Ryan Tedder è il magnate segreto dell’industria discografica | Rolling Stone Italia
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Ryan Tedder è il magnate segreto dell’industria discografica

Ha firmato una serie impressionante di hit, ma il mercato è imprevedibile e ci vuole un piano B. Il frontman degli OneRepublic è diventato imprenditore per sopravvivere nell'economia dello streaming

Ryan Tedder è il magnate segreto dell’industria discografica

Ryan Tedder

Foto: Charles Sykes/Invision/AP

Sto parlando al telefono con Ryan Tedder da neanche due minuti quando, senza preavviso, il frontman degli OneRepublic butta lì una previsione: i ricchi che hanno lasciato le città per trasferirsi in luoghi più tranquilli all’inizio della pandemia se ne pentiranno. Risultato. l’anno prossimo ci sarà «un’ondata di incredibili affari su seconde case e luoghi di vacanza».

Per la maggior parte delle popstar una considerazione del genere sarebbe un pensiero come un altro. Nel caso di Tedder potrebbe essere una vera strategia di business perché, oltre a essere un autore prolifico e un produttore, è uno degli imprenditori più esperti dell’industria, capace spesso di anticipare i trend.

Il suo portfolio è impressionante, un mix tra proprietà commerciali e investimenti in aziende come Sweetgreen (che si occupa di insalate) e masterclass su piattaforme come monthly.com. Nel 2018 ha fondato, insieme a un dirigente marketing di Interscope, una società di acqua alla cannabis, Mad Tasty, e, come aggiunge con nonchalance, sta producendo un film per Netflix.

«Mi sono chiesto cosa c’è all’opposto dell’industria musicale», dice Tedder della sua attività d’imprenditore, un lavoro che fa per ripararsi dall’imprevedibilità della carriera d’autore di canzoni. «Amo scrivere, produrre e suonare più di chiunque altro sul pianeta, ma nel settore due più due non fa quattro, i risultati sono assurdi. Mi attraggono gli investimenti, anche immobiliari, perché sono all’estremo opposto, è qualcosa su cui contare».

OneRepublic - Someday (Official Music Video)

Nonostante tutto, Tedder è ancora un’istituzione della discografia. Tra le altre cose, gestisce una società di edizioni con Brandon Silverstein, il manager di Normani e Anitta. All’inizio dell’anno, durante l’esplosione della compravendita di diritti musicali, ha venduto gran parte del suo catalogo – che include le hit degli OneRepublic tra cui i singoli multiplatino Apologize e Counting Stars, più brani scritti per Adele, Taylor Swift e Beyoncé – alla società d’investimenti KKR. Qualche mese dopo ha lanciato la sua linea di NFT in collaborazione con lo street artist Bustart: vende collezionabili digitali accoppiati a una canzone esclusiva, il tutto per decine di migliaia di dollari.

Poi, ovviamente, Tedder è il frontman degli OneRepublic. La band ha pubblicato da poco il quinto album Human. Il disco, che ha subito diversi ritardi causa pademia, è il primo da Oh My My del 2016. Dà una bella rinfrescata al pop-rock che il gruppo ha suonato per un decennio, e brani come Run e Someday hanno il potenziale per infiltrarsi nelle classifiche.

In quella che doveva essere un’intervista di 25 minuti a tema NFT, Tedder ci ha parlato dello stato dell’industria discografica, dell’economia del songwriting e delle sue nuove imprese.

Sei uno dei tanti artisti che di recente hanno venduto il proprio catalogo. Cosa ti ha spinto a farlo? 

Farlo è stato semplice. Non voglio annoiarti con i dettagli, ma ho pensato al punto in cui sono nella mia vita e al valore del mio catalogo. La possibilità di guadagnare 20 volte il suo valore non sarà a disposizione per sempre. È stata una decisione economica, perché reinvestirò quel denaro in altre cose. E poi credo di non aver mai scritto o prodotto canzoni così bene, perché lo faccio con continuità. Sto costruendo un nuovo catalogo. Nel 2021 ho pubblicato più pezzi che nei tre anni precedenti. Sto producendo sette album. Anitta, DNCE, Jessie J, ovviamente gli OneRepublic. Ci sono altri due artisti, ma non posso fare i nomi.

Hai avuto grande successo sia come musicista, sia come imprenditore. Quale mondo ti sembra di capire di più? 

Non ho mai capito così bene l’industria discografica. Capisco la sua economia, chi la guida, la proposta di valore.

Amo scrivere, creare, aiutare altri artisti a trovare la propria strada e imparare quello che so, così come amo imparare da loro. È quello che mi rende felice, al di là della mia famiglia. Disprezzo tutto il resto dell’industria. Non guadagniamo abbastanza dallo streaming. Gli autori prendono un decimo o un dodicesimo rispetto alle etichette. L’unico modo per guadagnare bene, oggi, è passare in radio. La gente che lavora da iHeart è grandiosa e la conosco bene, ma tutti sanno che le radio terrestri hanno già vissuto i loro giorni migliori, tuttavia è l’unico modo per ricevere un compenso significativo. Poi speri che il tuo pezzo decolli in streaming, perché se la posizione delle classifiche delle piattaforme non è conforme a quella delle radio sei fregato, non passeranno più la canzone.

Io avevo un pezzo con Kygo intitolato Stranger Things. Ho tirato giù i numeri. L’etichetta ha guadagnato un milione e 250 mila dollari. Io ho il 40% dei diritti, ne ho guadagnati 62 mila. La quota degli autori è sbilanciata. L’unico modo per guadagnare è passare in radio, ma ci vogliono soldi. Tutti sanno che la radio non paga le etichette, lo streaming lo fa. E così le etichette discografiche sono disincentivate a investire affinché la tua canzone passi in radio.

Cosa pensi dell’iniziativa The Pact (una lettera aperta, firmata da diversi autori pop, in cui si chiede che l’industria li compensi in modo equo, ndt)?
Ce n’era bisogno da un sacco di tempo, sono orgoglioso per Emily Warren che l’ha messo in piedi. Ma a me interessano maggiormente temi più globali. Non guadagno un euro dal merchandising degli artisti, dal tour, dagli accordi di sponsorizzazione per scarpe o makeup. Anche se gli artisti non hanno scritto la musica o il testo, sono loro a rendere le canzoni quello che sono, e quindi sono felice di accreditarli come co-autori, ma non so se arriverei al 5 o al 10%. Non voglio attaccare gli artisti, nel 99% dei casi sono i manager a fare quel tipo di accordo. Si muovono in totale autonomia, dicono che se vuoi il loro artista in un pezzo, devono prendere il 25% dei crediti da autore. Chi fa il management sembra immune a ogni codice etico, ma discografia ed etica non vanno per nulla d’accordo, secondo me. È il far west e lo sappiamo tutti. Capisco i temi di The Pact, ma sono una piccola parte di un discorso molto più ampio.

Con cosa guadagni di più, la musica o gli altri investimenti? 

È difficile rispondere dopo la vendita del catalogo, ma posso dire che quest’anno guadagnerò di più dagli altri investimenti. È sempre stato il mio piano. Quando fai l’autore, ci sono anni in cui pensi di avere cinque o sei singoli con artisti enormi, poi all’ultimo minuto salta tutto: in quei casi non passi da guadagnare 300 mila dollari a 150 mila, passi da milioni di dollari a zero. È un ottovolante e mi mandava fuori di testa.

Perché fare investimenti così grandi?
Dal 2007 la mia carriera ha attraversato fasi diverse e continuerà ad essere così. Scrivere canzoni è la cosa che preferisco in assoluto, ma la musica è un partner infedele e non puoi contarci. So che arriverà un giorno in cui non avrò più hit. Succede a tutti. Ci sarà un periodo cui gli OneRepublic non andranno più in tour. Arriverà il giorno in cui non vorrò più stare in una stanza con un nuovo artista diciottenne a cercare un modo per trasformare i suoi sentimenti e le sue storie personali in una hit. Non voglio diventare un cinquantenne che passa il tempo coi diciottenni. So che sembra divertente, ma arriverà un momento in cui non vorrò più farlo. Mi sono fatto un piano di riserva. L’idea è creare un sistema grazie al quale in un anno terribile da autore riesco a guadagnare come se avessi scritto due o tre hit. Ecco perché ho iniziato a investire.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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