Radio Vega (After Dark) è il punto di non ritorno in cui Rose Villain chiude un’era e ce la racconta. Il repack che chiude la trilogia di Radio Gotham, Radio Sakura e Radio Vega non è solo un ritorno là dove tutto è cominciato, ma un modo per «dimostrare a me stessa che posso tornare nel buio e sentirmi a mio agio». Nel disco ci sono anche gli inediti che non potevano stare altrove, nati durante le session per l’album precedente o in tour, ognuno legato a varie fasi: l’oscurità di Paralisi del sonno, la fragilità luminosa di Il tuo male è il mio male, la libertà pop di Sbalzi d’amore, la malinconia di Bollicine e la hit estiva Victoria’s Secret. E poi c’è il “demone” del perfezionismo, che la accompagna da sempre: «È il mio diavoletto e il mio angioletto. Senza di lui non sarei spinta ad andare oltre».
In questa intervista abbiamo chiesto a Rose anche di rispondere alle polemiche, cosa che non aveva mai fatto prima così apertamente: dai featuring maschili (ma qui ci sono Annalisa e Gaia), al catcalling di Sanremo, dai pregiudizi sull’Auto-Tune e sul talento come cantante ai paragoni con altre artiste, dalle critiche come giudice di Nuova scena fino alla battaglia che si combatte sul corpo delle donne. «Non mi sembra di aver puntato sulla mia sessualità per emergere, ma semmai dovessi sentirmi una bomba sexy, dal prossimo disco lo esternerò senza pensarci un secondo».
A differenza del passato, ora ripercorre tutto con un tono diverso: «Negli anni ho capito che con la delicatezza si ottiene molto di più». È un passaggio che segna il momento della sua vita artistica: non un “addio alle armi”, semmai un nuovo modo di lottare. Una versione di sé più consapevole, che sa quando graffiare e quando accarezzare, come con gli hater sui social: «Vorrei dare loro un bacino, ma anche mandarli a cagare». E che, nel chiudere una trilogia, sembra già sapere come inizierà la prossima.
Rose, che momento è questo per la tua vita artistica?
È un periodo bellissimo. Ero preoccupata a fine tour perché di solito quando non ho i giorni pieni di cose da fare vado in sbatti. E se ho troppo tempo libero divento pigra. E invece, forse perché stavolta ero un po’ stanca, da quando sono a New York scrivo e apprezzo di più la slow life. Sto prendendo tutto con più tranquillità e mi piace. Comincio a godermi le cose che ho fatto.
Sei a New York, la città che ti ha formata artisticamente. Com’è il clima dopo la vittoria di Zohran Mamdani, sindaco musulmano di origini indiane e ugandesi?
Questa città è sempre una grande fonte di ispirazione, anche se New York non sono gli Stati Uniti, lo abbiamo visto con l’elezione di Mamdani. Però c’è un’idea di progresso, la gen Z va a votare, c’è in giro un’energia unica e continua a essere una città molto combattiva. Mi piace molto e mi ha formata. E poi ovunque vai c’è musica. Tutti si sentono liberi di esprimersi. Qui mi sento parte di qualcosa. Mi sento a casa.
Prima di parlare del tuo nuovo progetto, cosa rappresenta per te Ornella Vanoni, scomparsa di recente, come donna e come artista?
È stata un’icona… anche punk! Una donna libera, pioniera delle libertà, stravolgente e simpaticissima. Fino alla fine un esempio per tutte. E vorrei arrivare come lei a 91 anni.
Radio Vega (After Dark) chiude la trilogia di Radio Gotham, Radio Sakura e Radio Vega. Quando hai scritto quei brani c’era anche un po’ di ansia o preoccupazione su come li avrebbe recepiti il pubblico?
No, scrivo principalmente per me, per curare me stessa, il mio cuore e la mia anima. Però mi sono accorta che l’approccio che ho nel curare me stessa poi arriva alle persone e si riverbera sulle loro vite attraverso le mie canzoni. Ho un pubblico molto sensibile. Ai miei concerti me ne danno testimonianza ogni volta, con scambi di emozioni tra sorrisi e pianti. C’è una connessione fortissima tra noi. E sono convinta che dipenda dal fatto che nelle canzoni decido sempre di aprirmi totalmente, anche e soprattutto per prendermi cura di me stessa.
Il disco è presentato come «l’unione di tre anime in un unico universo sonoro: rabbia e malinconia, luce e oscurità, amore e distruzione». I contrasti sono un fil rouge?
Sì, ma questo finale di trilogia è in sostanza un ritorno alle origini, quelle di Radio Gotham, che è il disco più dark che ho realizzato. In più questo progetto è una rivendicazione delle ombre e delle sofferenze dalle quali sono uscita attraverso il disco successivo, Radio Sakura. Ora, invece, con Radio Vega (After Dark) dimostro a me stessa che posso tornare a immergermi in quelle stesse ombre e sentirmi totalmente a mio agio. È la mia vera vittoria.
Hai esorcizzato i tuoi fantasmi con questo album?
È così, anche se a me piace questo mio lato dark. Infatti lo inserisco sempre nel mio immaginario artistico. Per darti un’idea, per me Paralisi del sonno è il mio brano più Rose Villain che abbia realizzato. In quella canzone sono proprio io, in tutto e per tutto.
Per chiudere questo primo capitolo della tua carriera, in alcuni pezzi sei affiancata da Annalisa, Salmo, Gaia, Guè, Chiello, Lazza, Geolier, Tony Effe e Fabri Fibra. Nel 2025, dopo l’uscita di Radio Vega, ti hanno fatto notare che nel disco c’erano soltanto featuring maschili. La presenza di Annalisa e Gaia è anche una risposta a quelle critiche?
Questi brani, con Annalisa e Gaia, erano già in lavorazione quando è uscito Radio Vega. E ho diversi altri progetti in cantiere con artiste donne. Semplicemente, per una questione di impegni reciproci non eravamo riuscite a incastrare le tempistiche. E infatti appena siamo riuscite a chiuderli, ho voluto inserirli in questo album. Comunque, non sento come un obbligo scegliere per i featuring per forza delle donne. Io faccio canzoni con chi stimo da morire, per me l’arte è genderless. Ma come vedi qui, stimo anche le donne.

Foto: Daniel Cvijic
Nel tuo immaginario ritorna spesso il tema del “demone”. Penso a Paralisi del sonno o al “diavoletto” ne Il bacio del serpente con Guè. È il daimon che alberga negli artisti?
Il mio demone è il perfezionismo che mi spinge a non accontentarmi mai, che mi provoca una continua insoddisfazione e la mancanza di godere dei miei successi. Musicalmente parlando, ho un diavoletto che mi fa visita, che però è anche un angioletto. Se non mi fosse accanto, non sarei spinta ad andare oltre, a osare e a buttarmi. Starei seduta a far nulla.
Visto che in questo periodo sei in America, ti cito William Faulkner dall’intervista The Art of Fiction No. 12: «Un artista è una creatura guidata dai demoni. Non sa perché lo scelgono e di solito è troppo occupato per chiedersi perché». Ti ritrovi?
Mi ritrovo, anche se io, pur essendo molto occupata, continuo a chiedermi perché. Tanto che nelle canzoni cerco di parlargli, al mio demone. Penso si possano dire tante cose sugli artisti, ma una caratteristica che li accomuna è la grande sensibilità. In un mondo pieno di sofferenze, oltre a essere la vita stessa una costellazione di sofferenze, la differenza la fa la sensibilità degli artisti che sono in grado di ricordarci, oltre alla bellezza del vivere, che in ogni passaggio della nostra esistenza ci può arrivare un pugno in faccia.
Come mai gli inediti hai scelto di inserirli qui e non in un altro disco?
Perché questi brani sono nati durante il la lavorazione di Radio Vega o durante il tour, c’era un legame con quelle sonorità. Sarebbe stata una bugia inserirli in progetti successivi. E poi ognuno mi fa pensare ai tre dischi precedenti. Paralisi del sonno con Salmo mi rimanda a Radio Gotham e Il tuo male è il mio male con Gaia è molto Radio Sakura. Una canzone che mi emoziona da morire. L’abbiamo cantata live al Forum e ho rischiato l’infarto. Oppure Sbalzi d’amore con Annalisa rappresenta la mia libertà nella musica pop, di sentirmi sempre Rose Villain anche in quell’ambito. Che è un’attitudine tutta di Radio Vega. E questi inediti completano anche la trilogia discografica.
Per te l’amore sembra un sentimento decisamente travagliato. Da Il bacio del serpente: “C’è chi vede l’amore come un maleficio”. In Bollicine: “L’amore è bugiardo, ti senti più forte, ma la verità è che può renderti di cristallo”. In Sbalzi d’amore: “Sono io che ci sto sempre male”. E in Victoria’s Secret: “Odio che sei l’unico che mi fa arrossire”.
Ma io sono una sottona pazzesca in amore! Aspetta, però, una premessa: sono innamoratissima, in una relazione con un uomo incredibile, ma nonostante questo per me è più facile scrivere di cuori spezzati che di amori felici. Sai, credo di avere uno stile molto infantile nell’approcciare la scrittura delle canzoni. Mi vado a connettere ai traumi attraversati da teenager e in quel periodo dell’adolescenza anche a me gli uomini hanno spezzato il cuore. Quasi tutti, tra l’altro. Tranne questo santo che è Andrea, e non a caso l’ho sposato.
Come ci ha spiegato Tiziano Ferro: «Il dolore si è trasformato in un tesoro».
Per me i traumi da abbandono e i cuori spezzati sono esperienze vissute, ma prolifiche per trovare ispirazione. Insomma le storie tristi, così l’amore spesso per me sono una tragedia.
Però in Ancora, con Geolier, canti: “Sappiamo che io piangerò, ma ne voglio ancora”.
Certo, le batoste e le porte in faccia tutta la vita! Queste esperienze mi hanno portato a essere la persona che sono oggi e ad aver trovato l’amore che cercavo. Se prima fosse andato tutto liscio, probabilmente ora sarei insieme a uno stronzo. Come in amore, anche nella carriera ogni porta in faccia mi ha spinto a trovare qualcosa di meglio. Viva i cuori spezzati!
Lacrimogeni con Chiello è la tua canzone più cantautorale?
Non ci avevo mai riflettuto, visto che tutti i brani me li scrivo io, quindi li ritengo tutti cantautorali. Ma se parliamo della forma, forse è davvero il mio brano più cantautorale. Non l’ho mai ammesso pubblicamente, perché amo tutte le mie “bimbe”, cioè le mie canzoni, ma Lacrimogeni è la mia preferita in assoluto. Quando la canto nei concerti è quella che mi fa sentire di buttare fuori tutto, è uno sfogo pazzesco. E Chiello è il mio artista preferito.
Il tuo male è il mio male, con Gaia, è un brano sull’amicizia o qualcosa di più?
Non completamente sull’amicizia, più che altro ci siamo ritrovate nella stessa linea d’onda sulla sofferenza del mondo, da ultima quella della situazione palestinese. Ne abbiamo parlato tanto e il brano contiene quei sentimenti, in particolare le difficoltà delle donne. E quando la sofferenza è condivisa non può che creare qualcosa di meraviglioso. Quando siamo tutti sulla stessa frequenza, penso alle proteste che si sono svolte ovunque contro la guerra a Gaza, dimostriamo tutti che l’amore può cambiare il mondo. Io credo tanto nella connessione.
Una curiosità: le urla in coda al brano sono tue, di Gaia o di entrambe?
Di entrambe! Di fronte al microfono ci siamo chieste: dove possiamo arrivare con la voce? E abbiamo gridato come due pazze. Volevamo ricreare uno sfogo collettivo.

La copertina di ‘Radio Vega (After Dark)’
La trilogia ti ha portato due volte a Sanremo, a dischi d’oro e di platino, ad arrivare a un pubblico enorme, ma anche ad essere criticata. Ecco, qual è il tuo rapporto con le critiche?
Va a ondate, lo ammetto. Di solito non sto molto sui social. Mi piace comunicare quello che faccio, ma quando esce un pezzo non vado a leggere tutti i commenti. Cerco di non leggere tutti i giornali o i siti, almeno non appena esce qualcosa, perché le critiche fanno soffrire chiunque. Col passare del tempo ho capito che le mie giornate sono migliori se non mi metto a leggere tutto quello che viene scritto sul mio lavoro. L’aspetto che mi dà più dispiacere, ma che un po’ mi intenerisce anche, è l’accanimento. È come se avessimo permesso all’odio di essere accettato e sdoganato sui social.
C’è una critica tra quelle ricevute che ti ha ferita di più?
Più che critiche rivolte a me, che vanno da «la tua canzone mi fa schifo» a «raccomandata», mi fa soffrire che tutti abbiamo ormai accettato che sia possibile farlo senza conseguenze. Fa male vedere migliaia di persone così frustrate. Ma mi scatta anche la parte tenera e quindi penso: chissà che cosa devono aver passato o stanno passando nella loro vita per sentire il bisogno di andare sui social a scrivermi che sono una puttana. Mi dispiace più per loro che per un insulto rivolto nei miei confronti senza alcuna logica. Nel mio gioco di contrasti, vorrei dar loro un bacino, ma anche mandarli a cagare.
Vasco Rossi ha raccontato della prima volta che ha letto un commento su YouTube: «Spero che ti venga un ictus, vecchio drogato di merda». E dopo due giorni di spaesamento, ha risposto: «Spero anch’io mi venga un ictus, ci sono modi per morire molto peggiori. Sul vecchio, non posso dire di essere giovane. Drogato, ho fatto le mie esperienze, non mi vergogno e non mi vanto. Potrei discutere solo sul “di merda”».
Sai, succede sempre così: su 100 commenti positivi, ne leggi uno negativo e tutta la giornata pensi a quello. Le persone dovrebbero capire che dietro ai social, non solo degli artisti ma di chiunque, ci sono delle altre persone. Con tutto quello che ne consegue.
Una tua frase molto discussa è stata: «Leggo giornali che scrivono cose come “Rose Villain è lì solo perché è figa”. Ma io sono una brava artista». A quali giornali ti riferivi?
L’avevo letto su un sito, non ricordo quale, era uno di quelli che scrivono anche di gossip. Ma è una critica ricorrente questa, dire che avrei successo solo grazie al mio aspetto. Ma non capisco perché, in Italia soprattutto, la presenza fisica viene usata per sminuire il talento. Altrove non succede. Pensiamo a Beyoncé o Dua Lipa, nessuno mette in discussione il loro talento solo perché sono belle.
Gli italiani hanno un rapporto conflittuale col successo rispetto agli americani?
Totalmente! Poi se è una donna ad avere successo, fa girare ancora di più le palle.
Hai detto: «Mettermi in costume è il mio modo di dire che sono libera di mostrami sexy quando mi pare e piace, e che tutti dovrebbero farlo, ma questo non deve sminuire le mie doti artistiche». Non sei l’unica che riceve queste critiche. Qual è il limite, se c’è?
È un dibattito superato nel 2025. Io che da adolescente ho vissuto a New York ho visto che è dagli anni ’80 con Madonna che il corpo è stato sdoganato nelle forme d’arte. In Italia, invece, c’è ancora un po’ di bigottismo e di invidia. A ripensarci, non mi sembra di aver puntato troppo sulla mia sessualità per emergere, ma semmai dovessi cambiare idea, quindi se nel prossimo disco mi sentissi una bomba sexy, esternerò tutto senza pensarci un secondo.
A Sanremo 2025 dal pubblico ti hanno urlato: «Si ’na preta». E si è aperto un dibattito: è catcalling, no in napoletano è un complimento. Intanto tu l’hai pubblicato sui social.
(Ride) Nella vita bisogna anche un po’ ridere di certe cose, no? Sono assolutamente femminista, odio il catcalling, mi sono trovata in tante situazioni spiacevoli, come quando sei in un vicolo con uomini che non hanno buone intenzioni, fa paura ed è bruttissimo. Ma in quella situazione è stato divertente, non me la sono presa. Per quello l’ho condiviso sui social.
All’interno del movimento femminista vedi delle esagerazioni o delle distorsioni?
Ma sai, già sulla parola femminismo c’è chi alza gli occhi al cielo. Però, dai, chi non si considera femminista? Lo sei tu, lo è mio padre, lo è qualunque uomo che rispetta le donne. C’è chi pensa che definirsi femminista significhi rivendicare una superiorità delle donne. Chiaramente, come in ogni ambiente, anche nel femminismo ci sono delle esagerazioni. Io sono vegana e a volte noto che i più integralisti attirano le ire di chi non ha scelto questo stile di vita, io stessa in passato, quando mi sono imposta su certe scelte, ero molto più aggressiva anche con la mia famiglia perché mi trovavo di fronte a dei muri e mi sembravano insormontabili e reagivo di conseguenza. Negli anni ho capito che con la delicatezza si ottiene molto di più. Quindi, forse, un certo femminismo ha un problema di comunicazione, però si basa su degli ideali giusti e che sono condivisibili da tutti.

Foto press
Nel 2018 sei stata la prima italiana a firmare con Republic Records, una label che aveva nel roster superstar come Drake, The Weeknd, Ariana Grande, Nicki Minaj, Lorde, Post Malone e altri. Nel 2019 hai lasciato e sei tornata indipendente. Che cos’è successo?
Ho voluto interrompere quel rapporto perché è stato un periodo molto traumatico della mia vita. Avevo messo piede, dopo tanti sforzi, all’interno di qualcosa di gigante e solo dopo un pezzo con cui ero uscita. Se al primo brano ti chiama una label così importante, pensi di avere le carte in regola per emergere. Però, purtroppo, mi hanno tenuta ferma a scrivere canzoni per due anni, e nel mentre uscivano i dischi di Drake, The Weeknd e Ariana Grande, com’era giusto che fosse perché già delle star internazionali. Solo che io mi sentivo in un periodo super prolifico, continuavo a scriverne ed ero molto ispirata. Ma quello che mi ha spinta a mollare è stata la divergenza artistica con il discografico che mi seguiva. A un certo punto ha cominciato a passarmi delle canzoni scritte da altri, che per me era ed è inaccettabile. In più erano ultra pop e non mi rappresentavano per nulla. Così, quando mi hanno chiesto di rinnovare il contratto, ho rifiutato. Sono ripartita da indipendente e meno male che mi sono tenuta Chico, che poi, per fortuna, è un pezzo andato benissimo.
Tuo marito Sixpm ha raccontato: «Una mattina l’ho trovata sul divano, con la chitarra in mano. Mi guarda e mi fa: so tutto, ho avuto una visione, so dove devo andare».
Di solito scrivo quando sono a New York. Il giorno dopo che eravamo arrivati, la mattina alle 5, lui mi ha trovata sul divano e gli ho detto quelle frasi. Il bello del nostro rapporto, anche artistico, è che appena gli do uno spunto lui capisce tutto e, anzi, musicalmente riesce sempre a stupirmi. Per esempio Come un tuono, all’inizio era più trappata, poi gli ho lanciato l’idea: «Perché non la facciamo come se fosse una bachata?». E lui, da questo spunto, ha aperto tutto un universo in viaggio tra il ritmo della bachata e incredibili suggestioni elettroniche.
Ti sei mai chiesta come sarebbe stata la tua carriera se non vi foste incontrati, e viceversa?
Sicuramente oggi saremmo diversi dal punto di vista artistico. Insieme, anche grazie all’amore che proviamo l’uno per l’altra, la nostra unione raggiunge l’apice. Però sono sicura che entrambi, anche senza l’altro, avremmo avuto carriere di tutto rispetto. Magari non così di successo, ma ce l’avremmo fatta. Lui ha realizzato tante cose belle prima di me, mentre io, se rileggo le canzoni che scrivevo, benché non siano mai uscite perché in inglese, sono abbastanza certa che prima o poi avrebbero trovato la luce. Sai, io non solo nella scrittura ma anche in studio sono un’ossessiva. Non lascio fare tutto ai produttori.
C’è un video di un tributo a Mia Martini insieme a Loredana Bertè e Fiorella Mannoia in cui canti Almeno tu nell’universo che viene usato per criticare come canti senza Auto-Tune.
Questa è un’altra misconception sul fatto che io non sappia cantare o non abbia talento vocale perché utilizzo l’Auto-Tune, ma non è assolutamente vera. L’Auto-Tune, che neanche uso sempre, lo utilizzo per una questione stilistica. Quel live è stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita. Quella sera, prima di cantare Almeno tu nell’universo, avevo parlato con Loredana, ci eravamo abbracciate e pianto insieme. In più, quella canzone mi rimanda al legame con mia madre, per cui ero salita già emozionatissima. Se in quell’esibizione ci sono delle imperfezioni, sono date dall’emozione. Per me è qualcosa di bello, lo amo anche quando capita ad altri artisti.
Brunori ha lasciato nell’ultimo disco un brano dedicato alla figlia in cui piange.
Ma certo ed è bello così. Poi dispiace se un’esibizione non viene perfettamente, ma non sempre tutto può essere impeccabile ballando e saltando o se ti viene da piangere. Brunori ha fatto bene a tenere quell’emozione, l’ho fatto anch’io in alcuni brani dove mi sono emozionata particolarmente, in fondo perché togliere la verità di un sentimento?
Da una risposta di Guè, che aveva definito Anna «la miglior rapper donna in Italia», si è creato un cortocircuito social. Quando a Say Waaad? ti hanno riportato le sue parole in una intervista hai detto: «Brava, ok, nulla da dire, non è che mi sento meglio di lei, ma di sicuro non meno».
Mi è dispiaciuto che la frase sia stata decontestualizzata. Ero forse alla mia prima intervista in radio, con il conduttore che mi ha incalzato, e anche in questo caso si è creato un malinteso sul nulla. Io e Anna non siamo rivali, la stimo tantissimo. Per me ha un progetto super figo ed è bravissima. Chiaramente quando entri nel rap game, che per una donna è ancora più difficile, e ti dicono che qualcun altro è meglio di te, come vuoi rispondere? Non faccio mistero di essere ambiziosa e neanche una che, se gli vieni a dire in faccia cose negative, se ne sta zitta. E poi io e Anna abbiamo due mondi differenti. Allora intendevo: lei è bravissima, ma io non mi sento da meno rispetto a nessun altro.
Vi siete mai sentite con Anna?
Ma certo. Anzi, le ho scritto dopo l’intervista sapendo che avrebbero potuto usarla in modo strumentale. Ora non risponderei più in quel modo e spiegherei meglio il mio pensiero.
Isabella Rossellini ha scritto sui social che le donne nel cinema non sono mai abbastanza. Prima non sono mai giovani abbastanza e poi, negli anni, non sono mai vecchie abbastanza. Qualcosa di simile succede anche nella musica?
In Italia non siamo tante nella musica e abbiamo tutte progetti diversi, eppure continuano a metterci a confronto. Sembra che provino un insano piacere nel renderci rivali. È un peccato, perché in realtà tra noi siamo amiche, ci supportiamo e apprezziamo. Il problema è che poi, con questo tipo di comunicazione, le fanbase si mettono le une contro le altre quando non ce ne sarebbe motivo. Ecco, questa è una delle cose che mi fanno più incazzare.

Rose Villain durante la listening experience al Barclays Center di Ney York. Foto press
Prima di Nuova scena, il talent sul rap in onda su Netflix, hai ammesso di esserti chiesta: «Sono in grado giudicare altri artisti, specialmente rap? Perché è vero, ho un piede nel rap, ma a fianco a Fibra e Geolier ero intimidita. Poi ho capito che anche il rap è musica, è arte. E nella musica non sono interessata alla tecnica, ma alla fotta. Perché la passione batte il talento».
Per me la musica è soggettiva, così lo è il rap. Chiaramente hanno scelto me perché ho una visione femminile, nonostante i vari cambiamenti ho sempre fatto parte anche della scena rap, non solo per gli ascolti ma per le collaborazioni con tutti i migliori rapper italiani. A tutto questo ho aggiunto un mio gusto più melodico. A me pare che oggi tanti rapper utilizzino la melodia, per cui non capisco l’accanimento di alcuni nel dire che non dovrei essere lì a giudicare. Mi sono fatta il mazzo nella discografia, qualche risultato mi sembra di averlo ottenuto, oltre alla stima di tanti colleghi. In più amo avere a che fare con i giovani talenti. Sento di avere una esperienza che può essere utile. Certo, poi ci sono i rappusi super nerd che, siccome ho fatto pezzi anche pop, mi considerano un’aliena.
Ora Radio Vega (After Dark) chiude un ciclo. Ma il prossimo quale direzione prende?
Potrei dirti tutto, ma poi sarei costretta ad ucciderti (ride). Fino a poco tempo fa la direzione non era ancora chiara, almeno finché non sono arrivata a New York. Ma per ora non posso dirti altro.
Dopo Lux di Rosalía, molti dicono che il pop non sarà più lo stesso. È davvero un punto di svolta o rimarrà un caso isolato?
Penso che già con Charli XCX il mondo del pop sia cambiato. Che vuol dire continuare a sperimentare. Sono fan sia di Charli che di Rosalía, loro stanno davvero cambiando le regole del gioco.
Ma il joint album con Guè annunciato per il 2026 a che punto è?
Chi vivrà vedrà… Siamo entrambi belli carichi di lavoro, ma chissà cosa succederà.
Hai raccontato di aver incontrato Chuck Palahniuk a un firmacopie e lui ti ha scritto la dedica “Rose, prendi il mondo per le palle”. Hai ascoltato il suo consiglio?
L’ho ascoltato, anche se si può fare sempre meglio. Come per esempio stringere più forte.













