Run the Jewels: «L'America ha trasformato i poliziotti in soldati in zona di guerra» | Rolling Stone Italia
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Run the Jewels: «L’America ha trasformato i poliziotti in soldati in zona di guerra»

Il duo pubblica il quarto album in piena crisi razziale. Impegno, rime tecniche, beat da filologi: ecco come i due «cazzoni» Killer Mike ed El-P sono diventati supereroi dell’hip hop e punto di riferimento di Black Lives Matter

Run the Jewels: «L’America ha trasformato i poliziotti in soldati in zona di guerra»

Killer Mike (a sinistra) e El-P, ovvero Run the Jewels

Foto: Tim Saccenti

Era il 2015, e i Run the Jewels si preparavano a infiammare il Magnolia di Milano con un concerto esplosivo. Nel backstage Killer Mike ed El-P, rispettivamente rapper nero di Atlanta e rapper/producer bianco di New York, amici da sempre e co-fondatori di uno dei gruppi hip hop più interessanti dell’ultimo decennio, si rilassavano chiacchierando e scherzando con una manciata di fortunati, tra cui la sottoscritta. Come spesso capita con gli artisti americani, la conversazione indugiava sulle molte bellezze dell’Italia e sui suoi infiniti (ai loro occhi, almeno) pregi. «Sai qual è la cosa che mi piace di più del vostro Paese?», disse a un certo punto Killer Mike, serissimo. «I poliziotti. Sono tutti così gentili. Dalle nostre parti capita raramente di essere trattato così bene, dalla gente in divisa».

In bocca a chiunque altro sarebbe stata una cosa strana da sentire, ma non stupisce se pronunciata dall’artista in questione, che ha sempre fatto del suo attivismo politico una bandiera. Fervente sostenitore di Bernie Sanders, il candidato presidente più socialista che gli Stati Uniti abbiano avuto, Mike è da sempre schierato in prima linea nelle battaglie contro il razzismo, la povertà dilagante e la brutalità della polizia, il che è ancora più lodevole, considerando che il padre faceva il poliziotto. Approfitta di ogni megafono che ha a disposizione – la sua musica, la serie Netflix Notizie esplosive con Killer Mike, i social – per parlare delle cause che gli stanno a cuore. Qualche giorno fa, visibilmente commosso, ha partecipato alla conferenza stampa del sindaco di Atlanta, invitando i manifestanti che stanno protestando per la morte di George Floyd a non vandalizzare la città, ma a esprimere pacificamente la loro rabbia. Ed è proprio in risposta agli eventi che stanno insanguinando l’America che lui ed El-P, di comune accordo, hanno deciso di pubblicare il loro atteso album Run the Jewels 4 con qualche giorno di anticipo. «Fanculo, perché aspettare?», hanno scritto su Instagram. «Il mondo è infestato di merda, perciò ecco a voi qualcosa di crudo da ascoltare mentre cercate di affrontare tutto questo. Speriamo che vi dia un po’ di gioia. State attenti e non perdete la speranza, là fuori, e grazie per aver dato a due vecchi amici la possibilità di essere ascoltati e fare ciò che amano».

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Se in apparenza il progetto Run the Jewels rappresenta un classico esempio di ottimo rap fine a se stesso (rime tecniche e crude, grande potenza dal vivo, beat da filologi del genere), in realtà dietro la superficie si nasconde molto di più. El-P e Killer Mike si sono sempre distinti per l’attenzione ai temi etici e sociali, anche nei gesti più piccoli, come quello di regalare tutti i loro album in free download, compreso quest’ultimo. «Chi vuole darci un supporto economico può scegliere di comprare il vinile o il merchandising, o venire a un nostro concerto», spiega Killer Mike nel corso di una call che triangola Atlanta, New York e Milano. «Se ti piace quello che vedi, puoi tornare la volta successiva, se non ti piace sei libero di non farlo mai più. E se non puoi permetterti neanche questo, puoi tenerti la musica e basta. Non abbiamo bisogno di trarre un guadagno da ognuno dei nostri fan». Che sono numerosissimi in tutto il mondo, perché nella scena hip hop i due, che hanno superato i 40 anni da un bel pezzo, erano famosi già prima di fondare i Run the Jewels nel 2013: Killer Mike perché era uno dei più promettenti affiliati degli Outkast ed El-P come produttore e fondatore dell’etichetta di culto Def Jux.

Non a caso, la gente li definisce un supergruppo. «Essendo cresciuto leggendo fumetti e disegnando supereroi, sentire che ci chiamano così per me è fantastico. Prendo e porto a casa!», ride El-P, genuinamente felice e orgoglioso. La metafora, per lui, si applica anche alle canzoni. Da una parte ci sono quelle in cui sfoggiano i superpoteri che l’hip hop ha conferito loro, stupendo il pubblico con mirabolanti effetti speciali; dall’altra ci sono quelle più personali e intime, come Early, del 2014, che descrive in maniera straziante e magistrale l’arresto immotivato di un afroamericano, o A Few Words from the Firing Squad (Radiation), inclusa nell’ultimo album, che racconta la fragilità di chi non ha ancora trovato del tutto il proprio posto nel mondo. «Ogni tanto dobbiamo lasciare spazio anche all’essere umano che si nasconde dietro al nostro mantello da supereroi», spiega El-P. «Per me è il bello dei Run the Jewels: esploriamo tutti gli aspetti delle nostre personalità, senza sacrificare nessuno. Siamo cazzoni, siamo rapper che vogliono spaccare, ma siamo anche artisti, scrittori, persone con le loro difficoltà e le loro battaglie».

All’inizio, quello dei Run the Jewels doveva essere un progetto una tantum, ma sono ormai arrivati al quarto album e a risultati straordinari, come il tour mondiale (previsto per fine 2020 e per ora in sospeso) in cui apriranno i concerti dei Rage Against the Machine, suonando ogni sera davanti a 20 mila persone. È stato proprio durante il primo tour che hanno capito che il loro sodalizio poteva diventare permanente, racconta Killer Mike: «Nonostante in precedenza avessimo sempre fatto musica molto diversa, i miei fan diventavano anche fan di El-P, e viceversa. Eravamo diventati una vera forza: è come se i nostri pezzi fossero la colonna sonora di un film d’azione». E in effetti i loro dischi sono tra i più usati come sottofondo per svariati video sportivi ad alta intensità, dalla maratona al triathlon, dal judo alla boxe. «Le persone che supportano i Run the Jewels sono creature straordinarie, riescono sempre a stupirci», sospira Mike. «Se qualcuno mi avesse detto che avere 45 anni sarebbe stato così, non ci avrei creduto! Per noi i Run the Jewels hanno aperto un nuovo capitolo e stiamo ancora vivendo la nostra ascesa, stiamo ancora crescendo. Forse è perché non ci siamo mai fermati a pensare a quanti anni abbiamo».

La travolgente simpatia del duo è uno dei motivi per cui i fan li adorano. Nel 2015, ad esempio, per la gioia di grandi e piccini hanno pubblicato Meow the Jewels, un remix album di Run the Jewels 2, in cui tutti i beat erano stati creati campionando esclusivamente miagolii e fusa di gattini. «Non lo farò mai più in tutta la mia cazzo di vita, neanche se mi puntate una pistola alla tempia!», esclama El-P, mentre Mike sghignazza in sottofondo. Il progetto era nato come una battuta: «Ero strafatto perché avevo fumato troppo, stavamo lanciando il preorder dell’album e ho detto ai nostri fan che se ci avessero pagato 45 mila dollari, lo avrei remixato tutto usando solo suoni di gattini». Ovviamente non pensavano che qualcuno li prendesse sul serio, ma un fan ha lanciato un crowdfunding, e il resto è storia. «Con il senno di poi avrei dovuto chiedere molti più soldi, tipo un milione di dollari!», ride El-P. «Anche se in realtà, quando l’ho scoperto, un po’ me la sono presa: non mi piaceva l’idea di qualcuno che raccogliesse soldi in nostro nome». Parlando con Mike, però, hanno pensato che sarebbe stato bello trasformarla in un’iniziativa di beneficenza. «Decine di persone vengono uccise ogni giorno in America dalla polizia, a colpi di armi da fuoco o soffocate durante gli arresti: i proventi di Meow the Jewels sono stati devoluti alle famiglie di due di loro, Michael Brown ed Eric Garner, entrambi afroamericani, ammazzati dalle forze dell’ordine senza una ragione».

Quando abbiamo realizzato questa intervista, George Floyd non era ancora stato barbaramente ucciso da alcuni agenti della polizia di Minneapolis. A posteriori, le parole dei Run the Jewels suonano agghiaccianti e profetiche. «Se tu, giovane donna bianca, camminassi in giro per New York in un quartiere nero e per caso dovessero arrestarti, senz’altro ti ammanetterebbero rispettando il distanziamento sociale e senza farti del male», argomentava Killer Mike. «Non ti sbatterebbero a terra, né ti terrebbero ferma appoggiando tutto il loro peso su di te, asfissiandoti fino alla morte, cosa che invece succede ai giovani uomini neri che camminano in un quartiere bianco». Da figlio di poliziotto ha un grandissimo rispetto per gli agenti che si comportano in maniera corretta, ci teneva a sottolineare. «Ma ho l’impressione che, in nome delle politiche governative, l’America abbia permesso alle forze dell’ordine di trasformarsi in soldati in zona di guerra, e questo è molto, molto pericoloso. Anche perché la gente prima o poi comincerà a rispondere a tutta questa violenza, e non voglio che gli agenti perbene debbano temere per la propria incolumità». Il che è esattamente quello che sta succedendo in questi giorni. «Il loro motto dovrebbe essere “Servire e proteggere”, non “Controllare e soggiogare”» rincarava la dose El-P. «Non tutti i poliziotti sono cattivi, però il contrasto tra gli ideali americani e la pratica quotidiana è brutale. L’idea che un tutore della legge faccia del male a un cittadino qualsiasi è profondamente sbagliata e perversa, perché il suo dovrebbe essere il lavoro più onorevole e virtuoso del mondo: quello di proteggere la collettività. Dovrebbe avere degli standard morali più alti dei nostri».

Da sempre, anche nei testi più leggeri, i Run the Jewels ci tengono a incoraggiare i loro ascoltatori a non credere a tutto ciò che dice la tv e a prendere posizione rispetto ai problemi di oggi, anche in maniera radicale. «Quando la gente sente la parola “Anarchico” pensa che sia negativa, ma in realtà indica persone che cercano di migliorare imparando in maniera indipendente, e che credono che l’individualismo non possa prevalere sul benessere generale», dichiara fieramente Killer Mike. È ben lontano dall’essere un anarchico, però: è un amico personale e uno dei più grandi sostenitori di Bernie Sanders. «Penso che la nazione abbia fatto un errore già nel 2015, lasciando che i democratici fossero rappresentati da Hillary Clinton e non da lui», spiega. «Quando ho ascoltato le sue idee, ho pensato subito che era un candidato che poteva guadagnarsi la fiducia di tutti. E quest’anno abbiamo rifatto lo stesso errore. Non riusciamo mai a eleggere la persona giusta, perché siamo nati per avere paura: la classe politica ha pensato “Non riuscirebbe mai a vincere”. Se avessimo applicato le idee di Bernie, quelli che oggi non possono permettersi le cure per il Covid sarebbero ancora vivi. Ci sarebbe stata una sanità pubblica. E soprattutto non ci sarebbe Trump». Speriamo che questo 2020 sfigatissimo si concluda degnamente almeno su questi fronti: per Sanders presidente è tardi, ma non per eleggere qualcuno diverso da The Donald, per fortuna.

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