloor, pur restando un disco di canzoni e di cantautorato. Ok. Io però ti chiedo: quand’è che hai capito che volevi tornare al club? È successo prima ancora di iniziare a lavorare all’album o è una cosa che è maturata piano piano scrivendo e registrando?
L’ho deciso nel momento in cui i miei due dischi solisti precedenti – di cui comunque sono molto orgoglioso, sia per come sono venuti fuori che per il modo in cui sono stati pensati e costruiti – al momento di suonarli dal vivo non mi davano soddisfazione, non mi davano la goduria vera: quella che invece ho sempre provato e provo quando salivo e salgo sul palco con Motel Connection e Subsonica. Partendo da questo, mi sono detto che era il caso di fare un’analisi retrospettiva sulla mia musica, sul mio percorso da solista: un percorso in cui effettivamente ed essenzialmente ho voluto andare alla scoperta del pop, molto aperto nel primo disco, più intimista nel secondo. Era inevitabile che prima o poi mi venisse una tentazione di questo tipo: sono pur sempre un cantante, per giunta con un tipo di voce che al pop volendo si presta bene. Una volta che questo tuffo nel pop l’ho fatto, tuttavia, mi sono reso conto che mi mancava avere di fronte un pubblico che balla. Mi mancava troppo. Lì ho deciso di riprendere a fare molte serate da dj, di riappropriami di un suono che per un po’ avevo accantonato, di tornare a respirare un certo tipo di trame, di strutture. Il codice della bellezza era in effetti estremamente pop, Brigata bianca già era una evoluzione, risentiva del Covid, della pandemia, ed è un disco che ho fatto collaborando a distanza con chi ci ha partecipato. Ma adesso Maree, che è nato dopo un ritorno mio personale ai dancefloor, è probabilmente l’album più centrato che abbia fatto finora.

Insomma, c’è poco da fare: nel tuo dna c’è molta più dance di quanto ci sia di pop. È ufficiale. Stacce.
Sono quasi più un batterista che un cantante, devo arrendermi all’idea (ride).

Ti sei fatto molto aiutare da Marco Lys, nelle produzioni, un producer house.
C’è una storia divertente dietro: una sera mentre stavo facendo un dj set in un locale in zona Venezia metto su un pezzo e un mio amico mi fa «Ah, ma dai, chi ha fatto questa traccia è un mio amico, abita pure qui vicino» e io che pensavo invece fosse un producer messicano, o qualcosa del genere, figurati. È partita subito una telefonata, ancora lì in serata e con Marco siamo entrati subito in sintonia. Prima di tutto siamo diventati amici e poi da questa amicizia è nato tutto il suo lavoro per Maree.

Quanta Venezia c’è in questo disco?
Venezia in questo momento c’è un po’ in tutto quello che faccio. È una città che mi ha sempre accompagnato ed affascinato, sin da piccolo, e poi all’arrivo della pandemia sono addirittura andato a viverci. Ancora oggi ci passo molta parte dell’anno. E sai cosa? È una città dove accadono cose molto intense, creativamente parlando.

Davvero?
Non so perché. Sarà l’acqua, non so. Sarà il fatto che ogni giorno devi letteralmente inventarti un modo per vivere e per cavartela dal punto di vista pratico. Non è una cosa che tocca solo me: già un disco dei Subsonica ha i testi che sono stati scritti a Venezia, e accadrà lo stesso anche con il prossimo. Max (Casacci) e Luca Ragagnin sono venuti infatti a trovarmi pochi giorni fa con l’idea di buttare giù gran parte dei testi del prossimo album Subsonica e, guarda, tra giornate chiusi in casa e nottate in giro per i canali e la laguna in barchino sono venute fuori veramente tante, tante cose. Loro per primi si sono stupiti di quanto materiale è venuto fuori in così poco tempo. Non se l’aspettavano.

Tu invece sì.
Venezia è un posto dove ti isoli, ma nel senso vero della parola, capisci? È una città in tutto e per tutto, coi suoi ritmi, coi suoi ingranaggi; ma al tempo stesso hai sempre questa sensazione di essere fuori al mondo, in una bolla sospesa. Questo genera una sottile magia. Infatti, di questa magia, una magia fertile, Maree ne è pieno.

Foto: Alessandro Treves

Però è strano tutto questo: Maree appunto è un disco molto ritmico, molto dance, mentre Venezia è la terra del silenzio, della lentezza. Poi però guardi bene, e vedi che Venezia in effetti produce un sacco di producer dance di livello, penso ad esempio a Spiller.
Ma vedi, abitandoci capisci abbastanza in fretta che Venezia è, in realtà, una città dall’animo molto festaiolo. Ora si sta un po’ svendendo al turismo, vero, una sorte che peraltro non sta capitando solo a lei; ma se ci pensi, in tutte le abitazioni storiche affacciate sul Canal Grande il primo piano era quello obbligatoriamente dedicato alle feste, alle danze. C’è anche una spiegazione razionale, pratica, in tutto questo: la festa è comunque quel momento dove si fanno nuove conoscenze, dove si intessono relazioni, e in una città storicamente di commercianti come Venezia questo non poteva non essere cruciale. Si è costruita nel tempo tutta un’abitudine alla festa, ai party notturni, magari un po’ segreti, che oggi è sicuramente meno visibile. ma penso che sia rimasta nello spirito della città – per chi ancora lo respira, lo vive e lo rappresenta.

Venezia era apparsa prima di tutto in uno dei video legati al tuo primo album da solista e, appunto, è molto presente ora. La differenza è che col primo disco solista il tutto poteva essere l’inizio di un Samuel senza i Subsonica, ora invece mi pare che questa ipotesi non sia assolutamente contemplata.
Io in realtà non mi sono mai visto senza i Subsonica.

No?
Io non ho mai lasciato il gruppo, esattamente come nessuno di noi l’ha mai lasciato, pur seguendo a un certo punto ognuno dei propri progetti solisti. Poi chiaro: se io fossi stato non il cantante ma diciamo il batterista, se fossi stato Ninja diciamo, probabilmente sarei subito approdato a un disco come questo che ho appena fatto, più legato al dancefloor, meno pop; essendo il cantante, ovviamente hai un altro tipo di esposizione e hai molte persone che ti girano attorno e ti dicono «Dai, hai una voce bellissima, perché non provi a fare una cosa orecchiabile, melodica?».

E tu finisci col dargli ascolto.
Diciamo che inizi un po’ a crederci. Poi però dopo un po’ ti rendi conto che il punto non è quanto sei bravo a fare questo o quello, no, ma quanta voglia hai di farlo – e quanto ti ci rivedi. Se avevo dei dubbi, Maree me li ha definitivamente tolti. Ma in realtà lo sapevo già: io sono cresciuto coi Subsonica e coi Motel Connection, e in generale ho sempre amato più essere trattato più da dj che da cantante. Una consapevolezza che già iniziava ad affiorare col secondo disco, con Brigata bianca, ma che ora con Maree ha avuto la sua conferma definitiva.

Però tornando al motivo per cui è nato Il codice della bellezza e il tuo percorso solista, ci sarà stato spazio per uno dei classici luoghi comuni del rock’n’roll: ovvero iniziare ad andare dal cantante di un gruppo e dirgli «Ma dai, lascia gli altri, tu da solo vali molto di più…».
(Ride) È ovvio che quando con un progetto con una band tu cantante hai successo, poi un po’ tutti tentano di infilarsi dentro nel tuo percorso e di provare magari a modificarlo, per farlo in parte proprio… È vero, è un luogo comune del rock’n’roll, è successo mille volte.

Ecco.
Ma la fortuna è che come Subsonica abbiamo avuto un successo dalla crescita molto lenta, graduale, abbiamo sempre avuto il tempo di metabolizzare tutto e di mantenere un certo tipo di equilibrio. Siamo stati fortunati, siamo stati forse anche bravi. Di sicuro sono stati molto più rock’n’roll di noi un paio di manager che ci hanno guidato in passato, ma con loro poi non è finita bene (sorride ironico)… Ma in generale, sai cosa?

Dimmi.
È che noi stiamo proprio bene insieme. Intendo, quando siamo noi da soli, senza altri o altro attorno. Si crea un’alchimia, un equilibrio… Questo ci ha salvato anche nei momenti più bui. Ecco perché non c’è stata mai l’idea, da parte mia ma credo anche degli altri, di dire «Basta, mando tutti affanculo, perché io merito, gli altri no». Se abbiamo intrapreso nei momenti di pausa delle carriere soliste è stato più per noi stessi, per metterci un po’ alla prova, ma mai con l’idea di dire addio alla band. E sai cosa? È stata una grande fortuna essere in una situazione del genere.

Fortuna?
Sì, fortuna. Perché oggi è tutto talmente calibrato sul commercio, sulla vendita e sui risultati che si sta perdendo la bellezza di fare questo mestiere. Non è detto che tu devi per forza riempire uno stadio, per essere felice. No, a me basta l’idea di poterlo fare per tutta la vita. E credo lo stesso valga per i miei compagni Subsonica.

Samuel - Mare Nero (Official Video)

Uno che ha quasi smesso di fare il musicista e il dj è Pisti, tuo socio nei Motel Connection. Una persona splendida, che oggi se lo vedi è un gentiluomo di campagna: assieme a sua moglie gestisce quel posto fantastico che è Lunetta, una residenza/spazio espositivo immerso nel Monferrato. Un tempo invece era il più luciferino di voi tutti, altro che gentiluomo di campagna…
Beh sì, lui ha ripreso un po’ le sorti della sua famiglia: suo padre è stato un grandissimo gallerista, sua madre ancora lo è. Ha ripreso in mano il percorso di famiglia. Ma se io mi sono avvicinato nel modo corretto alla musica dance, lo devo a lui, alla sua immensa cultura e conoscenza anche in quel campo. È stato a lui a spiegarmi cosa era giusto, cosa era sbagliato. Io ho sempre avuto bisogno di queste figure: lo è stato Max nei Subsonica, lo è stato Pisti nei Motel Connection. Pisti mi ha insegnato tantissimo, mi ha fatto evolvere, e in realtà oggi sta facendo esattamente la stessa cosa, solo nel campo dell’arte: prende i giovani artisti e li fa crescere, li fa crescere nel modo migliore possibile. È proprio la sua dote. Quindi sì, Pisti è cambiato solo in apparenza, ma resta lui. Resta luciferino (ride).

Anche tu resterai sempre tu? E intendo: continui a vederti sul palco anche per molti anni ancora? Guarda, io e te siamo praticamente coetanei e ti dirò, in teoria abbiamo una certa… Eppure siamo ancora qui ad occuparci di musica e, nello specifico, di dancefloor, di club culture. Non è che a un certo punto rischiamo di diventare davvero fuori luogo?
In teoria sì. Poi però vedi uno come Ralf, che di anni ne ha molti più di noi, e: ti pare fuori luogo lui?

Zero. Ha ancora un impatto e un carisma incredibili.
Ecco. Ti faccio un altro esempio: Danny Tenaglia. Non tanto tempo fa sono andato a vederlo in una situazione in cui ha suonato tipo due giorni di fila, non so se rendo l’idea… E pure lui è uno con qualche anno più di noi. Quindi chi dice che per forza c’è una data di scadenza? Tornando un po’ a quello che si diceva prima, quando trovi qualcosa che ti rende felice, ma ti rende felice davvero, non solo nutre il tuo ego, sono abbastanza convinto che puoi andare avanti tutta la vita.

Nel frattempo peraltro nulla ti impedisce di concederti piccole digressioni: nel tuo caso ad esempio mi viene in mente Eolie Music Fest, un festival molto particolare.
Che ora ha cambiato nome.

Vero.
Da quest’anno lo chiameremo Floating Fest. E sarà, l’edizione 2025, un punto di ripartenza molto importante. Perché anche lì mi sono reso conto di quanto a un certo punto sia iniziata ad esserci una aspettativa esagerata e insana attorno ai numeri. Eolie Music Fest è partito in maniera molto piratesca: io e qualche musicista mio ospite su un’imbarcazione che andavamo in giro letteralmente ad abbordare altre navi, per venire loro sotto ed offrire della musica. Solo che a un certo punto si è presa una piega per cui questo festival iniziava a diventare troppo simile ad altri festival, troppo dipendente dai “nomi”, dalla line-up… Ma ha senso fare così in un contesto particolare come il mare? Ne siamo sicuri? Non stiamo parlando di uno stadio, di un palazzetto, di un piazzale adibito ai concerti, no, qui stiamo parlando proprio di mare aperto. È sbagliato seguire certe dinamiche. E a parte questo: a un certo punto il festival era diventato una serie di concerti, ovviamente belli, sì, ma erano i concerti soliti, quelli che puoi sentire da qualsiasi altra parte. Mentre invece lo spirito originario dell’evento parte dalla sperimentazione, dall’idea di creare qualcosa di unico. La prima a farci riconsiderare tutto è stata Elisa: da un lato lei è ovviamente uno di quegli artisti che porta moltissime persone, però le sue esibizioni al tramonto sono state talmente intense e talmente uniche che siamo tornato a renderci conto di quanto fosse fondamentale non diventare un festival come tanti, ma qualcosa con una connessione fortissima e particolare col territorio, con l’unicità… Con Elisa si è pensato di ripetere l’esperienza di una esibizione sul mare ma a Trieste, vicino a una grande città, dove c’è tutto un ecosistema in grado di accogliere un grande nome come lei. Come Eolie, abbiamo deciso invece di ripartire cambiando nome e invitando una serie di artisti giovani, di talento, ancora emergenti, come Emma, Plastica, Selmi, Cuperose, tutta gente che non ha ancora superato i 25 anni. Con loro ci saranno non solo e non tanto le esibizioni live, ma anche e soprattutto un lavoro collettivo di scrittura, ascolto, sperimentazione. E torneremo a fare come all’inizio: abborderemo noi le altre barche, in modo piratesco, di sorpresa, portando la musica agli altri. E come mentore, ci sarà anche Alex Neri. Che è uno dei padri della dance italiana, come dj e come membro dei Planet Funk. E di notte andremo al largo, a fare dei piccoli after… Portando con noi chi riusciamo a rapire…

Scusa se torno sul tema, ma: che effetto ti fa pensare che degli artisti che stai invitando a Floating Fest tu potresti letteralmente essere il padre?
Mi rende felice. Mi dà ancora più motivazione in questo nuovo percorso che vogliamo far intraprendere al festival. Ma vedi, le persone che stiamo invitando al festival sono tutti artisti che stanno facendo, in chiave contemporanea, esattamente quello che abbiamo fatto noi Subsonica trent’anni fa: mischiare la modernità elettronica più spinta col cantautorato, tutto questo con una componente in qualche modo emo. Capisci perché non mi imbarazza l’idea di poter essere un loro papà? In qualche modo un loro padre lo sono stato, artisticamente parlando, come scelte, come attitudine, seppur indirettamente.

Samuel a Tramonti a nord est. Foto: Giulia Bersani

Tornando a Maree, ma restando sull’importanza di trovare sempre il gusto di fare le cose, ho l’impressione che in questo disco ti sia divertito come non mai a scrivere i testi, ho proprio percepito un gusto della parola. Qualcosa che, ti dirò, non avevo sentito del tutto ne Il codice della bellezza. E che in Brigata bianca c’era forse solo a momenti.
Beh, Il codice della bellezza era un disco pop, e le parole servivano prima di tutto a valorizzare la melodia, la mia voce. Con quel disco lì sono andato pure a Sanremo: sì, ero proprio nel viaggio di fare una full immersion nel pop, per vedere l’effetto che fa.

E non ti è piaciuto del tutto.
Quando mi ci sono immerso mi sono un po’ spaventato, ho preso una scaletta e sono risalito, tornando indietro.

Sei tornato talmente indietro che Maree esce per una realtà alternativa e indipendente come Asian Fake. Sei stato tu a cercare loro, o loro a cercare te?
Entrambi!

Non vale rispondere così.
Ma è vero (ride)… Io avevo la necessità di relazionarmi con una realtà discografica più piccola, più indipendente, che fosse un po’ come una famiglia, e che mi permettesse di fare completamente di testa mia, proprio perché Maree doveva essere il disco del divertimento puro, del lasciarsi andare. Contemporaneamente Victor Kwality, che è un amico da sempre, è diventato ormai una figura cardine di Asian Fake e mi è venuto lui a cercare chiedendomi che piani avessi… A me era piaciuto molto il lavoro che avevano fatto con Meg: lei è un’artista eccezionale, e ad Asian Fake sono stati bravissimi a costruire un progetto che rilanciasse la giusta attenzione attorno a lei, valorizzandola nel modo migliore e più onesto possibile. Quindi mi sono subito innamorato dell’idea di entrare anche io nella famiglia Asian Fake, come mi stava chiedendo Victor. C’era solo un problema: dovevo trovare il modo di liberarmi dal contratto con la Sony, perché in teoria avevo ancora un disco da fare con loro. Li ringrazio tanto, perché sono stati davvero comprensivi: non è facile trovare una major che ti guarda negli occhi e ti dice «se la tua scelta è questa e ne sei convinto, per noi va bene, ti lasciamo libero».

Posso farti una domanda un po’ carogna?
Vai.

Ok, ora è uscito Maree, ma in realtà la macchina-Subsonica si è già rimessa in moto per lavorare all’album nuovo. Non è che questo rischia di stroncare un po’ il lavoro che si poteva ulteriormente fare attorno a Maree?
È assolutamente così. L’idea di rimettere in moto la macchina-Subsonica è nata quando io stavo ancora finendo di lavorare Maree e sì, in effetti è arrivata un po’ di sorpresa, è la prima volta in cui probabilmente non ci siamo presi un anno di tempo solo per noi singolarmente prima di rimetterci a lavorare tutti insieme. Quindi sì, è tutto arrivato un po’ come un tackle in mezzo alle gambe, ma…

Ma?
Ma i Subsonica sono e saranno sempre un bellissimo ombrello sotto cui stare, sotto cui rifugiarsi, sotto cui essere al riparo dalle intemperie. Vero, avrei voluto far “respirare” un po’ di più Maree, avrei voluto fare anche un tour invernale oltre alle molte date estive, ma non sarà possibile. Questo però non significa che questo disco morirà dentro di me. Anzi. Mi ha permesso di riaprire una porta che mi ha donato molto entusiasmo, molta energia. Mi ha riavvicinato al clubbing, ai dancefloor. E ti dirò: forse è presto per dirlo, ma non escludo che in futuro la mia voce la terrò solo per i Subsonica, mentre i miei dischi solisti potrebbero essere solo strumentali.

Ah però.
L’idea mi tenta. E anzi, non è escluso che già in autunno possa uscire, così al volo, un mio EP di sole tracce strumentali…

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