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Rondodasosa: addio, patria crudele

Basta, Rondo lascia l’Italia perché qui il rap viene gestito in modo clientelare da chi non vive la cultura hip hop. «Come faccio a essere ispirato se attorno a me vedo solo gente che cerca di far soldi? Vado in America»

Foto: Fabrizio Narcisi per Rolling Stone Italia

Eccolo che arriva, bandana tirata su fino agli occhi e cappuccio calato in testa, giubbotto degli Orlando Magic tutto blu Rondo e una scia di ganja che lo segue mentre ci chiudiamo in uno studio di registrazione della periferia nord di Milano. Mattia Barbieri, in arte Rondodasosa, è personaggio noto per alcune caratteristiche peculiari: una certa giovanile strafottenza della serie «io sono io e voi chi cazzo siete?», una riluttanza al dialogo con la stampa che ha messo su di lui un alone di mistero e curiosità e una totale riservatezza sulla vita personale, accompagnata invece da un’intensa attività social fatta per lo più di scazzi e dissing con altri trapper che ha fatto di Rondo uno dei personaggi della scena più amati, soprattutto dalla sua fanbase, e odiati da colleghi e detrattori.

Le sue risposte monosillabiche le conosco bene, è la terza volta che lo intervisto, le prime due al telefono e su Zoom, questa volta cercando di guardarlo negli occhi. Ma Mattia, fedele al personaggio, guarda altrove, dietro di me una tv dello studio è accesa su una partita di basket NBA. Quando accendo il registratore lui mi comunica di essersi appena fatto una canna e di non avere nessuna voglia di fare l’intervista. La situazione promette bene, c’è elettricità, e ammetto fin da subito che questo ragazzo di 23 anni un po’ spaccone e molto sicuro di sé mi piace e mi diverte.

Sono qui con Rondo o con Mattia?
Rondo è la parte più aggressiva di me, è un alter ego, il modo in cui vivo.

Quando hai iniziato a fare musica che obiettivi avevi?
Sapevo di spaccare, e tanto. Ero troppo diverso dagli altri.

Diverso come?
Ero sicuro di me stesso. Sapevo che ce l’avrei fatta. Ero come uno che va al casinò e sa che uscirà il nero, punta ed esce il nero. Quel tipo di sensazione, ma con la musica. Mi guardavo intorno e capivo di essere molto più talentuoso degli altri.

C’è stato un momento in cui hai avuto la sensazione di aver svoltato?
Quando è uscito Face to Face (2020) ho sentito la risposta del pubblico, ma già mentre lo scrivevo sapevo che sarebbe stata la svolta perché era una cosa nuova per l’Italia, era drill.

Sembri essere un gran osservatore di quello che succede all’estero, in grado di anticipare le tendenze italiane…
Il mondo del rap è tutto una reference. Anche in America molti rapper si ispirano alla generazione precedente, facendo evolvere la tradizione. Per quanto mi riguarda ho sempre avuto una grande culturale musicale, sono sempre stato aggiornato.

E sempre avendo come base Milano, molto citata nei tuoi pezzi. Musicalmente questa città è stata uno stimolo?
Milano è cambiata molto negli ultimi anni, ma continua a essere la più internazionale tra le città italiane. La moda, il turismo, le cose succedono qui. Da ragazzino uscivamo in compagnia, andavamo a fare freestyle sulla 90 (l’autobus che percorre la circonvallazione esterna della città, nda) o al Muretto (storico spot dietro a Corso Vittorio Emanuele, in pieno centro, nda). Era una realtà molto più vera di quella di oggi: i social non erano così presenti, c’era meno materialismo, meno fashion, non era tutto studiato a tavolino.

Non è cambiata solo Milano, ma anche la tua vita. In che modo?
Certo, la gente mi riconosce ma… se posso dirtelo, questa è una domanda un po’ del cazzo. Parliamo di altre cose, di basket tipo…

Foto: Fabrizio Narcisi per Rolling Stone Italia

Ok, così almeno puoi smettere di seguire la partita nello schermo dietro di me e guardarmi negli occhi (e così da questo momento accade, nda). So che sei diventato ambassador di una squadra, la Blu Basket Bergamo.
Mi affaccio a un altro mondo, quello dello sport, che è pulito, sano, di buon esempio. Preferisco che un ragazzino vada a giocare a basket piuttosto che provare a fare il rapper in strada. La pallacanestro insegna disciplina, ti motiva, ti impegna a stare focalizzato sia mentalmente che fisicamente.

E musicalmente, dopo questo nuovo recente album Mattia, ti senti a fuoco?
Il mio obiettivo è sempre quello di fare musica di qualità non seguendo gli schemi imposti dall’industria.

I discografici ti lasciano fare o dicono la loro?
Con me ormai ci hanno rinunciato. Sanno che faccio come mi pare.

E che ti piace fare da solo, come testimoniamo i pochi featuring del disco: Guè, Heartman e l’esordiente Ayo Ally…
Ho rischiato e ho avuto ragione, il disco sta andando bene, posso contare solo sulla mia fanbase.

C’è qualcuno della scena italiana con cui ti piacerebbe collaborare?
Sì, mi piacerebbe fare un pezzo con Tony Effe.

Uno dei pochi con cui non hai litigato. Una cosa l’abbiamo capita da tempo: Rondo o si ama o si odia, senza vie di mezzo. Come mai stai sul cazzo a un sacco di gente, tra cui tanti colleghi? 

Mi diverto, mi piace mettere un po’ di pepe alla vita. E così mi tengo motivato, mi sveglio e so che ci sono ’sti bastardi che mi odiano e quindi capisco che devo andare a mille perché se vado a cento non basta.

Quindi è tutto un gioco? I litigi con Artie 5ive, Simba, Glocky, eccetera sono tutti finti?
Per me è tutto un gioco, ma devi chiedere agli altri interessati se è così anche per loro.

Magari sono mossi da invidie, rancori… 

Non sono invidioso, ma ci sono troppe ingiustizie: mi dà fastidio chi arriva al successo grazie a qualcuno e non lo riconosce.

Foto: Fabrizio Narcisi per Rolling Stone Italia

Tu non hai ricevuto aiuti?
Sono sempre stato un self-made man, ma devo riconoscere che qualcuno all’inizio mi ha aiutato, tipo Lazza.

E quelli di SevenZoo, il collettivo di artisti di San Siro di cui facevi parte insieme a Neima Ezza, Sacky, Keta, Kilimoney e Vale Pain? Li hai dimenticati?
Ho pensato alla mia carriera, sono un solista. E poi l’ho fatto per il bene del mio quartiere.

Stai dicendo che non tutto il quartiere San Siro ama la Seven Zoo…
Viva la musica.

Ok, non ne vuoi parlare… Allora andiamo al tema caldo, il fatto che hai annunciato che questo è il tuo ultimo disco italiano. Perché vuoi andare via?
Perché qui in Italia il rap viene gestito dalle case discografiche, non da chi fa musica. Non è gente che sta in strada, che vive la cultura hip hop. Se sei un rapper, il tuo habitat non può essere l’Italia. Come faccio a essere ispirato se attorno a me vedo solo gente che cerca di fare i soldi? Allora vado in America, dove tutto è finto, ma è reale, capito?

E dove pensi di andare?


Miami.

C’è chi dice che stai scappando dall’Italia perché ti sei fatto troppi nemici qui…
Perché gli altri rapper sono davvero amici tra di loro? Siamo tutti sulla stessa barca. Non vado via dall’Italia perché sto sul cazzo a un sacco di rapper, ma perché voglio trovare un posto dove esprimermi liberamente. Qui c’è un sistema clientelare dove emerge chi è amico dell’amico, chi lavora per uno o per l’altro. In America sei più libero di crearti opportunità, premiano chi è bravo. Il successo dell’album Mattia è la dimostrazione che da solo posso fare quello che voglio

In Italia la musica sta prendendo un’altra direzione? Dove sta andando? 

Nel cesso. Qui non c’è gusto musicale, ma solo hit da TikTok. O i maranza che fanno rap di strada, che è la cosa meno hip hop che ci possa essere. Perché non hanno una tradizione hip hop.

Oggi cosa ascolti?
Ascolto jazz.

I classici Miles Davis e John Coltrane o cose più contemporanee?
Le playlist di Spotify.

Foto: Fabrizio Narcisi per Rolling Stone Italia

Sfatiamo un altro mito che ti riguarda, l’avversione per i giornalisti e il fastidio per le interviste…
Non mi stanno sul cazzo i giornalisti, semplicemente evito di parlare. Perché spesso vogliono solo lo scoop, oppure scrivono cose che non ho detto, mi manipolano.

Però dopo che ti avevo intervistato nel 2023, sempre per Rolling Stone, avevi confutato di aver detto di non essere un maranza… E, lasciando un commento nei post di Essemagazine avevi ribadito il tuo odio per i giornalisti. Eppure io avevo riportato le tue parole… Oggi che la tua fanbase è fatta anche, per non dire soprattutto, di maranza hai cambiato opinione?
Questa wave maranza non la sento mia. A esser sincero vedo un po’ male questi ragazzini di oggi che vogliono fare i maranza. Noi nella pazzia eravamo più sani… Comunque, vuoi uno scoop da Rondo?

Dai, sentiamo…
Che Rondo è in pace col mondo! Così in pace col mondo che si leva dal cazzo. Questo è il titolo del tuo articolo!

Anche se continui a litigare con tutti sui social, penso solo agli ultimi scontri con Artie 5ive….
Non discuto più con nessuno, non mi interessa.

Sei riuscito a non parlare mai di te, come sempre.
Ho fumato erba, sono un po’ affaticato.

Però rimane il fatto che di come sei, di quello che provi, non parli…
Non lo dico a te che ci fai l’articolino…

Non sminuire, è come se ti dicessi che fai le canzoncine…
Di me posso dirti una cosa. Che voglio convertirmi al buddismo, come Roberto Baggio.

Sei serio?
Giuro. Voglio trovare la pace.

Non l’hai già trovata?
Posso pure crepare, tanto ho già fatto tutto a vent’anni: le donne le ho avute, i soldi li ho fatti, le macchine belle le guido.

Molti pezzi del tuo ultimo disco però sono dichiarazioni di guerra, penso ad Al Pacino
Far la pace non vuol dire deporre le armi. Si fa la guerra per avere la pace, questa è la nuova filosofia di Rondo.

Non mi convince, ma capisco che ti sei stufato. La prossima volta che ci vediamo spero mi racconterai qualcosa di più. Puoi scrivere un libro. Ti pagherebbero un buon anticipo per farti raccontare la tua storia…
Davvero? Ti pagano? Se sganciano parlo di tutto.

Giusto! Come è che canti in Whigga? “Non mi siedo al tavolo se non sento la cifra”.

Foto: Fabrizio Narcisi per Rolling Stone Italia

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Photographer: Fabrizio Narcisi
Creative Director: Living Legend
Fashion Consultant: Michi Vitariello
DOP: Andrea Piu
1AD: Nicola Luciani
Camera Assistant: Davide Nizzi
Light Assistant: Marcello Raguso, Fabrizio Pesare
Post Production: Kerned
Creative Content Studio: Pan Films

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