«Metti dentro le braccia e tieni il petto sotto il livello dell’acqua… Inspira ed espira molto lentamente…. Stai andando alla grande. Ops, ci restano ancora 20 secondi da fare. Riesci a reggere?». Sono nella suite privata di una spa di lusso nel centro di Londra e sto facendo un bagno ghiacciato con una delle più grandi popstar del pianeta, che sarebbe poi Sabrina Carpenter. Ce l’ho di fronte. Col suo bel bikini di pizzo azzurro è immersa fino alle spalle in una vasca cilindrica di legno piena d’acqua a soli 4 gradi di temperatura. Esce dopo tre minuti spaccati. «Abbiamo finito!», annuncia entusiasta. «Sono una persona nuova».
Come canta nel tormentone Espresso, Carpenter lavora fino a tardi, ma è anche una che si alza presto. Sono le 9 di mattina del giorno dopo il primo dei due concerti sold out alla O2 Arena. Ieri sera erano presenti Harry Styles, Hugh Grant, Janet Jackson («eccezionale», dice Carpenter), Emma Bunton delle Spice Girls (ospite in Juno, durante la quale Carpenter effettua un arresto con delle manette di pelo rosa) e James Corden, che ha portato i figli nel backstage per incontrarla. Non era la prima volta di Carpenter all’O2 (nel 2017 ha aperto per i Vamps e ha partecipato ai Brit Awards), ma era il suo primo show da headliner. O come dice lei, «la prima sera in cui me la comando».

Tutto ciò è stato possibile anche grazie a Short n’ Sweet, il disco dell’anno scorso che ha trasformato l’ex stellina Disney in una superstar del pop. È la supernova superhot che canta di cuori spezzati con tono umoristico e trasforma le disavventure amorose in grandi trionfi. Il suo uomo è un pesantone ossessionato dal wellness che “si fa le seghe sui testi di Leonard Cohen”? Gli appuntamenti sono un gran casino perché Dio s’è dimenticato di concederle la presa di coscienza d’essere gay? Carpenter non è solo la protagonista di queste battute, è lei che le fa.
Ci sono star bravissime a creare canzoni d’amore con ritornelli orecchiabili e testi intelligenti. Le battute di Carpenter sono a un altro livello. «È intelligentissima ed è per questo che è divertente», assicura il suo produttore Jack Antonoff. «Dice qualcosa di incredibilmente serio e poi lo sdrammatizza con una battuta ed è questa cosa che le permette di colpirti più profondamente. Pensa ai Beatles che magari scrivevano la canzone d’amore più bella del mondo e poi ci mettevano dentro una roba che pareva uscita da un cartoon inventato da John o Paul. Se ci pensi, alcune delle canzoni migliori di sempre hanno dentro un qualche passaggio divertente. A me questa cosa piace da matti e non credo d’essere il solo».
Short n’ Sweet ha ricevuto sei candidature ai Grammy, comprese le categorie cosiddette Big Four. Carpenter si è portata a casa due statuette (Best Pop Vocal Album e Best Pop Solo Performance per Espresso). È stata al SNL a maggio dello scorso anno e ci è tornata altre due volte, duettando con Paul Simon su Homeward Bound in apertura dello speciale per 50° anniversario («Si è proprio fidato, avrei potuto rovinare tutto»). Ha anche fatto un cameo durante il monologo di Quinta Brunson. Nel mentre, ha avuto modo di collaborare con un’altra leggenda, Dolly Parton, nella versione di Please Please Please contenuta nella deluxe di Short n’ Sweet. «È stato tipo guardarsi in uno specchio che che ti fa vedere come sarai fra qualche anno», dice della sua eroina, pure lei bionda, alta suppergiù un metro e mezzo e dotata d’una gran voce. «Abbiamo timbri talmente simili che a volte non riesco a capire quale sia la sua parte e quale la mia», dice Parton. «Sembriamo parenti, potrebbe essere la mia sorellina minore. Siamo piccole donne che fanno grandi cose».
Le cose diventeranno ancora più grandi con Man’s Best Friend, l’album lanciato da Manchild, un addio pungente a un ex. Chiedetele chi sia, questo ex, e lei risponderà «tuo padre». Come molte delle canzoni di Short n’ Sweet, Carpenter l’ha scritta insieme ad Antonoff e a Amy Allen. «È il mio pezzo preferito fra quelli che abbiamo scritto assieme», dice Antonoff. «Le cose che abbiamo fatto nell’ultimo album erano solo l’inizio. Vi sono piaciute? Vedrete cosa arriverà».
Carpenter ha esordito da bambina come attrice nello spin off Disney Girl Meets World e ha pubblicato il debutto Eyes Wide Open nel 2015. Le ci sono voluti quasi dieci anni per sfondare, ma ha sempre saputo che sarebbe arrivato il suo momento, che sarebbe finita sotto le luci della ribalta. «Non è successo per caso, sapevo che avrebbe funzionato, ma allo stesso tempo mi chiedo: ma come cazzo è potuto succedere? Non voglio sembrare presuntuosa. Sono qui da dieci anni, ma anche da dieci minuti».
Quando incontro Carpenter la prima volta a Rebase, la spa nel quartiere chic di Marylebone, indossa roba del suo merchandise: una t-shirt bianca che raffigura un vestitino di lingerie, la quintessenza dell’estetica di Short n’ Sweet. Sopra porta un cappotto nero di Aritzia, con Ugg neri abbinati e un foulard leopardato sui capelli biondi. Quando le dico che Espresso sta per compiere un anno, spalanca gli occhi con espressione incredula. «È ancora in classifica da qualche parte». E non sparirà tanto presto: proprio l’altro giorno, Carpenter ha chiamato il servizio in camera del suo hotel, chiedendo un espresso. «Ha iniziato a ridere. Le ho chiesto: “Come fa a conoscere la mia voce? Sa che sono io? È stranissimo!”».
Ironicamente, Carpenter beve pochissimo caffè: preferisce l’erba mate. «Fidati, è ottimo». Niente tisana sudamericana da Rebase, in compenso ci sono tutte le bevande salutari immaginabili, comprese bustine di colostro, collagene ed elettroliti. Su un tavolo ci sono delle bottiglie disposte in modo perfettamente simmetrico, dall’acqua di cocco al succo di curcuma al kombucha. Carpenter tiene in mano un bicchierino di energy drink con l’etichetta che dice Ketone-IQ. «Pensavo ci fosse scritto ketamina. Mi sono detta: caspita!».
Oggigiorno non succede spesso di pubblicare un disco mentre si è ancora in tour per promuovere il precedente. Ma Carpenter sta imparando a fare quel che vuole. «Se avessi voluto, avrei potuto andare avanti con Short n’ Sweet per molto più tempo, ma sono in quella fase della vita in cui non voglio regole. Se sono ispirata e voglio fare qualcosa di nuovo, lo faccio. Perché dovrei aspettare tre anni? Fai quello che ti sembra giusto. Sto imparando a seguire questo istinto invece di quella che si pensa sia la mossa giusta da fare». Almeno per il momento, con Man’s Best Friend sotto embargo, non deve pensare alle opinioni degli altri. «Mi godo fatto che nessuno lo sta ascoltando, quindi non devo preoccuparmi. Non me ne può fregare di meno, sono solo elettrizzata».
Siamo al nostro ultimo bagno gelido ed è brutale. Abbiamo deciso di starci solo un minuto, ma sembra un’eternità. «Sto riflettendo sulla mia vita», dice lei. Ha i capelli raccolti in un fermaglio tartarugato, cerca di distrarsi. «Conosci qualche buon pub a Londra?».
Manchild inizia con due parole: “Oh, boy”. Ricorda molto quel gioiellino dell’edizione deluxe di Short n’ Sweet che è Busy Woman, che si apre con un giocoso “Oh, hey”, solo che dietro questa particolare introduzione c’è un messaggio. «In pratica è come se dicessi: “Nella puntata precedente…”. È passato pochissimo dall’ultima volta che ci siamo salutati, quindi è un “rieccoci qua”. Con un respiro profondo e un’alzata di spalle si torna alla storia, che credo sia…».
Carpenter si ferma un istante prima di rivelare la storia. «Penso sempre alla vita e alla mia musica come se fossero un film. Che è una cosa tipica di una che ha 25 anni (ne ha compiuti 26 l’11 maggio, ndr). Non mi sono mai sentita protagonista di un film sull’adolescenza come quando ho ascoltato questa canzone ed è ciò che volevo il video evocasse». I suoi pezzi nascono sostanzialmente in due modi: durante session di scrittura programmate o in modo spontaneo, in momenti di catarsi. Manchild fa parte di quest’ultima categoria. «È arrivata così ed è per questo che sembra speciale, non vedevo l’ora di entrare in studio». Per Carpenter scrivere canzoni è un modo per fissare i suoi sentimenti. «Ho bisogno di dare un senso a quello che provo e a quello che sto vivendo, e metterlo su carta».
Intende proprio letteralmente. Usa l’applicazione Note del telefono per scrivere (pure lei come tutti noi sta esaurendo lo spazio su iCloud), ma anche un taccuino che le hanno regalato su cui si legge “Pop Hits, Sabrina Carpenter”. È lì che ha scritto la maggior parte di Short n’ Sweet. «Non avrei mai pensato di essere una tale bitch da scriverlo», scherza.

Foto: David LaChapelle. Outfit: Victoria’s Secret Archives
Il nuovo album non è stato fortemente voluto, è nato e basta. Dopo avere chiuso Short n’ Sweet, Carpenter ha continuato a scrivere e a lavorare con Antonoff e Allen senza aspettarsi nulla. È stato un processo lento e costante, hanno scartato molte canzoni mediocri per trovarne «almeno una buona», ma non c’è stata frustrazione. Anzi, il morale era alle stelle. «Sono in forma, sfruttiamolo. Sono lucida, scriviamo. Cerco di non abbattermi perché nulla dura per sempre, ma sto vivendo un momento bellissimo. Voglio godermelo e continuare a creare, finché mi sento così».
Carpenter è un’esperta di pop e ripensando alle discografie dei suoi artisti preferiti, da Parton a Linda Ronstadt, ha osservato una cosa fondamentale che l’ha spinta a dare così velocemente un seguito a Short n’ Sweet. «Pubblicavano un album di 10 canzoni all’anno. Quand’è che abbiamo smesso di farlo? Gli autori scrivono, fanno musica e pubblicano musica. Capisco anche la bellezza di sparire per un po’. I miei ultimi due album hanno richiesto entrambi due anni e mezzo di lavoro, era necessario. Però penso che ogni progetto sia diverso». Antonoff è d’accordo: «Viviamo in una cultura ossessionata dal marketing. Ne abbiamo parlato durante le session, bisogna prestare ascolto e farsi guidare solo dalla musica».
La maggior parte degli artisti sarebbe crollata per la pressione di dover dare un seguito a un album che ha realizzato il sogno di tutta una vita, invece Carpenter si è sentita ancora più motivata a continuare a creare. Man’s Best Friend «non è stato scritto pensando: “Come posso migliorarmi?” o “Come posso rifare qualcosa?”. Short n’ Sweet è stato un dono che ha toccato me e molte altre persone al mondo. Per me era sincero, per tanti altri era autentico. È raro che queste cose accadano, figuriamoci più di una volta. Mi ha sbloccata, mi ha aiutata a conoscermi meglio».
Antonoff ha capito che stava cominciando una nuova era nel momento in cui è nata Manchild, che è stata completata poco prima del nuovo anno insieme ad altri due brani che hanno scritto insieme. «Quando ho sentito quei tre pezzi, ho capito che si poteva immaginare come sarebbe stato l’intero album, perché le canzoni avevano un’identità fortissima È uno dei lavori più onesti che abbia mai ascoltato. C’è una sorta di celebrazione, ma la maggior parte dei testi parla di delusione per le relazioni. Ecco, è la celebrazione di chi ti delude».
Tra un bagno gelido e l’altro, ci sediamo nella sauna rivestita in legno della suite, mentre Carpenter ascolta musica da una cassa Bluetooth: Nothing Can Change This Love di Sam Cooke, My Cherie Amour di Stevie Wonder, la cover di Joan Baez di It Ain’t Me Babe di Bob Dylan e As Long as You Follow dei Fleetwood Mac (è una fan di Christine e cita il pezzo minore Prove Your Love del 1974 come sua canzone preferita dei Mac).
Un addetto di Rebase, un tipo allampanato di nome Rico, ci porta una palla di neve aromatizzata all’olio di menta. «È il mio angelo», dice Carpenter mentre il tizio esce. «So che si prenderebbe cura di me nella vita». Carpenter ama gli oli essenziali e ne usa una miscela particolare (lavanda, geranio e camomilla) quando ha il ciclo. «Sta per arrivarmi, fra oggi e domani, che rottura. Esibirsi quando sei nella tua… conosci la fase luteale?», chiede riferendosi alla parte del ciclo successiva all’ovulazione e precedente alle mestruazioni. «In questo momento sono nella fase luteale. Ecco perché sono brutta per 10 giorni al mese».
Carpenter racconta che sono stati i suoi ex a farle scoprire i bagni gelati. «Ho conosciuto questa roba grazie ad alcuni ragazzi con cui sono uscita e li ho anche presi in giro perché la facevano». Si riferisce alla canzone Dumb & Poetic di Short n’ Sweet dove prende in giro un patito del wellness che ingerisce funghi, legge libri di auto-aiuto e fa meditazione. La frase su Leonard Cohen ha fatto scalpore in rete e Carpenter, con l’aiuto della sorella e partner creativa Sarah, ha pensato di mostrare un’intervista televisiva a Cohen del 1966 quando esegue la canzone in tour.
«Li prendevo sempre in giro: “Non sarà una doccia fredda a sistemare la tua salute mentale. Devi andare da un analista”. Ma poi ho provato e ho pensato: “Sai cosa? Non è male”. Non è che ti risolve i problemi, ma aiuta il corpo a guarire e aiuta ad avere un po’ più di chiarezza ed energia. Purtroppo è solo un rito, ma sono qui per questo. Credo sia nella mia indole».

Foto: David LaChapelle. Outfit: Victoria’s Secret Archives
Mentre nella sauna passa Emotion dei Bee Gees, Carpenter dice di aver rivisto La febbre del sabato sera l’altra sera. «Il mio aneddoto preferito che ho imparato sull’argomento è che quattro dei loro più grandi successi sono stati scritti per il film. Non è pazzesco?».
Sudando e con gli occhi che iniziano a bruciare per via della menta piperita, parliamo del lato oscuro della Febbre del sabato sera: insieme alla musica euforica e le piste da ballo sudate, ci sono un sacco di scene raccapriccianti di stupro, suicidio e razzismo. E adolescenti che fanno sesso in auto. «Scopavano tutti così, come se niente fosse, davanti agli altri? Perché io non ero ancora nata e ora, mio Dio, la privacy è tutto. Quelli girano in macchina e scopano davanti agli amici. Se i miei amici scopassero in un angolo, mi sentirei offesa e turbata. Ma erano altri tempi».
A proposito di musica anni ’70, per lei gli ABBA sono il top. È una tale superfan che ha chiamato i suoi due gatti British shorthair Benny e Björn, in onore di Benny Andersson e Björn Ulvaeus, e in concerto fa sempre loro cover. «Sono una band perfetta per il mio show. Non so se ci sono altri artisti al mondo che mi rendono altrettanto felice. Hanno capito come fare musica divertente senza che sia smielata o banale. E anche quando lo è, va bene comunque perché la fanno benissimo».
La residency con ologrammi della band, ABBA Voyage, ha persino ispirato i suoi abiti nel tour di Short n’ Sweet, in particolare il costume azzurro vaporoso indossato da Agnetha Fältskog. Se tutto ciò vi sembra eccessivo, sappiate che Carpenter ha quasi fatto di più, da fan quale è: «Stavo per creare un look fosforescente perché nel loro spettacolo c’erano degli abiti luminosi. Poi mi sono detta: mmm, molto più facile farlo se sei un ologramma».
In aprile, quando era in tour in Svezia e ha visitato il museo degli ABBA con Ulvaeus. «È molto gentile e intelligente», racconta Ulvaeus. «Si capiva che le passavano per la testa tante cose mentre camminavamo lì dentro». Aggiunge che le sue due canzoni preferite di Carpenter sono Espresso e Nonsense, un pezzone sfrontato tratto da Emails I Can’t Send del 2022 (Carpenter solitamente lo abbinava ad outro sempre diverse, e spesso arrapanti). «La produzione è… wow, top, lei canta benissimo e gli hook sono irresistibili. È vero pop».
Carpenter è molto grata ai figli e alle figlie dei suoi idoli. «Ringrazio Dio per i nepo baby. Loro sono miei fan e io voglio conoscere i loro genitori». Nel caso di Ulvaeus si tratta della nipote sedicenne Edith. Per Paul Simon della figlia trentenne Lulu, per Dolly Parton i nipoti adolescenti. «Quando hanno scoperto che avrei fatto qualcosa con Carpenter, oh Signore, sono diventata una che conta», dice Parton. «Prima ero solo la zia Dolly».
Quando le hanno chiesto di aprire lo speciale per il 50° anniversario del SNL con Simon, Carpenter si è sentita fuori posto. «Mi sono chiesta: non è che hanno sbagliato persona?». Ora si sente più a suo agio con questi artisti leggendari. «Sento di sapere cosa sto facendo. Non sono una navigata, ho ancora tanto da imparare, ma posso stare accanto a gente che ho idolatrato per una vita e loro sanno chi sono: è una sensazione pazzesca».
Abbiamo passato dieci minuti in sauna e ne mancano ancora cinque, ma siamo sopraffatte dall’aroma di menta. I nostri telefoni si surriscaldano e la musica si ferma. «Da qui a 30 secondi inizierò a somigliare a un topo affogato», dice Sabrina. Decidiamo di interrompere prima del previsto. Usciamo dalla spa e saliamo su un SUV nero con il team di Carpenter. La sua addetta stampa le dice che, poco prima, un tassista le ha chiesto chi suonasse all’O2. Quando lei gli ha detto che era Carpenter, lui ha commentato con tono di disapprovazione: «Ah, ho capito chi è». Lei scoppia a ridere. «Non è la prima volta che faccio arrabbiare un vecchio».
Arriviamo a Chiltern Street, entriamo nel caratteristico Monocle Cafe (dove Carpenter ordina una tazza di tè verde e dice a una barista emozionata che adora i suoi orecchini) e poi andiamo un attimo in un negozio di riviste. I fan iniziano a notarla, lei è molto gentile e si fa scattare una foto con una di loro, mentre a un’altra dice: «Hai un profumo fantastico!».
È stata un’attrice bambina, per cui è abituata a essere riconosciuta in giro, ma la cosa si è moltiplicata per mille dopo Short n’ Sweet. Spesso si camuffa mettendo una parrucca marrone (con un cappello, spiega, non riuscirebbe a coprire i suoi tanti capelli biondi). «Ora ti ho svelato il mio cazzo di travestimento. Vorrà dire che lo cambierò».
Queste interazioni spesso sono piacevoli, ma possono anche rivelarsi piuttosto inquietanti. «Sono una tipa tranquilla, o almeno credo. Se vengo trattata in modo umano, mi fa molto piacere incontrare gente. È solo quando le persone diventano strane che penso: “D’ora in poi me ne starò chiusa in casa”».

Foto: David LaChapelle. Scialle: Buci New York. Stivali: Chanel
Sarah e la migliore amica di Carpenter, Paloma Sandoval, si preoccupano spesso della sua sicurezza. Mi raccontano di un day off di poco tempo fa, durante il tour in Regno Unito, quando l’hanno portata da Urban Outfitters. Anche con la parrucca, il cappello, la sciarpa sul viso e un cappotto enorme, i fan più attenti l’hanno riconosciuta. «È difficilissimo camuffarla, perché ha delle sopracciglia molto evidenti», dice Sarah.
Per certi versi, Carpenter si è preparata a questo momento per tutta la vita. È nata nel 1999 a Quakertown, Pennsylvania, ed è la più giovane di quattro figlie (la sorellastra Cayla è la più grande, seguita da Shannon, Sarah e Sabrina). La madre Elizabeth le ha fatto conoscere la musica di Etta James, Patsy Cline, Whitney Houston e Aretha Franklin, mentre il padre David l’ha introdotta al rock di Queen e Beatles, e a un sacco di Rush. «The Trees è la canzone più lunga che abbia mai ascoltato», dice scherzando a proposito del gruppo prog canadese. «L’ho sentita per tutta la mia infanzia».
La canzone con cui si sono sposati i genitori di Carpenter era, giustamente, We’ve Only Just Begun dei Carpenters. «Sono molto onorata quando la gente mi chiede se siamo parenti. Mi piacerebbe. Spiegherebbe il motivo per cui canto, perché mia madre, con tutto il rispetto, è una chiropratica e non dovrebbe mai cantare. Lo stesso vale per mio padre. Quindi non so da dove sia venuta fuori questa cosa».
La musica di Sabrina è stata la colonna sonora dell’infanzia di Sarah. Accompagnava la sorella alle lezioni di canto e sentiva i genitori che guardavano i suoi video su YouTube, a casa. «Non dice bugie, è andata così purtroppo». Questi video sono ancora online, con un’adorabile Carpenter, di circa 10 anni che canta At Last di Etta James, Nothing Compares 2 U di Sinéad O’Connor e hit di Taylor Swift, Christina Aguilera e Adele. C’è anche una cover di Sweet Child O’ Mine dei Guns N’ Roses in cui impersona una mini Axl Rose, con tanto di fascia per i capelli: sono ricordi d’infanzia.
C’è un momento di quel periodo che è rimasto impresso a Sarah. Carpenter aveva un brutto raffreddore e doveva esibirsi a un festival locale. «Non riusciva a far passare il raffreddore e non ce la faceva a cantare», ricorda Sarah. «Ma, una volta salita sul palco, ha cantato come nessuno mai prima. Da quel momento ho capito che era il suo destino, che quello era il suo posto». Quel ricordo è rimasto impresso anche a Carpenter. «Quando ero malata o soffrivo, passava tutto una volta salita sul palco. Mi sono detta: è un trucchetto fantastico, un piccolo superpotere».
Già allora era determinata a fare della musica una carriera. «Pensavo: è il mio apprendistato, devo farlo ogni settimana e continuare a migliorare. È molto strano che una ragazzina pensi in questo modo. Non avevo conoscenze o informazioni su come si faceva e nemmeno i miei genitori le avevano. Abbiamo commesso degli errori, questo è certo, ma non lo cambierei per nulla al mondo, mi ha aiutato a crearmi una corazza spessa e ora sono meno sprovveduta quando le persone cercano di manipolarmi. Triste, ma vero. Fa parte della crescita in qualsiasi campo, soprattutto per una ragazza».
A 12 anni Carpenter ha firmato un contratto con la Hollywood Records del gruppo Disney, un anno dopo ha avuto la parte di Maya Hart in Girl Meets World e si è trasferita a Los Angeles con la madre. Ha ottenuto altri ruoli da attrice, recitando anche in episodi di Orange Is the New Black e Law & Order: Special Victims Unit, ma sono state le tre stagioni dello spin off Boy Meets World che hanno messo in luce le sue doti comiche e le ha fatto ottenere una fanbase. Lo riguarderà mai? «Contro la mia volontà. Sarà molto strano e inquietante ripensarci, quando sarò molto più vecchia. Per ora mi limito a rabbrividire pensando ai vestiti». La pensa più o meno allo stesso modo a proposito della sua musica degli esordi. «Se ascoltate i miei vecchi album… anzi no, non fatelo». Se non altro, dice, già allora i suoi dischi pop spaziavano in vari generi: folk, country, R&B e cose anni ’80. «Cercavo di fare ciò che sto facendo adesso e che credo di aver perfezionato con Short n’ Sweet».
La critica ha apprezzato la varietà di generi di Short n’ Sweet, ma ciò che più ha colpito è stato il modo in cui la lei ha reso il tutto omogeneo. Secondo Antonoff, è dovuto in gran parte al fatto che Carpenter è semplicemente se stessa. «Quando ha una personalità tanto forte, i generi non contano, non sono la parte più importante di ciò che fai. Quando lavoriamo insieme, quello del genere è un pensiero secondario, qualcosa con cui giocare. A volte capita di spingersi verso un genere che non ci aspettavamo ed è una cosa che accade spesso in questo nuovo album. È divertente».
Carpenter è molto consapevole di sé, soprattutto quando si parla del suo senso dello humour. Alle domande sul suo sarcasmo dà risposte profonde ed eloquenti, in parte perché le vengono fatte spesso, ma anche perché ora conosce se stessa meglio di quanto le sia mai capitato. Fin dall’adolescenza, ha considerato l’umorismo la sua arma migliore, uno strumento per dire esattamente ciò che pensa. «Ogni volta che non volevo essere gentile e compiacere le persone, potevo usare il sarcasmo come tattica per essere sincera senza risultare scortese o stronza o una con cui era difficile lavorare. E questo apre tutto un altro argomento di conversazione, cioè come le donne debbano misurare le parole per essere certe di non dare una certa impressione. Io ho iniziato a capire che essere assertivi o sapere cosa si vuole non fa di te una persona cattiva».

Foto: David LaChapelle. Vestito: McQueen. Orecchini: Brooklyn Charm
Carpenter sa che le battute aiutano a smussare gli angoli e a evitare di ferire le persone: è una strategia che usa anche nelle canzoni. «Non scrivo senza metterci qualcosa di ammiccante, è il mio modo di parlare, è come comunico con gli amici, con la famiglia e gli uomini. Non sono acida, semplicemente se mi capita una giornata no, una battuta la rende un po’ meno schifosa». Come tutti noi, ha attacchi di ansia e stress: è lo stato d’animo che lei chiama bitchy brina.
Sapeva che Manchild avrebbe scatenato molte discussioni online, con la gente che ha cercato di capire a chi si riferisce la canzone (Carpenter, scherzosamente, chiama in causa anche la madre dell’uomo di cui parla). C’è chi crede che si tratti del suo ex, l’attore Barry Keoghan, apparso nel video di Please Please Please, un’altra canzone che i fan pensano sia sulla loro relazione. Ancora oggi, diversi mesi dopo che i tabloid hanno dato la notizia della loro rottura, si leggono cronologie della loro relazione. Carpenter cerca di non leggerle: dice di essere «immune e insensibile» al gossip online. «Diventa però difficile quando fa commenti su di te come persona o sul tuo aspetto fisico. Sono cose a cui già pensi ogni giorno, non c’è bisogno che uno sconosciuto dell’Arkansas te le ricordi».
A volte non può fare a meno di notare quanto molti articoli siano imprecisi, in particolare le cronologie. «Ti viene da dire: no, questo non è successo in quel momento, è successo questo, mancano dei dettagli importanti. Le persone sottovalutano quanto è complicato da gestire il fatto di essere una giovane donna, avere relazioni e poi sapere ci sono degli estranei che hanno delle opinioni su queste cose. Se chi commenta subisse lo stesso scrutinio, non credo ne parlerebbe apertamente come faccio io. So che è una storia vecchia come il mondo, ma le cose non sono ancora cambiate».
Chiedo a Carpenter se è single. «Se sto facendo la single in questo momento?», mi domanda. «Sto facendo la venticinquenne, qualunque cosa significhi». Il web è ossessionato dalla sua vita sentimentale fin dal gennaio 2021, quando è uscita una certa power ballad strappalacrime intitolata Drivers License. Olivia Rodrigo, un’altra ex star della Disney, cantava “probabilmente sei con quella ragazza bionda” e i computer di mezzo mondo sono andati a fuoco. Probabilmente anche le vostre nonne hanno sentito parlare di un certo triangolo amoroso adolescenziale che coinvolgeva Rodrigo, il suo co-protagonista di High School Musical: The Musical: The Series Joshua Bassett e Carpenter, che passava per quella cattiva.
Poi Carpenter ha pubblicato Skin, che molti pensavano fosse una risposta a Rodrigo (“Forse bionda era l’unica rima possibile”, canta). Nella ballad Because I Liked a Boy, tratta da Emails I Can’t Send, ha messo in chiaro la situazione: “Ora sono una rovinafamiglie, sono una puttana, ricevo tante minacce di morte da riempirci un camion”.
Se vi pare accaduto tanto tempo fa, sappiate a Carpenter sembra passata una vita. Ma non mi interessa parlare di quella roba. Mi interessa, piuttosto, scoprire se la sua instancabile etica del lavoro sia, magari inconsciamente, alimentata dal desiderio di liberarsi una volta per tutte dell’etichetta di biondina. «Non l’ho fatto deliberatamente. Sapevo solo che quella roba non mi avrebbe impedito di fare ciò che amavo: mai. È così che mi sono sempre sentita. A volte si tratta solo di riuscire a resistere. Quello che mi ha insegnato quel periodo è che devo fidarmi di me stessa, credere che tutto si risolverà e che le relazioni arrivano nella tua vita per un motivo. Magari non lo vedi sul momento, ma lo capisci dopo». Le domando quanto spesso pensa a quel periodo e lei fa una pausa prima di rispondere con un’espressione da Don Draper: «Non ci penso mai».
Naturalmente conclude lo scambio con una classica battuta alla Carpenter: «Ho provato a farmi mora, ma non stavo bene, quindi va così».
A dispetto di ciò che dice la canzone, Carpenter non è molto brava ad andare in vacanza. Passa i periodi di pausa a casa o allenandosi tre o quattro giorni a settimana, utilizzando la piattaforma di fitness Sculpt Society. A fine marzo si è presa una vacanza, durante una breve pausa del tour, ed è andata sul Lago di Como con gli amici, la band e il corpo di ballo. Le si tappavano di continuo le orecchie per l’altitudine, ma ne è valsa la pena. «Abbiamo giocato agli indovinelli e bevuto spritz al limoncello per due giorni. È stato bello, mi sono rigenerata. Forse ne ho di nuovo bisogno. È il mio obiettivo di quest’anno. Sento che non ho mai avuto problemi a lavorare sodo, quindi ora devo dare impegnarmi a non essere pessima nel prendermi delle vacanze».

Foto: David LaChapelle. Top: Versace Archive. Scarpe: Ellie Shoes. Orecchini: Dauphinette
Incontro nuovamente Carpenter all’inizio di maggio, al ristorante italiano Palma, nel Greenwich Village di New York (è in Cornelia Street, la strada resa famosa dalla sua amica Taylor Swift). Arriva in un completo rosa bubblegum, sandali bianchi e una borsetta bianca a tracolla, i capelli biondi raccolti in un fermaglio. Si blocca quando mi vede, indica il mio vestito verde-celeste e i miei capelli, anch’essi raccolti in un fermaglio. «Cazzo», esclama, «sembriamo uscite da Wicked!».
Si siede nella sala privata: ha un anello di diamanti con le sue iniziali sulla mano sinistra e un anello con un ovale vuoto sulla destra. Il rossetto rosa e gli occhiali da vista la fanno sembrare una segretaria degli anni ’60. Il tavolo di legno è pieno di vasi di peonie rosa che coprono quasi ogni centimetro della superficie, con candele accese e ciotole di agrumi nel mix, come in una scena di Sotto il sole della Toscana. Delle doppie porte danno sul giardino esterno, mentre una rampa di scale conduce a una stanza al piano superiore, da dove iniziano ad arrivare i rumori di una festa. Carpenter si copre il viso per non farsi notare dalla fila di ospiti che salgono le scale. «L-O-L, è la serata delle ragazze», osserva. «Io non mi volto, ho paura». Più tardi indica il soffitto: c’è chiasso. «Perché non facciamo festa così anche noi?».
Carpenter fa la spola tra Los Angeles e New York. È più facile, per lei, evitare i paparazzi a New York, soprattutto nel Financial District, dove vive dal 2021. Ha affittato un Airbnb per due mesi per scrivere Emails I Can’t Send e non l’ha più lasciato. «Per fortuna i proprietari hanno preso in simpatia me e mia sorella». È da allora che frequenta Palma e mi spiega che è di proprietà della famiglia della sua amica Amber Mark (anche lei musicista). «Lo chef mi ha detto tre volte che ha un cavolfiore che ti piacerà», le dice il cameriere, prima di portarle l’ortaggio arrostito in padella, oltre a una porzione di arancini e carciofi croccanti.
Sta molto attenta a bere soprattutto quando è in tour, dice che quando lo fa sente il suo corpo che si deteriora. «La gente critica già il mio aspetto ogni giorno e quando non mi sento bene dentro diventa un incubo, poi là fuori le cose possono farsi difficili». Ordiniamo degli spritz analcolici, esaltando i benefici derivanti dal non bere, dalla qualità del sonno alla mente lucida. «Ma se sono fuori con gli amici e c’è da divertirsi non mi tiro indietro. E se sono a casa da sola con una bottiglia di vino piena, mi annoio e non ho nessuno con cui parlare, allora chiamate la polizia».
Quando Carpenter è a casa, si manifesta un altro lato di lei che i fan vedono raramente: la sua versione tranquilla e introspettiva, che non fa allusioni e battute. Quella sul palco, dice, «non è una proiezione: è come mi sento. Ma non si può essere sempre così energici e felici. Quando torno a casa sono più calma e rilassata. Mi piace intrattenere, ma mi piace anche stare zitta e stare per conto mio. Osservare, leggere, guardare e ascoltare. Passo molto tempo in compagnia dei miei pensieri, il che è un bene e un male».
Il lato più serio di Carpenter emerge in alcune delle sue canzoni, come la splendida Lie to Girls contenuta in Short n’ Sweet. Scritto con Antonoff e Allen, è uno dei suoi brani più forti, un inno ai cuori spezzati che parla di come le donne spesso facciano di tutto per evitare la verità sui loro partner di merda: “Non devi mentire alle ragazze / Se gli piaci, mentiranno a se stesse”. In tour lo fa alla chitarra acustica: è un momento intimo e vulnerabile che, a suo dire, raramente viene ripreso in video o in foto. Questo perché la maggior parte dell’attenzione è rivolta al lato sexy del tour, al suo guardaroba (body a corsetto pieni di paillettes, reggicalze, camicie da notte in pizzo) e alla coreografia arrapante (questa parola, tra l’altro, a un certo punto lampeggia letteralmente sullo schermo).
Se Juno (una gemma indie pop di Short n’ Sweet che prende il titolo dal film del 2007 sulle gravidanze adolescenziali), in cui canta “Potrei lasciare che tu mi faccia diventare come Juno”, non era già abbastanza esplicita, lei si spinge oltre. Mentre canta “Vuoi provare qualche posizione strana? Hai mai provato questa?”, mima varie posizioni sessuali, cambiando ogni volta (e prima che lo chiediate: sì, i fan le hanno raccolte tutte online). Termina Bed Chem su un letto a forma di cuore, inscenando un rapporto sessuale con un ballerino dietro una tenda. Sono momenti virali che le sono costati critiche, con alcuni genitori che hanno detto che i suoi concerti sono inadatti ai bambini.
«Trovo sempre molto divertente quando la gente si lamenta. Dicono: “Canta solo di questo”. Ma queste sono le canzoni che voi avete reso popolari. È chiaro che vi piace il sesso. Ne siete ossessionati. E nel mio spettacolo c’è, ma ci sono molti altri momenti oltre alle posizioni di Juno, eppure ogni sera postate e commentate solo quelle. Non dipende da me. Se venite allo show, sentirete anche le ballad e i brani più introspettivi. E in tutto questo ci metto ironia e humour. Comunque non mi disturba, se non per il fatto che a volte sento una pressione fortissima a essere divertente».
Questo è un argomento importante per Carpenter, e ne parliamo di nuovo al telefono qualche settimana dopo. «Non voglio essere pessimista, ma mi sembra davvero di non aver mai visto un’epoca in cui le donne sono state prese di mira e giudicate in ogni loro aspetto come adesso. E non parlo solo di me, mi riferisco a qualunque donna che stia facendo arte in questo momento». Le dico che è un argomento di conversazione perfetto, visto che in Cornelia Street ci sono i fan che posano fuori dall’ex casa di Taylor Swift e si scattano delle foto. «È quello che intendo», dice. «Siamo in un’epoca strana: si pensa al girl power e alla solidarietà fra donne, ma in realtà, nel momento in cui vedi una foto di qualcuno che indossa un vestito su un red carpet, ti senti in dovere di dire un sacco di cattiverie entro i primi 30 secondi».

Foto: David LaChapelle. Top: Rabanne, courtesy of Albright Fashion Library
Ne parla anche Needless to Say, la bonus track del vinile di Short n’ Sweet in cui Carpenter prende di mira i giudizi online che deve affrontare (“Un bel vestito, un’angolazione imbarazzante / Scommetto che hai zoomato e ti sei soffermato per mostrarlo ai tuoi amici”). «È una cosa che si ripete di continuo. Dobbiamo farci una corazza più spessa, mentre loro non devono imparare a tenere la bocca chiusa».
Da questo punto di vista, Carpenter ammira molto Dolly Parton che «ha sempre affrontato le cose con arguzia e umorismo». Le due hanno trascorso varie ore insieme in un furgone durante le riprese del video di Please Please Please. Hanno avuto una conversazione così profonda che a un certo punto hanno spento i microfoni. «Scommetto che ora tutti si stanno arrovellando, muoiono dalla voglia di sapere cosa ci siamo dette», dice Parton. «Abbiamo parlato di tante cose senza importanza, ma esiste anche la privacy. Ricordo di aver detto: “Non sacrificare mai la tua morale, la tua anima, i tuoi principi e i tuoi valori”. Farò sempre tesoro di ciò che abbiamo realizzato. La terrò nel mio cuore e nei miei pensieri».
Per Carpenter, essere una popstar significa vivere in mezzo alla follia e al caos e dover «combattere contro i mostri dei videogiochi» ogni due ore. «Quello che la gente probabilmente non capisce è che più occhi hai addosso, più è difficile amare ciò che stai facendo: devi lottare per continuare ad apprezzare il processo creativo e la performance. E questo perché cominciano a esserci tanti problemi che rendono ogni cosa più pesante, rendono amicizie e relazioni meno divertenti e piacevoli. Ma c’è ancora tanta positività e bontà in questo lavoro se lo fai perché lo ami e non puoi vivere senza».
Quest’anno ha cercato di tenerlo a mente mentre si preparava alla sua nuova era. Proprio come fa coi bagni gelidi, si butta ed è pronta ad affrontare qualsiasi cosa accada. «Nell’arco di un anno puoi sentirti benissimo e malissimo. Non è sempre tutto bello, non sempre sai cosa sta succedendo. Ma adesso, oggi da Palma con questo spritz, sento di avere le idee chiare su ciò che voglio, almeno per il futuro prossimo, il che è raro. Sono molto fortunata a sentirmi così consapevole, ora».
Sa anche che tra cinque anni potrebbe ripensare a questo momento e tirare fuori una battuta, come fa sempre. Cosa direbbe a se stessa? Sorride. «Bugiarda del cazzo».
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Photographs: David Lachapelle
Producer: Maavven
Executive Producer: Coleen Haynes
Production Manager: Desiree Lauro
Styling: Jared Ellner at A-Frame Agency
Hair: Evanie Frausto at Streeters using Redken
Hair Colorist: Austin Weber
Hair Piece: Showpony
Makeup: Carolina Gonzalez at A-Frame Agency using Armani Beauty
Nails: Zola Ganzorigt at The Wall Group using OPI
Spray tan: Jenni Blafer for Sunkissed by Jenni
Production Designer: Andrew Nowling
Video Director: Mac Shoop
Digital Technician: John Schoenfeld
Photo Assistants: Fernando Venegas and Paul Gilmore
Set Decorators: Juan Morales, Daniel Garcia Jason and Jason Puga Paint
Production Coordinator: Henry Santa Maria
Studio Manager: Ethan Haug
1st Assistant Director: Mariano Andre
Production assistance: Caitlin Joy Westerman, Adelaide Gault, Paul Sigwerth, Joel Trevino, Tommy Pagano
Styling Assistants: Sara Jameson, Maya Sauder, Christin Sherrard, Leinea Mueller, Brooke Figler, Emily Essen, Lauren Garcia
Retoucher: Glen Vergara
Animals provided by Working Wildlife
Dove provided by Socal White Doves
Da Rolling Stone US.