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Rostam: «I giovani produttori non capiscono il ruolo del rumore nella musica»

Tutto in griglia, senza groove, asettico. Non è così che lavora l'ex Vampire Weekend che ci parla del suo lavoro di produttore e del suo nuovo album 'Changephobia', un viaggio nella migliore musica alternative

Foto: Olivia Bee

Rostam è un artista, produttore, multi-strumentista, meglio conosciuto per il suo ruolo di membro fondatore dei Vampire Weekend, con i quali ha suonato dal 2008 al 2013, producendo i primi tre dischi e ottenendo due nomination ai Grammy Award nella categoria Best Alternative Music Album, riuscendo a vincere l’ambizioso premio per Modern Vampires of the City. Dopo la dipartita dalla band («non è accaduto a sorpresa, era un’eventualità che conoscevamo, stare in una band non è nella mia natura», dice), ha iniziato a svolgere il doppio ruolo di artista solista e produttore molto apprezzato nella scena americana. Negli anni ha prodotto brani per artisti e artiste del calibro di Frank Ocean, Solange, Santigold, Lykke Li, Charli XCX, nonché il disco d’esordio di Clairo, Immunity, e l’ultimo grande successo di critica delle Haim, l’album Women in Music, Pt. III, per il quale si è aggiudicato la sua terza candidatura ai Grammy.

Da qualche giorno è uscito Changephobia, il suo secondo disco solista, un viaggio nella migliore musica alternative possibile. Un disco che colpisce non solo per la scrittura, ma per la produzione, libera di navigare e svagarsi nelle pieghe dell’indie rock americano con una grazia che riconosciamo a Rostam già dai primissimi lavori con i Vampire Weekend (ascoltate i singoli From The Back of a Cab e Unfold You, per intenderci). Changephobia è «un reminder del fatto che non bisogna essere spaventati dai cambiamenti perché cambiare è positivo e non bisogna averne paura» e scorrendo la track list è evidente la passione e la leggerezza di un lavoro senza paure, capace di muoversi tra chiavi jazzistiche di sassofono e percussioni febbrili, marchio di fabbrica di Rostam.

Ma c’è una differenza tra scrivere e produrre un disco per se stessi o per un progetto collettivo? «È sempre facile tirare fuori nuove idee quando si è soli, la difficoltà è prendersi tempo per portarle avanti e completarle. Mi piace passare molto tempo a scrivere, solitamente i miei brani hanno bisogno di giorni e giorni prima di essere pronti. Nella mia esperienza con i Vampire Weekend, per fare un esempio di collaborazione, io e Ezra avevamo invece trovato un sistema per lavorare assieme come fossimo un duo. Da quando ho lasciato la band, abbiamo lavorato ad una canzone assieme, We Belong Together, con featuring di Danielle Haim (contenuta in Father of the Bride, nda), ma il brano era stato iniziato anni fa, nel 2012, in un viaggio che avevamo fatto con lo scopo di scrivere nuove canzoni. Eravamo da un amico comune in una casa in mezzo ai boschi, con tutta la nostra attrezzatura a disposizione. Dalla stessa session uscirono Everlasting Arms, Hudson e Don’t Lie, pubblicati in Modern Vampires of the City. Riprendere quel brano e completarlo è stato come tornare a quei giorni».

Una delle specificità che necessita il produttore è la capacità di comprendere la relazione che si instaura con artisti e artiste, collaboratori e collaboratrici, avendo una particolare attenzione a mettere a proprio agio le persone con cui si sta lavorando. «Cerco sempre di rendere il mio studio un posto accogliente dove tutti possono trovarsi a proprio agio. Un luogo dove puoi suonare ogni strumento che vuoi e seguire il flow. Quando l’artista è a proprio agio, escono fuori le migliori performance. Il producer deve impegnarsi in questo intento e credere nel progetto, condividerne la fiducia. Potremmo usare il termine entusiasmo, quell’energia necessaria per portare a termine il progetto assieme».

E come si può sfruttare al meglio una sessione di scrittura? «Non importa quante persone vuoi coinvolgere nella scrittura e nella produzione di un brano, le cose migliori succedono sempre quando ci si vede di persona, in due, produttore e artista. Con le Haim, ad esempio, siamo io e Danielle a scrivere. Con Clairo, di nuovo, è stato un lavoro a due, solo me e lei. Quando lavoro con Rostam, invece, mi piace registrare tutti gli strumenti nel più breve tempo possibile per non perdere il flow. Fare tutto in 20 minuti, velocemente, per seguire il ritmo delle mie idee. Questo perché da ragazzino non sono cresciuto nelle band, mi registravo tutto da solo». Ma, come ci precisa, non c’è un modus operandi unico per collaborare. «Non c’è un modo di scrivere canzoni, a volte le idee vengono condividendo uno spazio, improvvisando, come è successo con Sofia di Clairo (in quella session scrivemmo cinque canzoni in quattro giorni). A volte invece si parte da un’idea o da una pre-produzione, come è successo per Summer Girl delle Haim o F.U.B.U. di Solange. A me piace lavorare nel mio studio, è lì che riesco a portare avanti queste possibilità».

È proprio in questo interscambio continuo tra produttore e artista che si crea la magia. Rostam consiglia infatti di «lavorare con persone con cui c’è un’amicizia», in modo da creare subito confort all’interno dello studio e durante il processo di songwriting. L’obiettivo finale nel lavoro del produttore è comunque uno e uno solo: riuscire a raggiungere il sound immaginato per il progetto. «Ci sono due modi di raggiungere il suono che hai in mente. C’è una parte concettuale dove pensi a qualcosa che vuoi raggiungere e non sai ancora bene cos’è. Una parte di pensiero e ricerca. In Changephobia, ad esempio, volevo essere ispirato dalla musica jazz e non avevo idea di come riuscirsi. E poi c’è una parte in cui semplicemente provi a fare certe cose. In questo caso per raggiungere quell’obiettivo pensai che ci fosse bisogno di aver molti interventi di sassofono e così ho iniziato a lavorare con Henry Solomon scrivendogli delle parti o lasciandolo improvvisare».

Foto: Olivia Bee

Il mondo della produzione è decisamente cambiato negli ultimi dieci anni grazie alla grande facilità di risorse per i più giovani che, tra personal computer, library di sample, tutorial e software economici, ora possono raggiungere risultati soddisfacenti e (quasi) professionali dalla propria cameretta. Ma cosa si è perso in questa democratizzazione della produzione? «La vibe! Le persone mettono sample e batterie in griglia, non c’è rumore, non c’è il suono della stanza, non ci sono microfoni. Non c’è un senso di groove e questo lo odio terribilmente, non voglio sentirlo! Voglio ascoltare musica che mi fa venire voglia di alzarmi per ballare. È questo che cerco quando faccio i dischi con qualcuno. I ragazzi devono capire come funziona il groove e che spesso il rumore è loro amico. Ho paura che i produttori più giovani non capiscano proprio il rumore. La storia del suono registrato è storia di rumori. Non dovremmo perdere tutto questo».

In ultimo, abbiamo approfittato della gentilezza di Rostam per un veloce botta e risposta sulle sue collaborazioni più prestigiose.

Frank Ocean: «Ha visione e determinazione. Le sue idee sono incredibili e futuristiche e lui non si ferma ad aver buone idee, ma vuole sempre portarle a termine».

Clairo: «Ha una grande anima, tutto ciò che scrive e canta arriva direttamente dal cuore. È una bravissima polistrumentista e produttrice».

Haim: «Ero l’unico collaboratore del disco che non appartenesse direttamente alla loro famiglia. È stato divertente imparare cose di loro, continuamente. Sono tutte così talentuose. Il mio compito è stato quello di dare loro tutte le opportunità possibili».

Solange: «Mi portò la canzone pre-prodotta. Io ci misi il piano, l’organo e uno shaker (lo stesso che ho usato per Ya Hey dei Vampire Weekend e Summer City delle Haim, credo sia magico!). ho anche aiutato con la produzione degli ottoni, che erano già stati registrati live ma che ho trattato come fossero un sample. Abbiamo lavorato assieme un pomeriggio e un anno dopo è uscito il brano. Ha una delle mie voci preferite e penso sia un’artista geniale».

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