Rkomi, le nuove pagine del rap | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

Rkomi, le nuove pagine del rap

Un libro la sua colonna sonora per raccontare la propria vita e una nuova via del rap come nessuno aveva fatto prima in Italia.

Foto di Vincenzo Shioppa

Foto di Vincenzo Shioppa

Rkomi pesa da sempre ogni parola come se fosse fondamentale ai fini del discorso, sia nei testi che nelle interviste (tant’è che spesso si ferma a metà di una risposta per cercare l’aggettivo o il verbo più adatto per definire ciò che pensa e prova). Non stupisce, quindi, che per spiegare il momento di grazia in cui si trova in questo periodo, dopo l’uscita dell’ottimo album ufficiale Io in Terra e in previsione di nuovi attesissimi progetti, abbia scelto di usarne ancora di più: ha appena pubblicato Ossigeno, un EP che fa da colonna sonora a un vero e proprio libro, in cui si racconta a partire dal suo processo creativo, che è molto intricato e istintivo.

Non è sempre semplice seguirlo nelle sue elucubrazioni, e d’altronde anche la sua musica semplice non è: il suo è un rap estremamente onirico, nebuloso e immaginifico, che si ama o si odia, non può lasciare indifferenti. E se Ossigeno non spiega in maniera netta e inequivocabile il mistero del suo creatore, se non altro è un modo molto efficace per immergersi nel suo mondo.

Come ti è venuta l’idea di un EP associato a un libro?
Nasce dall’esigenza di rallentare un attimo, staccare dalla routine degli ultimi tempi. Sia chiaro, non mi sto lamentando: l’ultimo anno è stato super, ma è stato anche molto impegnativo, e Ossigeno è stato una scusa per rimettere insieme i pezzi, e in un certo senso anche ritrovarmi. L’EP è una specie di colonna sonora per il libro, e il libro è un modo per farmi conoscere meglio, per raccontare al mio pubblico qualcosa in più su di me. Di solito gli altri artisti tendono a farlo a fine carriera, per tirare le somme: per me, invece, rappresentava un momento di transizione tra il primo periodo di esposizione mediatica e tutto ciò che verrà dopo.

È per questo che nei vari capitoli parli soprattutto del presente, o del passato molto recente, anziché della tua storia fin dalle origini?
Il periodo che racconto va dalle mie primissime uscite discografiche a oggi. Volevo spiegare il mio percorso, che rispetto a quello degli altri è un po’ atipico: ho temporeggiato molto tra una proposta e l’altra, e anche tra un disco e l’altro, in effetti. Fissare queste cose nel libro mi ha aiutato a riordinare tutti gli avvenimenti nella mia testa. E poi mi interessava far capire il mio metodo di creazione dei pezzi, che ultimamente funziona come un flusso di coscienza: molti magari si immaginano che io passi giornate intere a selezionare frasi e a rimuginare sulle liriche, e invece è tutto molto più spontaneo.

Durante la conferenza stampa, in effetti, hai fatto presente a uno dei giornalisti che è sbagliato dire che metti le parole “nero su bianco”, perché di fatto ultimamente non scrivi, non nel senso tradizionale del termine…
Esatto. Ci tengo che si capisca che le mie strofe non sono studiate a tavolino. Un tempo magari mi mettevo lì e scrivevo, ma oggi ho trovato un metodo tutto mio, più improvvisato, che racconto proprio in Ossigeno. Molti altri artisti internazionali fanno la stessa cosa che faccio io, ma vedo che qui in Italia è meno frequente.

Nel libro racconti che non ti senti mai davvero arrivato. Come funziona questo eterno percorso, quindi?
Vado dove il mio cuore e il mio inconscio mi dicono di andare: non mi pongo degli obbiettivi, ma cerco di crescere in termini di consapevolezza. Evolvermi, insomma, in una versione 2.0 di me stesso. È difficile spiegarlo a parole però. Cioè, io continuo a camminare, spesso senza pensarci, senza pensare a superare me stesso, ma non c’è mai un vero traguardo. Mi complico le cose, cerco di cambiare strada, di uscire dalla mia zona di comfort. Ma senza programmare troppo.

Sempre nel libro dici che il caso non esiste, e che hai approfondito questo concetto con delle letture esoteriche.
Ovviamente c’è un aiuto da parte del cosmo, o comunque vogliamo chiamarlo. Però sei tu che devi essere bravo a coglierlo. Il caso non esiste, nel senso che siamo noi a scrivere il nostro destino, se solo evitiamo di farci bastare quello che abbiamo imparato e raggiunto finora. Per ricollegarmi al discorso di prima, tanti rapper trovano un metodo di lavoro che funziona e restano aggrappati a quello, anziché provare cose nuove. Io cerco di fare il contrario.

Parlando di questioni meno esistenziali, racconti anche del periodo in cui, giovanissimo, sei andato a vivere da solo: il tuo coinquilino era Tedua, e a un certo punto sembrava tu dovessi diventare il suo tour manager, anziché fare il rapper in prima persona. Hai nostalgia della leggerezza di quei momenti della tua vita, ora che hai la responsabilità di stare sul palco?
No, non direi: volevo raccontarli perché ci tengo molto. Ho sempre bruciato le tappe un po’ in tutto, rispetto ai miei coetanei. A diciassette anni ho deciso di andare a lavorare – anche con un po’ di incoscienza, perché mi sono reso conto solo più tardi di ciò che avrebbe potuto rappresentare per me la scuola – e poco dopo sono andato a vivere per conto mio, senza neanche avere una vera base economica per poterlo fare. Tutto questo mi ha dato tanto e mi ha tolto tanto, ma non ho rimpianti: anzi, sono fiero di quello che ho fatto. Ammetto che alcune cose avrei potuto farle dopo, ma magari condividere il mio percorso aiuterà qualcun altro a fare meglio nel suo.

Arrivando a oggi, spieghi che per te è venuto il momento di allargare i tuoi ascolti, e che stai lavorando anche con degli autori…
Diciamo che ho lavorato con un autore, Dario Faini, ma non certo sui testi: per ora tutto ciò che ho detto nei pezzi è roba mia. Ci tengo a sottolinearlo, perché non vorrei che qualcuno pensasse che c’è qualcuno che mi scrive le liriche. Con Dario abbiamo lavorato soprattutto sull’aspetto musicale, e mi sono trovato molto bene in questa nuova dimensione. Sono una spugna, quindi assorbo tutto ciò che dicono e fanno le persone con cui collaboro, e quelle che stimo. Lasciarsi influenzare è un bene, ma vuol dire anche cambiare molto spesso: anche per questo non so prevedere che tipo di musica farò tra un anno. Lo capirò quando arriverà il momento di assemblare davvero i vari brani.

A proposito, in conferenza stampa dicevi che hai una ventina di brani pronti per il nuovo album: qualche anticipazione?
Sono diciotto, sì. Ero partito molto carico già prima della pubblicazione di Io in Terra, è stato un anno super produttivo. Ho accumulato un bel po’ di materiale molto diverso e ho già in mente anche la linea del disco e il titolo: ora dovrò essere bravo a unire i puntini e a realizzare il disegno finale.

Altre notizie su:  rkomi