Rkomi: «La strada sono io, gli altri dicono cazzate» | Rolling Stone Italia
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Rkomi: «La strada sono io, gli altri dicono cazzate»

Oggi esce il suo ‘Io In Terra’ con cui si conferma il talento più puro della nuova generazione del rap italiano e con noi ha raccontato del suo nuovo volto: «Non voglio più stare zitto, ora metto tutti in riga»

Ci incontriamo a distanza di un anno. La prima volta, sempre all’inizio di un agosto di fuoco, fu in redazione da noi a Rolling con un timido Rkomi che spulciava sorpreso la classifica di Spotify trovandoci in vetta la sua Aeroplanini di Carta. Oggi siamo nel palazzone di Universal, la casa discografica che sta organizzando la promozione di Io in terra, il suo album in uscita l’8 settembre.

Nel frattempo ne sono successe di cose: un disco già di culto come Dasein Sollen, l’apertura dei live di Calcutta, l’entrata nella Roccia Music di Marracash, e un fitto passaparola che ha portato Mirko e l’alter ego Rkomi nelle cuffiette di tanti, non solo trap addicted, ma anche sedotti dalla sua scrittura fuori dagli schemi. E da qui partiamo. C’è un pezzo del disco nuovo, La solitudine, che pare il suo manifesto: parte con una stanza poetica (“Un fiume in piena la mia penna / Io in terra / A me la scelta / Ma che bel castello / Vuoi una stanza anche te?”) per arrivare a un super meme – siamo sicuri che lo diventerà – di autocelebrazione rap (“In curva come Kimi Raikkonen con le Air Force Nuove”).

Dopo aver chiuso questa rima, nel pezzo fai una pausa, come per dire “Hai visto che cosa fica che ho fatto?”. È così?
Sì, ho fatto un gran lavoro di ricerca per questo disco, anche se sono solo a un quarto del mio percorso. Con le sillabe, ho cercato di dare una quadra matematica alle mie improvvisazioni, mi sono ispirato a gente come Chance the Rapper e Tyler, the Creator. Ho fatto pure un pezzo strano come Io in terra, uno spoken word su una base di jazz cosmico alla Sun Ra prodotto da Alberto Paone, il batterista di Calcutta.

Com’è il processo creativo di una tua canzone?
All’inizio metto un beat e urlo sillabe finché non trovo la cosa più pazza possibile. Poi mi metto a scrivere a flussi di coscienza, in un modo così spontaneo che pure io riesco a capire quello che ho scritto davvero solo dopo un po’.

Spesso penso che i tuoi testi dovrebbero avere le note a piè di pagina.
Credo che lo farò, ci tengo a spiegare bene il mio lavoro. Qualcuno dice che Fabri Fibra e Marracash mi scrivono le canzoni. Tutte palle. Dasein Sollen l’avevo scritto in solitaria, al parco o in camera. Questo invece l’ho fatto tutto in studio, in mezzo a produttori (Shablo, Nebbia, Night Skinny e altri) e amici. Rispetto a un anno fa non mi vergogno più. Ma voglio crescere ancora.

Foto di Sha Ribeiro

In cosa?
In concerto sono ancora nervoso. Sono troppo Mirko, ma è perché non voglio essere troppo Rkomi. La stessa cosa mi succede sui social: spesso non so come far vivere il mio personaggio. Ma la gente paga ai miei live per vedere Rkomi, e su questo devo lavorare, tenendo però tutta la mia spontaneità e pazzia. Tra un anno e mezzo sarò un mostro!

Nei tuoi live c’è un’energia molto forte, sembra quasi rabbia…
Sì, ma non verso gli altri. Sono il mio passato e i miei errori a darmi quella rabbia.

Rkomi, vero nome Mirko è nato a Milano nel 1994 Martorana. Foto di Sha Ribeiro

Vieni dal block di Milano Calvairate e le tue canzoni sono legate a un’idea poetica di periferia. Sei ancora, come canti in La solitudine, la lingua del quartiere?
Certo, e sono stufo dei colleghi che dicono cazzate e rivendicano un mondo di strada che non è il loro. Sono stufo di starmene zitto, farò come loro e li metterò tutti in riga. Molti pensano che i miei colleghi coetanei siano un genere di persone che invece non sono, perché non hanno visto nulla di quello che dicono, si inventano cazzate. E allora rosico, perché sono la lingua del quartiere più di tutti, oggi. Per la mia integrità e per quello che ho vissuto. Mi sto comportando come loro, ma è l’unico modo. È il momento di metterli tutti a posto.

Nei tuoi video (e nelle canzoni) c’è un lato romantico – tu che baci la ragazza in Rossetto – molto lontano dallo stereotipo rap.
Mi piace essere poetico, anche se in modo rude. Sono cresciuto circondato da figure femminili, quindi sono più sensibile a questo tema rispetto ai miei coetanei. Mi piacerebbe trovare donne con cui fare musica, ma non è ancora successo.

So che hai un seguito femminile anche tra le donne della mia età, che di solito il rap lo odiano perché misogino e sessista.
Che ficata! Per le ragazze della mia età potrei scrivere la poesia più bella del mondo, ma non rispondo ai loro canoni di bellezza, quindi non diventerei mai il loro oggetto del desiderio. Cosa che invece succede ai miei colleghi più sbarazzini.

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